acqua - amicizia ec romagna

Vai ai contenuti

Menu principale:

L'acqua, il bene più prezioso che abbiamo
(Rav Luciano Caro)


Se l'acqua è importante per tutti gli uomini, forse ha una connotazione ancora maggiore per certe popolazioni che abitano determinate zone della terra, dove la mancanza di acqua si fa più sentire, soprattutto nel vicino Oriente.
Per es. proviamo solo a ripensare al famoso episodio di Abramo, che accoglie i tre viandanti, offrendo loro prima di tutto l'acqua per lavarsi i piedi (Gen 18, 4) e trovare sollievo.

Vorrei affrontare un po' più da vicino alcune specificità della cultura ebraica e soprattutto di quella biblica nei confronti dell'acqua.
Intanto partiamo dal termine. In ebraico "acqua" si dice maim, un termine abbastanza strano di per se stesso, perché il suffisso aim, indica un duale, cioè una cosa che va in coppia. Faccio un paio di esempi: gambe si dice raglàim, braccia si dice yadaim, enàim sono gli occhi, sfatàim le labbra e avanti così.
L'acqua si presenta con questa connotazione duplice. Qualcuno dice un po' scherzando (io non ci credo) che fosse già un'intuizione antica che l'acqua è costituita da due elementi, idrogeno  e ossigeno.
A me sembra più verosimile rifarci all'antichissima tradizione semitica, che considerava l'acqua come un prodotto che noi troviamo in due localizzazioni precise, cioè in alto e in basso; si credeva che ci fosse un'acqua inferiore e un'acqua superiore. Cioè gli antichi pensavano che il mondo fosse una grande isola che poggiava su dell'acqua e questa è l'acqua inferiore, ma al di sopra del cielo credevano ci fosse un grandissimo serbatoio di acqua.
Ecco perché l'acqua si presenta in forma duale. Tutto questo fa parte della mitologia, ma in qualche modo trova accenni anche nel testo biblico, nel primo capitolo della Genesi, straordinariamente difficile. Comunque, nei primi versetti, leggiamo così: "Dio disse: Vi sia un firmamento dentro l'acqua, che faccia distinzione tra acqua e acqua". Insomma, Dio inventa il cielo con la funzione di separare l'acqua che è sotto da quella sopra.
Un altro elemento semantico, cioè riguardante le radici: pensate, la parola mare si dice yam e qui troviamo due lettere, la yud e la mem, che fanno parte della parola màim.
Lungo tutta la tradizione ebraica è stata proposta un'analogia tra l'acqua e la Torah, intesa nel senso ampio di insegnamento divino. Cioè l'insegnamento di Dio è simile all'acqua, perché tutte e due le cose sono indispensabili ala nostra sopravvivenza. Come l'essere umano non può vivere senza acqua, allo stesso modo abbiamo altrettanto bisogno dell'insegnamento di Dio, chiamato mekòr maym chaìm, un'espressione del profeta Geremia, che significa "fonte dell'acqua viva".
Sapete che noi abbiamo la tradizione liturgica di leggere la Torah tutti i sabati, il lunedì e il giovedì; questo in forma ufficiale, ma noi tutti i giorni possiamo leggere il testo sacro. Ma perché proprio il sabato, il lunedì e il giovedì? Beh, il sabato perché è il nostro giorno di festa, il lunedì e il giovedì perché anticamente erano i giorni di mercato e quindi i contadini che venivano in città a portare le merci, avevano la possibilità di assistere alla lettura pubblica della Torah.
Dal punto di vista più spirituale, invece, si dice che non devono mai passare tre giorni senza lettura della Torah.
Vado avanti in forma un po' disordinata. L'acqua ricompare molto spesso come strumento della volontà di Dio, imitata in forma scimmiottesca anche dagli uomini, che qualche volta si ergono a imitatori di Dio. pensate al diluvio. A un certo punto Dio si stanca dell'umanità che ha creato e decide di sopprimerla, utilizzando proprio l'acqua, cioè quello strumento che era indispensabile alla vita dell'uomo. Anche Faraone, in Egitto, ergendosi a dio, usa la stessa acqua per sopprimere i bambini ebrei in Egitto, come se anche lui avesse il diritto di sopprimere una parte di umanità che a lui dava fastidio.
I nostri maestri dicono che Faraone abbia agito con scaltrezza, pensando che Dio punisce, di solito, con la stessa arma adoperata dal peccatore, ma siccome Dio aveva giurato, dopo il diluvio, di non punire più con l'acqua, nemmeno lui, Faraone, sarebbe stato punito. Una scaltrezza molto stolta, perché il testo biblico dice che Dio aveva promesso di non distruggere più l'umanità con l'acqua, ma il singolo popolo, il singolo individuo sì. Tant'è vero che Faraone morirà sommerso dalle acque del mar Rosso.
Un altro particolare. Rimaniamo sulla storia di Israele in Egitto. Sappiamo che fra gli Israeliti c'era una coppia, che aveva avuto due figli, Aronne e Miriam; poi, al tempo della persecuzione antiebraica, è nato anche Mosè, salvato dalla madre e dalla sorella deponendolo nelle acque del Nilo, dentro un cestello. Lo strumento che doveva servire per ucciderlo - infatti Faraone aveva ordinato che tutti i figli maschi degli Ebrei fossero gettati nel Nilo - diventa per lui fonte di salvezza. In questo episodio ha un ruolo fondamentale la sorella di Mosè, Miriàm, che rimane a sorvegliare il cestello col fratellino dentro, legata quindi anch'essa all'acqua in modo particolare.
Nel libro dei Numeri c'è un episodio dove si dice che Miriam morì e fu sepolta. Immediatamente dopo c'è scritto così: "E il popolo non aveva l'acqua" (Num 20, 1s). Viene da chiedersi cosa c'entri la morte di Miriàm con la mancanza di acqua. I maestri dicono che Miriam era la depositaria dell'acqua; era lei che provvedeva a trovare l'acqua. Attenzione, il nome stesso Miriàm contiene l'etimologia di yàm, il mare; già nel nome era predestinata ad avere a che fare con l'acqua.
Vado avanti. Entriamo in un settore difficilissimo del testo sacro ebraico, che è il settore della purità e dell'impurità. In poche parole, il testo biblico dice che la materia, il mondo, l'universo, l'essere umano, si può presentare in due situazioni: l'impurità e la purità. Ma attenzione! Queste parole possono fuorviarci, perché quando noi diciamo "puro" scatta un meccanismo di positività; per noi puro vuol dire bello, pulito, simpatico, eticamente buono, mentre "impuro" vuol dire tutto il contrario. Nel testo biblico non è assolutamente così, non ci sono implicazioni né sul piano estetico, né sul piano morale. E' come se io dicessi che un certo oggetto è bianco o nero e non vuol dire che uno sia cattivo e l'altro buono; si tratta solo di due situazioni fisiche diverse.
Orbene, il testo della Torah dice che normalmente tutto quello che esiste è in stato di purità, ma entra in stato di impurità quando noi entriamo in contatto con determinate sostanze. Per es. il cadavere rende impuro chi lo tocca e chi è a contatto diretto o indiretto con esso. Altre fonti di impurità possono essere il mestruo femminile, il seme genitale maschile, determinate malattie cutanee, ma tutto questo non ha implicazioni igieniche, assolutamente.
La Torah dice che chi si viene a trovare in questo stato di impurità, che si dice rituale, non può celebrare determinati atti di culto e chi volesse tornare allo stato di purità, deve sottoporsi a una lunga procedura, che si conclude con l'immersione dentro un certo tipo di recipienti che contengono acqua, cioè deve fare un bagno rituale. Attenzione, perché dal bagno rituale derivano tutte le implicazioni successive, sia nella tradizione religiosa ebraica che in quella cristiana, con il battesimo, che viene di qui.
L'uscire dall'acqua è un segno di nascita o di rinascita, come se da quel momento si diventasse individui nuovi.
Quando si costituisce una nuova comunità ebraica le prime cose a cui si pensa sono il cimitero, la scuola e il bagno rituale, ancor prima della sinagoga. Vedete quanto è importante.
Quindi se uno si trova in uno stato di impurità ed entra nell'acqua, quando viene fuori si trova in un'altra dimensione; se uno è in stato di impurità, entrando nell'acqua ne viene fuori rinnovato, cambiato.
Non è senza significato il fatto che in molte mitologie, orientali e non, i grandi eroi nascono dall'acqua.
Ritroviamo l'acqua in un altro passo molto difficile del libro dei Numeri, al cap. 19, 1-10, dove si parla di una giovenca rossa, animale adatto alla purificazione rituale. Questo animale andava cercato, poi immolato e bruciato; con le sue ceneri, mescolate nell'acqua, si compivano delle abluzioni sulle persone impure, che, dopo questo rituale e il bagno, ridiventavano pure. Ma tutto questo è assolutamente precluso alla nostra capacità di comprensione.
Un altro passo molto difficile è quello che parla della "donna sospettata", che in ebraico si dice sothà (Num 5, 11ss). La Torah dice che se in una coppia il marito ha dei fondati sospetti sulla fedeltà della moglie, può ricorrere a un determinato rituale. Il marito porta la moglie al sacerdote che la invita ad ammettere la verità; ma se la moglie afferma che i sospetti del marito sono infondati, il sacerdote compie tutta una serie di operazioni. Scrive il capitolo della Torah che parla proprio di questo, poi scioglie il testo scritto, magari su una pergamena, dentro dell'acqua e fa bere quest'acqua alla signora, dicendole: "Se tu sei veramente innocente, quest'acqua non ti farà male, al contrario, essa sarà per te come un veleno che ti farà morire negli spasimi". Non ci risulta che questa cosa sia mai stata applicata, ma il testo dice così.
Se la donna è sopravvissuta a questa prova, lei e il marito devono offrire un sacrificio di espiazione, riconoscendo che avevano commesso un errore: il marito ha sbagliato, perché i suoi sospetti si sono rivelati infondati; la moglie ha sbagliato, perché ha provocato nel marito questi sospetti col suo comportamento. Vedete: di nuovo l'acqua che interviene come strumento, come elemento di vita o di morte.
Queste cose che vi ho detto adesso, cioè il discorso della giovenca rossa e della sothà, fanno parte di quelle norme che vanno sotto il nome di chukkìm, cioè quelle norme incomprensibili. Nel testo sacro ci sono molte norme; però alcune sono ovvie, limpide, mentre altre non riusciamo a spiegarle razionalmente e dobbiamo accettarle così come sono, allo stesso modo in cui accettiamo tutto l'insegnamento divino.
Torno ad alcuni episodi raccontati nella Torah. Non so se avete notate che abbastanza spesso, nelle parti narrative della Torah, si trova l'elemento del matrimonio collegato con l'acqua. Facciamo un esempio. Il cap. 24 della Genesi ci racconta che Abramo mandò il suo servo nella sua terra natale per trovare una moglie della sua parentela per il suo figlio Isacco e, guarda caso, l'incontro con la futura moglie, Rebecca, avviene proprio presso un pozzo e nel momento in cui veniva attinta l'acqua. Non dimenticate mai che il testo della Torah è sempre molto telegrafico e se ci dice questi particolari vuol dire che sono importanti. La presenza di questo elemento dell'acqua sta ad indicare quasi l'avvertimento che sta per formarsi una coppia.
La stessa cosa avviene a Giacobbe, che incontra Rachele, la sua futura moglie, presso un pozzo (Gen 29, 9) e non altrove.
Ma se andate avanti trovate altri esempi; infatti anche Mosè, fuggendo dall'Egitto, incontra Zippòra, sua futura moglie, ai pozzi dell'acqua (Es 2, 15ss).
Un altro elemento connesso con l'acqua e specifico della tradizione ebraica riguarda la normativa sulla mestruazione. Il testo biblico dice che i rapporti coniugali sono incoraggiati sempre, tranne durante il periodo mestruale della donna, in cui i rapporti sono assolutamente proibiti. Ma questa proibizione, oltre ad interessare i giorni del flusso mestruale, comprende anche i sette giorni successivi, che vanno sotto il nome di "giorni bianchi", perché era tradizione antica che le donne in questi giorni si vestissero di bianco, soprattutto per la biancheria intima, perché fosse più facile costatare se usciva ancora qualche goccia di sangue o no. E, attenzione, se c'è presenza di sangue, bisogna riprendere il conto da capo.
Alla fine dei sette giorni la donna deve compiere un'immersione nel bagno rituale, non come purificazione, ma come atto simbolico, grazie al quale i due coniugi possono riprendere i rapporti intimi. Tant'è vero che la donna deve prima lavarsi e poi immergersi nel bagno rituale. E il bagno veniva fatto al termine del settimo giorno, cioè alla sera, di modo che ci fosse meno gente in giro, per evitare troppe chiacchiere. Di solito c'è una signora addetta al bagno rituale, che va contattata al bisogno.
Il mestruo è collegato con lo sviluppo dell'ovulo femminile, che ogni mese ripropone nel corpo della donna il ciclo della vita; la donna è di nuovo disponibile e pronta a produrre vita. E tutto questo è collegato con l'immersione nel bagno rituale.
Questo è molto importante, perché ha delle implicazioni notevolissime. Pensate solo al fatto che quasi la metà del tempo in cui marito e moglie stanno insieme è caratterizzata da questa astensione dai rapporti sessuali; per cui questi diventano più desiderabili, dopo dei tempi di astensione abbastanza lunghi. Questo per favorire la crescita della specie.
Nei giorni in cui la donna è mestruata e nei sette giorni successivi, interviene una specie di linguaggio codificato tra i due coniugi, mediante delle azioni, dei cenni che solo loro sono in grado di capire. Pensate alla famiglia allargata, come era una volta, dove in casa convivevano nonni, nipoti, zii, ecc.; la tradizione voleva che i coniugi potessero mandarsi questi messaggi codificati, creando una certa complicità tra i due. Per es. la donna poteva mettere una determinata tovaglia sulla tavola, o adoperare un certo bicchiere, o spostare un quadro.
Qualcuno ha detto che la famiglia ebraica, in questo senso, è stato l'unico santuario che non è mai stato distrutto, perché riguarda qualcosa che coinvolge moglie e marito in una complicità, fatta di attesa e di desiderio. Non è senza significato il fatto che fino a quando queste norme sono state praticate in forma globale, in seno al popolo ebraico, il divorzio era praticamente sconosciuto nella nostra società. Adesso che queste norme sono disattese, ci stiamo avvicinando anche noi, come numero di divorzi, alle altre società.
Anche per questo una delle prime cose che una comunità ebraica si procurava era proprio il bagno rituale, vista la sua importanza per la vita familiare.
E l'acqua del bagno rituale doveva essere naturale, cioè proveniente direttamente dal mare, dal lago, o da un grande fiume; o un'acqua che durante il trasporto dal luogo in cui è stata attinta fino alla vasca delle immersioni, non sia mai stata contenuta in recipienti di forma particolare. Ancora una norma difficilissima.
Il bagno rituale viene usato anche in occasione della conversione all'ebraismo. Quando una persona si converte, dopo aver compiuto tutta una serie di procedure, termina il suo percorso col bagno rituale. Nel caso dell'uomo, il bagno rituale è preceduto dalla circoncisione.
Secondo la prassi, il bagno rituale della conversione, deve avvenire in questo modo: la persona si immerge nell'acqua totalmente, completamente nuda, e nel momento in cui esce dal bagno, è diventata ebrea. L'uscita dall'acqua corrisponde alla nuova nascita di quella persona.
E' molto importante che non ci sia assolutamente nulla sul corpo che impedisca il contatto con l'acqua; devono essere eliminati anche le creme, lo smalto, il rossetto, il trucco. Ma nemmeno un elemento estraneo, come può essere una crosticina sul corpo.
Vi assicuro che, per un rabbino, una delle cose più difficili è proprio quella di inventare un bagno rituale, perché ci sono delle implicazioni fortissime. Se si scoprisse che non è stato fatto secondo tutte le norme, a posteriori, per es., una conversione potrebbe non essere considerata valida. E nel caso di rapporti coniugali, se la donna ha fatto il bagno in una vasca fuori norma, lei e il marito avrebbero compiuto atti assolutamente proibiti.
Perché questa attenzione alle formalità? Perché tutte queste cose devono essere fatte con la maggior consapevolezza.
Quando esisteva il santuario di Gerusalemme, c'era una tradizione contestatissima, che faceva parte del contrasto tra farisei e sadducei, che riguardava l'acqua. I farisei sostenevano che in occasione della festa di Sukkòt avveniva a Gerusalemme un cerimoniale particolarissimo, in cui le persone sfilavano per andare a un fiumiciattolo, che si chiamava Siloè, dove prelevavano delle bottiglie d'acqua, che, con processioni e danze, portavano fino al santuario di Gerusalemme, dove il sacerdote versava quest'acqua in forma clamorosa, come simbolo propiziatorio della caduta della pioggia, visto che la festa delle Capanne avveniva in autunno. Questo cerimoniale era molto sentito dalla gente.
Ma i sadducei si opponevano a questa tradizione, perché nel testo biblico non c'è nessun riferimento a questo rito, che quindi diventa una superstizione.
Pensate che questo contrasto tra le due correnti ha creato dei disordini tali - siamo nel periodo di tempo che va da un sec. prima di Cristo a un sec. dopo Cristo - che hanno portato anche a delle morti, perché poi si è trasformato in una questione politica. Se il re era fariseo, permetteva di fare la festa; se invece era sadduceo, la impediva.
Ma dietro questa cosa c'era tutto il contrasto politico tra la fazione sadducea e quella farisea. Giuseppe Flavio racconta, in forma molto ambigua, che un certo re, al momento della celebrazione, avrebbe clamorosamente versato quest'acqua non sull'altare, dove si doveva, ma per terra. Un'altra versione afferma che questo re, invece di versare l'acqua, abbia fatto i suoi bisogni. Pensate: nei locali del santuario! C'erano proprio delle celebrazioni pagane antiche che consistevano nel fare i propri bisogni davanti alla statua dell'idolo. Forse questo re voleva dimostrare l'assurdità di un tale culto.
Cos'è successo? Sapete che noi alla festa di Sukkòt portiamo in mano rami di cedro; allora la gente si è messa a buttare i rami di cedro contro il re, creando gravi disordini.
Concludo citando il testo della Mishnà che racconta di un famoso personaggio che stava partecipando al grande digiuno di tutta la popolazione per impetrare la pioggia, che avvicinandosi, disse: "Ci penso io!". Questo tale si chiamava Chonì, ma di lui non sappiamo niente. Dunque, lui è andato sul monte del santuario a Gerusalemme, ha fatto un cerchio per terra, vi si è messo dentro e ha detto: "Signore Iddio, non mi muovo di qua finché non fai piovere!". E si è messo a piovere. Da allora l'hanno soprannominato "Chonì, che fa i circoli". Solo che Dio l'aveva talmente ascoltato che non smetteva mai di piovere. Allora hanno richiamato questo Chonì, che ha disegnato un altro cerchio, dicendo che non si sarebbe mosso di lì, finché non fosse cessata la pioggia.
La storia è più complessa, in realtà, perché si racconta che, all'origine, quando Chonì ha fatto il primo cerchio, si sia messo a piovere, ma siccome era una pioggerella troppo fine, lui avrebbe protestato dicendo che voleva una pioggia più forte.
Tutto questo è detto in tono scherzoso, per affermare che a volte ci sono delle persone che pensano di poter imporre a Dio i loro desideri e Lui, in tono molto paterno, qualche volta esaudisce.
Vedete, allora, quante implicazioni ha l'acqua per la nostra vita sociale, familiare e rituale?


Torna ai contenuti | Torna al menu