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I 13 attributi di Dio
(Rav Luciano Meir Caro)
Mi muovo molto male su questo argomento, perché sapete che il testo biblico è molto parco di teologia; c'è proprio una riserva nel parlare, nel definire cos'è Dio, quali sono i suoi comportamenti, perché fa o non fa certe cose. Si parte da un presupposto, che tutto quello che esiste dipende dalla volontà di questo Dio, del quale, però, non sappiamo niente. Nemmeno il Nome, perché, come sapete, anche il Nome è sconosciuto e noi lo chiamiamo Adonai, che vuol dire "mio Signore", ma non è il nome di Dio.
Apro una parentesi: circolano anche oggi dei testi, dove c'è il Nome di Dio come tetragràmmato, cioè quello che è il suo nome personale, con quattro lettere dell'alfabeto ebraico, di cui non sappiamo la pronuncia e bisogna fare molta attenzione, perché la nostra normativa sostiene che questo nome non solo non possiamo pronunciarlo, ma dobbiamo trattarlo con molto rispetto e ove ci sia un testo in cui è contenuto il Nome di Dio, non possiamo distruggerlo. Quindi sono un po' restio a pubblicare queste cose, perché qualcuno, inconsapevolmente, senza volerlo, potrebbe avere un atteggiamento irrispettoso nei confronti del Nome di Dio. Così come è altrettanto irriguardoso il fatto che qualcuno dice di sapere qual è la pronuncia del Nome di Dio e circolano delle proposte non solo non vere, ma non corrette. C'è chi dice Geòva, Yehòva, Yahvé, tutte belle cose, che suonano come una mancanza di rispetto a Dio, perché attribuiamo a Dio un Nome che non è quello, non è il suo. Quindi noi ebrei siamo abituati ad adoperare o Adonai, mio Signore, o ancora meglio, usiamo l'espressione Hashèm, cioè il Nome. E sappiamo a cosa ci riferiamo.
Di questo Dio il testo biblico non ci dice quasi niente. Sì, dice che Dio ha detto, ha fatto, ha creato il mondo, ma cosa sia, perché ha creato il mondo, dove sia proiettato, che cosa si proponga, questo non lo sappiamo.
I passi che dobbiamo esaminare oggi molto rapidamente, sono forse gli unici in cui si entri in questo tipo di argomento, e lo dobbiamo fare con molta delicatezza e anche con molta incertezza, perché sono passi straordinariamente difficili, di cui non sappiamo quale sia il significato.
Aggiungo un'altra cosa. Spesso si fa confusione fra i 13 attributi di Dio e i 13 articoli di fede. Il Maimonide, il nostro principale filosofo, siamo nel 1200, in un momento storico molto difficile, praticamente nel periodo delle crociate, si è trovato di fronte alla perplessità del popolo ebraico, il quale non si rendeva bene conto di determinate cose. Fino al suo tempo, gli ebrei avevano un'idea molto chiara: Esistiamo noi, che siamo gli Ebrei, monoteisti, puri, portatori della verità e dall'altra parte ci sono i pagani. Quindi era tutto molto semplice: gli Ebrei e i pagani, cioè l'idolatria, condannata da tutto il testo biblico. Con le crociate si è verificato questo fenomeno: che l'ebraismo è entrato in contatto diretto col mondo musulmano e il mondo cristiano. L'ebreo normale medio, non letterato, si è reso conto che esistevano i cristiani. Ma i cristiani, i musulmani, sono pagani? Studiamo molto superficialmente, ma constatiamo che non è vero, perché anche loro hanno un Dio solo. Ma allora se c'è un Dio solo, quali sono le differenze tra gli ebrei e gli altri? Ecco nascere la perplessità nel popolo ebraico ed ecco perché Maimonide ha sentito il bisogno di scrivere un'opera, intitolata appunto "La guida dei perplessi", che cerca per la prima volta di coordinare le idee fondamentali dell'ebraismo, per elaborare una cesura tra il mondo ebraico e il mondo esterno, per fare capire ai perplessi che siamo veramente noi e cosa ci distingue dagli altri. Il libro di Maimonide subì tantissime critiche. Questo libro è stato poi condensato nei cosiddetti 13 articoli di fede, che hanno suscitato un pandemonio nel mondo ebraico. Questi 13 articoli sarebbero, secondo Maimonide, 13 espressioni fondamentali del modo di pensare ebraico. Non sto a dirvele tutte, ma solo per darvi un'idea, ne cito alcune: Dio è fuori del tempo, non ha passato, presente, futuro; Dio ha dato agli uomini e in particolare agli Ebrei, una normativa, che non cambierà mai; Manderà il cosiddetto Messia che produrrà determinate cose nel mondo; con la morte fisica dell'uomo non finisce tutto; Dio ha mandato dei profeti, che hanno completato la spiegazione del testo biblico.
E così via. Tutte cose accettabilissime. Quello che non andava bene agli Ebrei è che queste cose fossero scritte e messe sotto forma di articoli di fede. Che cos'è la fede? Il concetto di fede è estraneo al nostro modo di pensare. Secondo noi tutto ruota attorno al concetto dell'esistenza di Dio; ci riconosciamo in questo perfettamente, ma non desideriamo, non ci piace che questa cosa diventi un dogma.
Se voi mi chiedete: "Tu credi in Dio?", io rispondo: "Sono fatti miei!". Cosa vuol dire credere in Dio? Il credere, nella fede, è una forma di pigrizia dal mio punto di vista, perché è un modo per inscatolare Dio. Cosa vuol dire credere, comprendere Dio, se non inscatolarlo, chiuderlo in certi confini e non parlarne più? Invece noi vogliamo mantenere un rapporto dialettico con Lui, ci misuriamo costantemente con Lui. Mi domando spesso: "Ma sarà proprio vero che esiste?". Ci sono delle prove in un senso e delle prove in un altro. Tutto questo senza dimenticare che, secondo me, tutto ruota attorno all'esistenza di Dio. I nostri maestri hanno detto: Tutto dipende da Dio, meno che la fede in Dio. Dio mi può imporre qualunque cosa, ma non mi può imporre di credere in Lui. Mi ha lasciato la libertà anche di non crederlo, di contestarlo. E' difficile capire questo concetto.
Per cui i cosiddetti 13 articoli mi piacciono tutti, li riconosco tutti, uno per uno, ma non mi piace che qualcuno me li imponga. Se un ebreo dicesse: Io non credo in Dio, non sarebbe meno ebreo di un altro. Non vorrei dire una sciocchezza, ma un cristiano, un cattolico che dicesse: "Io non credo nella figura di Gesù, per me non è mai esistito, sono tutte storie", io non so se possiamo ancora considerarlo cristiano. Un musulmano che dica: "Allah non c'è, non mi interessa; Maometto mai esistito", è fuori dall'islam. Invece un ebreo che dica: "Dio non esiste", è ebreo tanto quanto prima. Vuol dire che non esiste un dogma. Qualche volta mi succede, nella mia professione quotidiana, che venga da me un ebreo e mi dica: "Lo sa che io non credo in Dio?" e si aspetta da me un aspro rimprovero. La mia risposta è: "Non me ne importa niente", perché io mi compiaccio sia che uno creda, sia che non creda, perché sono assolutamente fatti personali. E chiedere a uno se crede o no in Dio è assolutamente inopportuna. E' come chiedere a uno quante volte ha fatto l'amore nell'ultimo mese. Son domande da farsi??! Sono cose strettamente personali mie; perché dovrei raccontarle a un altro. Il mio rapporto con Dio è solo mio.
Questo ci porta al grosso problema di dover dare la risposta alla domanda: "Cosa sono gli ebrei?". L'ebraismo è una religione? No, perché non ti impone di credere in niente. Ti impone in negativo, per es: "Non devi fare dell'idolatria", ma non ti impone di credere o non credere.
A questo proposito il testo biblico è scarsissimo. C'è un passo, una serie di versetti, che noi esamineremo rapidissimamente questa sera, che riguardano un momento importante della storia ebraica. Leggetevelo puro, possiamo scorrerlo insieme, ma non so esattamente qual è il loro significato.
Siamo nel periodo in cui Mosè sale sul Monte Sinài per ricevere i comandamenti, si trattiene sul Monte Sinài per 40 giorni e 40 notti, il popolo ebraico, che non ha capito niente, non vede tornare Mosè e pensa: "Mosè non c'è più, dobbiamo farci un altro Dio!" (Esodo 32, 1). Dobbiamo pensare che gli Israeliti erano appena uscita da 400 anni della più dura schiavitù in Egitto, immersi nella più spaventosa idolatria e quindi non avevano capito nulla; avevano interpretato la figura di Mosè non come strumento nelle mani di Dio, ma come un dio lui stesso. E così si fanno un vitello d'oro, figura caratteristica del mondo egiziano.
Qui il discorso si fa pesante, perché il testo biblico dice che Dio aveva avvisato Mosè (Es 32, 7) di quello che stava succedendo al popolo. Mosè scende, vede il vitello e per lui è una sorpresa. Aveva forse dei dubbi su quello che gli aveva detto Dio, come se si chiedesse: "Ma è vero? L'ho sognato?". Anche se era consapevole che Dio gli aveva detto quelle cose, ma un conto è vederle, un conto sentirle.
Comunque a un certo momento Dio si rivolge a Mosè e gli dice: "Ho deciso di sterminare questo popolo, che ho tirato fuori dall'Egitto, perché non sono degni della mia considerazione, si sono dimostrati incapaci di realizzare i miei piani". Mosè reagisce e dice no, con una serie di argomentazioni che sono molto belle, perché parla con Dio in modo ricattatorio. E' come se lui stesse dando delle lezioni a Dio. Dice che non può fare quello che sta dicendo, perché lui è il loro capo, è responsabile di loro, quindi se loro hanno sbagliato, la responsabilità prima è la mia, anche se non ho fatto nulla. Per cui se fai fuori tutti loro, devi far fuori anche me, ma non lo puoi fare, perché io non ho fatto niente e sarebbe una grossa ingiustizia! Più o meno il discorso di Mosè è questo. Una specie di ricattino, no? Poi dice a Dio che non lo può fare, perché ci perderebbe la faccia. Dice a Dio, insomma, che Lui ha creato il popolo ebraico, affinché, attraverso il suo comportamento, venga insegnata al mondo la giustizia, conosca Dio e respinga l'idolatria; dunque, quando la gente saprà che Dio ha liberato il suo popolo dall'Egitto, promettendo libertà e vita, nuova terra, li ha portati nel deserto e li ha ammazzati tutti, Lo disprezzerà, lo riterrà come uno dei tanti dei vendicativi e non di parola, come tutti gli altri che ci sono sulla terra.
Dio, fra l'altro, aveva proposto a Mosè di creare un popolo nuovo, nato solo da Mosè e dai suoi figli, ma Mosè non accetta, dicendo: "Se uccidi loro, devi uccidere anche me".
A questo punto Dio si rivela e dice a Mosè che tutto questo discorso era solo una prova, per vedere come si sarebbe comportato e vista la sua fedeltà, gli promette di dargli tutto ciò che avrebbe chiesto. E Mosè chiede delle cose. Le ultime cose che ci saremmo immaginati che lui chiedesse. Chiede: "Fammi conoscere le tue strade" (Esodo 33, 13) e la seconda cosa: "Fammi vedere la tua faccia" (33, 18). Che razza di domande sono queste? Lui sapeva già qual era la risposta, ma implicitamente sono domande che volevano difendere il popolo ebraico. Se Mosè, che ha parlato con Dio come con un amico, sottoposto a una domanda, chiede di conoscere le strade di Dio e di vederlo, vuol dire che aveva dei dubbi sull'esistenza di Dio. Di conseguenza è come se dicesse a Dio: "Se ho dei dubbi io, che ti ho parlato, è giustificato maggiormente che abbia dei dubbi questo popolo, fatto di gente ignorante".
Mosè vuol sapere quali sono le strade di Dio, dove è diretto Dio, cosa si propone; chiede a Dio qual è il suo programma, cos'aveva in mente quando ha creato il mondo. Vedete?, questo è il modo ebraico di credere in Dio, perché ci si fa delle domande, ci sono delle cose che non si capiscono, non si conosce la risposta. Ma le domande me le faccio, perché Dio mi ha dato un cervello e io devo usarlo. Questa dialettica interna che ha ognuno di noi, fa soffrire, è lacerante. Chi ha la fede nel senso cristiano, non ha più problemi. Noi ci poniamo il problema se Dio esiste veramente.
Torniamo al testo. Dio ha fatto una promessa, ha invitato Mosè a chiedergli ciò che voleva, adesso deve rispondere. Mi viene da dire - Dio mi perdoni! - che Dio, a questo punto, si trova in imbarazzo. Dio risponde a Mosè così: "Ecco, c'è un posto vicino a me, mettiti su un'altura" (Esodo 33, 21). Questo rispondeva, forse, alla prima domanda, "Fammi conoscere le tue strade"? Cosa vuol dire questa parola? Non lo so. Si può interpretare così, ma guai a voi se ci credete! Quando diciamo che Dio è buono, bello, bravo, paterno, materno, ecc. se ci guardiamo attorno, andiamo in crisi, perché davanti a certe situazioni, davanti alla realtà, ci chiediamo dove sia Dio. Allora quel "mettiti su un'altura", forse può voler dire che se guardiamo le cose dall'alto, possiamo avere un'idea più precisa. Se ci guardiamo attorno, questo Dio lascia molto a desiderare, lo vorremmo cambiare, lo vorremmo più alla nostra portata; se saliamo, possiamo vedere le cose in modo diverso, possiamo renderci conto che Dio si muove su certe direttrici, ma lasciando a noi la libertà di pensiero.
L'altra cose che Dio dice, per quanto riguarda il vederlo, è questa: "L'uomo non può vedermi e vivere" (Es 33, 20). Frase ambigua che può voler dire che se l'uomo vede Dio, muore, oppure che l'uomo non può vedere Dio finché è vivo, che noi una visione di Dio potremo averla solo dopo la morte. Tutto questo è spaventosamente difficile.
Non so se tutto questo che vi sto raccontando è in sequenza temporale o no.
Dio poi dice: "Entra dentro una grotta, io chiuderò l'apertura di questa grotta con un masso, poi farò passare la mia gloria davanti a questa grotta, ma tu non vedrai niente, quando la mia gloria sarà passato, schiuderò per un istante l'apertura e tu vedrai la mia gloria dalla parte posteriore, ma la parte anteriore non si può vedere" (Es 33, 22-23).
Se qualcuno mi sa spiegare questo passo, è bravo.
Intanto, cos'è la gloria di Dio? Passa un qualche cosa che rappresenta Dio e tu vedrai il riverbero di Dio. Cioè la domanda: "Voglio vedere Dio, voglio conoscere le sue strade", la puoi affrontare solo dopo. Tu non puoi sapere qual è la direzione di Dio, la parte anteriore, i suoi progetti non li puoi conoscere; puoi vedere solo le conseguenze.
Se io fossi stato Mosè e mi avessero detto di entrare in una grotta, che sarebbe stata chiusa con un masso, non mi sarebbe molto piaciuto.
Ma vi dico subito come va a finire. Quando Mosè uscirà, avrà, come conseguenza dell'incontro con la parte posteriore della gloria di Dio, il cambiamento fisico, per cui la sua pelle emette dei raggi di luce. Lui si rende conto di questo solo dopo, perché tutte le persone che lo vedevano scappavano. Sembra un premio alla richiesta delle sue domande, perché ha visto qualcosa; ma è anche una specie di punizione, perché cambia il suo rapporto con le persone. Da quel giorno in poi, Mosè doveva coprirsi il volto e le parti scoperte, perché era come se la gente vedesse qualcosa di mostruoso e scappava.
Ma torniamo indietro. Quando Mosè ha visto quella gloria di Dio, che non so cos'è, vengono enumerati non so da chi, perché il testo non lo dice, non si capisce chi parla. Siamo in Esodo 34, 5. "L'Eterno passò davanti a lui e gridò". Ma non sappiamo chi ha gridato. E qui ci sono questi famosi 13 attributi di Dio. Eterno, Dio, pietoso misericordioso longanime, pieno di misericordia e di verità, che conserva la benignità a migliaia, che sopporta il peccato e l'errore e quanto a perdonare non perdona, che tiene conto del peccato dei padri sui figli e sui figli dei figli sulla terza e la quarta generazione.
Questi sono 13 attributi. Io ho fatto una traduzione molto sommaria; molti leggono in modo diverso. O è Mosè che, avendo avuto questa visione, dice queste cose che sono le attribuzioni che lui riconosce a Dio per averle intuite da quella visione. Oppure quella visione era accompagnata dall'enunciazione di questi 13 attributi di Dio, che però non sappiamo cosa vogliono dire, anche perché sono in contrasto tra loro. Prima dice che perdona, poi che non perdona. Dice che conserva la benignità a migliaia, ma conserva il senso del peccato di qualcuno per la terza e la quarta generazione. Cosa vuol dire? Forse che Dio si ricorda per mille generazioni delle benemerenze di qualcuno e per tre, quattro generazioni della malvagità. Quindi c'è un rapporto di tre a mille.
Ma non sappiamo cosa vogliano dire questi attributi. Non sappiamo neanche se li ho tradotti bene.
La nostra tradizione ebraica vuole che queste espressioni non vengano ripetute inutilmente. Noi pensiamo che pronunciando queste espressioni, e forse è una nostra illusione, la cosa non è inutile, ma produce degli effetti, lasciano una traccia. Dio non è insensibile al pronunciare queste cose, per cui noi usiamo pronunciare queste cose nella preghiera pubblica, ma non in quella privata, perché sono troppo importanti. Le ripetiamo pubblicamente nella preghiera quotidiana tutti i giorni e soprattutto in occasione delle feste penitenziali, in particolare per Kippur. E ripetiamo questa espressione per 26 volte. E 26 cos'è? 13 per due. Vedete che l'elenco inizia con la ripetizione per due volte della parola Eterna. Non bastava una volta sola? Forse vuol dire che l'Eterno può essere visto da due angolazioni. Noi osiamo pensare che l'Eterno, dal nostro punto di vista, si presenta da due angolazioni. Allorché Dio ha creato l'universo, si è rivestito di due personaggi: il personaggio della giustizia e il personaggio della bontà. Dio fa compenetrare queste caratteristiche insieme. Un mondo, un'umanità che fosse governata da Dio senza giustizia, non ha senso, ma nemmeno un mondo governato solo dalla bontà. Solo la giustizia, senza bontà diventa una cosa fredda. I nostri maestri dicono che dove c'è perfetta giustizia, è il posto dove c'è l'ingiustizia più forte. Se applico la legge in modo ferreo, commetto un'ingiustizia. La giustizia va compenetrata dalla bontà.
E' uno dei 13 articoli di cui vi dicevo prima, il concetto del premio e della punizione. Dio premia, quando ritiene di premiare e punisce quando ritiene di punire. Il nostro comportamento, cioè, non è irrilevante; quello che faccio io ha delle conseguenze per me e per la società in cui vivo, in positivo e in negativo. Questo senza domandarci come dove quando. C'è un momento in cui Dio, secondo i suoi parametri, provvede a premiare o a punire. E i punti di vista di Dio risultano da quanto abbiamo letto: è un Dio che ama perdonare, ma quanto a perdonare, non c'è un perdono definito, eterno; siamo sempre sotto esame. Guardate, sto dicendo cose molto difficili.
Mi sembra che sia lo stesso Maimonide che cerca di interpretare l'espressione: Dio misericordioso e pietoso. Cosa vuol dire? Si riferisce alla caratteristica di Dio di regalare all'uomo qualcosa gratuitamente. Dio ha una forma di bontà nei confronti dell'uomo, indipendente dal nostro comportamento. Quasi che Dio preferisse, adopero un linguaggio di bestemmia!, premiare, piuttosto che punire. Come se Lui volesse dare dei regali non meritati.
Poi cosa vuol dire che Dio è grande nella benignità? Sempre Maimonide dice che nel giudicare la persona o la società, Dio propende verso la assoluzione. Dio adopera tutte le maglie della giustizia, per perdonare. Ma questo non vuol dire che non c'è giustizia.
Poi cosa vuol dire che è un Dio di verità? C'è anche la questione della verità. Maimonide interpreta dicendo che Dio mantiene le sue promesse e non torna indietro da questo. Quello che Dio dice, è vero. Se ha promesso di fare una certa cosa buona, anche se cambiano le circostanze, Lui mantiene quanto ha promesso.
Poi, cosa vuol dire che conserva la benignità? La conserva anche alle generazioni future.
E il perdono del peccato, degli errori,d ei trascorsi? Ci sono errori che noi facciamo deliberatamente e altri che facciamo senza consapevolezza. Ci sono errori che facciamo in contrasto con la volontà di Dio, per il nostro carattere di volere contestare a tutti i costi. L'uomo è un contestatore, come i bambini, che in segno di autonomia, fanno proprio quello che gli viene detto di non fare.
Dio manda delle punizioni, a volte, perché noi ci ritraiamo dal male. Anche allorché Dio punisce qualcuno, lo fa per portarlo verso il bene. Non perdona quando queste cose che Lui fa non servono, l'uomo dimostra di non capire.
Tutto questo sarebbe la risposta alla domanda di Mosé: "Fammi conoscere le tue strade". Queste sono le strade di Dio, il suo modo di comportarsi.
Abbiamo visto che Mosè viene trasformato da questa rivelazione che riceve, ma poi, alla fine della vita, muore come tutti gli altri esseri umani.
Voglio aggiungere che 26 è anche la somma delle lettere che compongono il Nome di Dio, cioè yud, he, waw, he: 10+5+6+5=26
Dio è circoscritto (dico una sciocchezza!) entro questi elementi.
Tutte queste belle cose che vi ho detto, sono sì belle, ma sarà proprio vero che è così? O il testo biblico vuole insegnarci qualche altra cosa? Al di fuori del testo biblico, noi non abbiamo altri elementi per capire qualcosa su Dio.
Aggiungo una cosa. Il profeta Ezechiele ha una sua visione tutta originale. Tutti gli altri profeti sostengono che Dio punisce le persone, soprattutto gli ebrei, perché si emendino dai peccati. I profeti dicono che la nostra resurrezione morale dipenderà da noi; non ci dobbiamo aspettare un intervento di Dio. Siccome Dio ci ha creato con una scintilla divina che ha immesso dentro di noi, verrà un tempo in cui sapremo fare uscire il valore di questa scintilla divina e sapremo emendarci e lo faremo con le nostre forze. Questa è la visione di tutti i profeti. Dal nostro punto di vista, se venisse uno che annuncia di essere mandato per redimerci, noi sappiamo che non è così, ma sta a noi redimerci.
Ezechiele, invece, sostiene, con una visione più pessimistica, che se aspettassimo che l'uomo si emendi per propria volontà, non ci sarebbe per nulla speranza. Ma sarà Dio a intervenire, ma non perché ce lo meritiamo e non per farci un piacere, ma lo farà per salvaguardare se stesso, perché, se Dio non ci perdonasse, la gente penserebbe che questo Dio aveva delle intenzioni cattive creandoci e insegnandoci. Dio deve salvaguardare la sua immagine, perché la gente non pensi che Lui è un Dio cattivo e vendicatore. E' suo interesse emendare l'uomo, perché il suo scopo è portare l'umanità alla conoscenza di Dio, in modo tale, come dice Isaia, come l'acqua ricopre il mare. Lo scopo di Dio è portare la società umana a una conoscenza di Dio connaturata; tutti devono arrivare alla conoscenza di Dio, intendendo conoscenza come compenetrazione, non come conoscenza intellettuale. Tutto questo è molto bello, ma molto difficile da capire e ci lascia molte molte perplessità.