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L'al di là
(Rav Luciano Caro)
L'ebraismo ci dice tutto quello che dobbiamo fare o non fare nella nostra esistenza e lascia molto aperto il problema dell'aldilà. Non abbiamo una teoria sistematica che ci spiega cosa succede quando moriamo, perciò il problema è lasciato aperto a molte considerazioni. Si richiamano le due visioni della morte: quella fisica e quella che vede sempre la morte coma una forma di punizione.
Molto vagamente nei testi biblici, più precisamente nei testi post-biblici, appare la visione in cui la morte è vista come una punizione per colui che muore, ma anche per coloro che gli stanno attorno.
Paradossalmente, in fronte a questa visione, si potrebbe affermare che chi è innocente allora sarebbe immortale; questo si potrebbe dedurre dalla interpretazione dei primi capitoli della Genesi dove si afferma che la morte è entrata per colpa di Adamo.
Sembra che Dio all'origine avesse progettato il tutto lasciando una scelta all'essere umano, se l'uomo non avesse disubbidito, avrebbe potuto continuare a vivere nel giardino dell'Eden e cibarsi dell'albero della vita e sarebbe diventato immortale: la morte è entrata nel mondo a causa del peccato.
Queste sono affermazioni che hanno come scopo di sollecitare la nostra riflessione. Capita spesso nella tradizione ebraica che venga proposta un'affermazione che sembra paradossale, ma questa non viene posta come verità, ma come punto di discussione. Se è qualcosa di scioccante, può aiutare di più a uscir fuori dalla nostra apatia e metterci in discussione e affrontare l'argomento.
Da queste considerazioni che la morte è la conseguenza del peccato, è una punizione, si può desumere che Dio giudica le sue creature.
Nel testo biblico la sopravvivenza dell'anima alla morte fisica del corpo è accennata in modo vago. Ci sono degli spunti qua e là. Per indicare che qualcuno muore si dice che "giacque", o che "si riunì ai suoi padri": può essere inteso che la sua parte spirituale si riunisce ai suoi padri o anche solo che quando uno muore, è seppellito vicino ai suoi padri.
Nella cantica di Mosè, che lui proclama prima di morire, Dio parla delle proprie peculiarità e dice: "Io sono quello che dà la morte e dà la vita". Qualcuno si appiglia a questa espressione e dice che avrebbe dovuto dire: "Io sono Dio che dà la vita e dà la morte".
Il fatto che dica il contrario, fa pensare ad una vita che è successiva a quella fisica del corpo.
E' tutto bello, ma per costruirci una teoria sopra; rimane molto lontano dalla nostra realtà.
Ci sono altri passi biblici, tutti di difficile interpretazione, che fanno pensare che nella dottrina ebraica (parlo del periodo biblico) si pensava ad una forma di sopravvivenza molto nebulosa e molto spesso inconsapevole (bisogna sempre distinguere tra il senso semplice del testo e la poesia che qualche volta ammanta quel testo).
Si dice nell'Ecclesiaste: "I vivi sanno che moriranno, i morti non sanno niente". Cosa vuol dire? Tutto il libro dell'Ecclesiaste è proposto in forma paradossale e noi lettori non sappiamo mai se ci vengano proposte delle verità o degli interrogativi; ad esempio a prima vista sotto il sole può sembrare che la sorte dell'uomo sia simile a quella dell'animale, ma questa espressione è la citazione di chi pensa in questo modo o è un'interrogazione, come per dire: "E' proprio così...o sotto il sole sembra che sia proprio così?". Ma c'è un'altra realtà che fuoriesce dall'essere sotto il sole. Ci sono dei passi abbastanza complicati che riguardano la vita ultraterrena. Tra l'altro c'è perfino una difficoltà nell'identificare, nel testo biblico, il luogo in cui vanno i morti: nel sepolcro o si pensa ad una residenza dove sono collocati gli esseri umani dopo che sono morti, chiamata sheol (abisso)?
Ma cosa significa questo? Che una persona, quando muore, è inumata sotto terra, oppure lo sheol è un'entità geografica, dove sono concentrati tutti quelli che muoiono?
In altri passi si trova l'espressione shachàt, baratro, fossa.
Qualche volta in Ezechiele si parla del fatto che i morti vanno a finire "nella terra sottostante", ma anche qui si potrebbe pensare all'inumazione.
In Giobbe si dice che gli abitanti della polvere stanno nella "terra dell'oscurità". In questo spazio finiscono tutti i defunti, anche se non sono stati sepolti.
I defunti sono chiamati, nell'ebraico biblico ed anche nella liturgia ebraica corrente, refaim, nome che viene da una radice cananaica. Di essi è detto che non hanno cognizione di quello che avviene sulla terra.
Nel libro dei salmi e in Isaia emerge il fatto che i morti non possono lodare Dio, perciò sono in una situazione oscura.
Qualcuno mette in relazione la vita dei defunti al tipo di sepoltura che hanno avuto, o all'atteggiamento nei loro confronti dei parenti; per questo nell'ambiente biblico c'era una grande attenzione nel seppellire i defunti, perché si aveva la convinzione che il morto che aveva qualche parente che si occupava di lui, aveva qualche possibilità di una sopravvivenza. Anche se è vietato portare culto ai morti in opposizione al culto egiziano.
Per quanto riguarda il concetto di resurrezione dei morti., qua e là se ne accenna, sempre ammesso che i defunti abbiano una loro forma di vita autonoma e che questi possono ritornare in vita; come, dove, quando, non si sa.
Io noto nella Bibbia ebraica questa forma di riserva, come se non si volesse parlare di certe cose, per cui gli accenni che abbiamo sono molto vaghi. E poi nell'ebraismo sono entrate tante tradizioni a questo riguardo, ma sempre molto vaghe.
Qualche riferimento a questo elemento della sopravvivenza dell'anima al corpo lo troviamo nella liturgia. Nella preghiera fondamentale della liturgia ebraica, la Amidà, costituita da 18 benedizioni, parte essenziale della preghiera quotidiana ebraica, una delle prime benedizioni suona così: "Benedetto tu Signore, che fai rivivere i morti". Dio qui compare come colui che fa rivivere i morti.
Anche qui ritorniamo al solito dilemma: che cosa vuol dire? Pensiamo a Dio che richiamerà in vita i morti, oppure pensiamo a un'altra cosa? Pensiamo a Dio come guaritore? Dio è l'unico medico che può dare la vita anche a quelli che noi consideriamo morti. Tanto è vero che c'è una benedizione, obbligatoria per la tradizione ebraica, che devo dire tutte le volte che mi capita di incontrare una persona che è stata gravemente ammalata: "Benedetto tu Signore che fai rivivere i morti". Non sto pensando ad una sua risurrezione, ma alla sua guarigione. Io l'ho considerato morto, tanto era grave la sua malattia, ma Dio gli ha ridato la vita.
Dalla fede profonda del fatto che Dio abbia creato l'uomo e gli abbia ispirato un soffio vitale, nasce questa credenza che Dio non può far finire tutto nello spazio di una esistenza umana, perciò nella letteratura rabbinica si parla ampiamente di questo problema nelle forme anche più variegate e senza che nessuno affermi di avere la verità in tasca. Questo elemento della credenza nella sopravvivenza dei morti è poi entrato a far parte della nostra tradizione relativamente tardi, con il grande Maimonide, che ha codificato questa cosa nei famosi 13 articoli di fede. Il Maimonide, grandissimo filosofo, giurista vissuto nel XII sec., sente il bisogno,(ed è il primo nella storia ebraica a far questo), di mettere in cornice il pensiero ebraico, rendendosi conto che gli ebrei, essendo a contatto con i cristiani e musulmani, erano molto disorientati. Voleva offrire un aiuto a quelli che non erano molto preparati e dare una idea precisa di che cosa pensa la dottrina ebraica su certe cose e come si va al di fuori di essa.
Ma il Maimonide è stato criticato aspramente nell'ambiente ebraico per questa sua iniziativa, perché veniva accusato di voler essere lui a stabilire che cosa l'ebraismo è e non è. Mentre l'ebraismo è sempre stato connotato da una grande libertà di pensiero. In realtà Maimonide ha cercato soltanto di chiarire le cose.
Comunque uno di questi 13 articoli sostiene che tutta la dottrina ebraica che scaturisce dall'insegnamento biblico e la nostra fede prevede che esista una forma di esistenza al di là della morte: ad un certo punto Dio provvederà a chiamare in vita tutti i defunti. Ma a questo riguardo non entra nel particolare.
Posso accennare ad alcune cose riguardo il lutto. Per noi il tempo appropriato per fare lutto è di 11-12 mesi; al di là di questo tempo non si ha più né il dovere, né il diritto di fare lutto, perché prolungarlo sarebbe come entrare in una forma di culto per i morti. Perché si pensa che quando una persona muore, l'anima di questa persona è sottoposta ad una forma di giudizio da parte di Dio. Dio nella sua bontà ha stabilito che l'anima del defunto sia giudicata da Dio e questo giudizio nel caso peggiore non può mai protrarsi per oltre 12 mesi, finiti i 12 mesi si è scontati tutti i peccati e l'anima se ne torna tranquilla alla sua sorgente. .
Per questo motivo qualcuno usa fare lutto per il proprio defunto non per 12 mesi, ma per 11 soltanto, pensando che farlo per 12 significa affermare che il defunto era un gran peccatore; dopo gli 11 mesi non c'è più niente da scontare.
Penso che sia anche da tener conto del fatto che dopo circa un anno il dolore per la scomparsa di una persona cara si affievolisce e subentra piano piano la rassegnazione; perciò il protrarre troppo il lutto diventa una cosa in qualche modo anomala.
La questione dell'anima che si diparte dal corpo con della sofferenza la ritroviamo molto spesso nella letteratura rabbinica. Vi leggo alcune massime prese qua e là dalla letteratura rabbinica (pensiero ebraico post-biblico): "Tutto quello che si dice di fronte al morto, il morto lo capisce fino a quando viene rotolata la pietra, oppure fino a quando viene consumata la sua carne". Cioè il morto è consapevole di quanto succede perché lui continua a vivere in qualche modo nei pressi della sua parte fisica fino a quando sia rotolata la pietra. Si fa riferimento al fatto che anticamente le sepolture non erano fatte per terra, ma si utilizzavano delle grotte, si introduceva il morto in una buca fatta nella grotta e poi con una pietra, di solito di forma rotonda, si chiudeva l'apertura, (solo per i primi 12 mesi, poi si apriva la tomba e il cadavere si metteva in terra).
Un passo della mistica ebraica, lo Zoar, dice: "I primi 7 giorni dalla dipartita, l'anima non fa altro che discendere continuamente nei pressi del corpo lamentandosi, strillando per fare lutto, in onore del proprio corpo". L'anima salita al cielo continua a discendere perché il distacco è troppo forte.
Un altro passo giuridico per giustificare la sepoltura per terra: è una forma di nascondimento del corpo per l'anima, la quale soffre troppo nel vedere il proprio corpo che si disfa.
Qualche volta l'anima viene chiamata nefesh, ma non si sa se vuol dire anima, soffio vitale; qualche volta viene chiamata ruach, che vuol dire spirito, vento.
Tra le tante cose che non riusciamo a capire nel testo biblico ce ne sono molte nel Levitico e riguardano in particolare la purità e l'impurità. Ma attenzione: a queste due parole non associate la bellezza, pulizia e impurità, sporcizia). Noi oggi non riusciamo più a capire, ma la gente ai tempi della Bibbia capiva benissimo.
Provo a spiegare qualcosa al riguardo. La materia, gli esseri umani e le cose, possono presentarsi in due situazioni: uno stato di purità e uno stato di impurità.
Tutte le cose sono pure, a meno che abbiano un contatto con determinate cose che ne causano la impurità e tra le cose che maggiormente provocano l'impurità, abbiamo il cadavere. Qualsiasi contatto, diretto o indiretto, che noi abbiamo con il cadavere, procura questo stato giuridico di impurità. E questo vale sia per gli esseri umani che per le cose inanimate.
Ma qual è la differenza tra l'essere impuro e puro? Nessuna differenza, salvo il fatto che coloro che sono impegnati nella celebrazione pratica del culto sacrificale a Dio debbono essere in stato di purità. Se si sono resi impuri per qualche contatto con il cadavere, devono sottoporsi a una lunga procedura complicatissima, incomprensibile, per riacquistare la loro purità rituale.
Tra le cose che danno impurità, oltre al cadavere, troviamo, ad esempio, il sangue mestruale femminile, il periodo della donna mentre è mestruata, il seme genitale maschile, il contatto con determinati animali, quasi sempre rettili e il contatto con quelle persone che sono colpite da certi tipi di affezioni dermatologiche. Di solito si dice lebbra, ma non c'entra niente; forse si fa riferimento all'eczema. Non sappiamo cosa sia, ma siccome il primo traduttore greco ha tradotto lebbra, allora tutti vanno avanti così; è stato tradotto lebbra per indicare una malattia molto grave e molto evidente. Guardate che non si fa un discorso di carattere igienico - sanitario, si dice soltanto che chi ha quella malattia, lui o chi è a contatto con lui, non può prendere parte al culto sacrificale, come per tutte le altre cause di impurità.
Sembrerebbe che tutti questi elementi - sangue mestruale, seme maschile - siano fortemente portatori di vita, di positività e invece sono indicati come "impuri"; per questo diciamo che queste tematiche bibliche sono, per noi, spaventosamente difficili e quasi incomprensibile. Ma c'è chi ha tentato, ha suggerito una forma di interpretazione, sempre come materia di discussione e non come affermazione di verità.
Se prendiamo in considerazione il cadavere, possiamo pensare che la visione del cadavere porti l'uomo a considerazioni pessimistiche; infatti quando noi vediamo un essere umano morto, cadiamo in una forma in qualche modo di depressione, di scoraggiamento e ci viene istintivo di pensare che sia finito tutto, che non esista più nulla, né paure, né desideri, nulla; insomma, per quella persona l'universo è finito. Quindi vuol dire che la nostra vita si conclude con la nostra esistenza fisica.
Questo c'è di impuro nella morte: che ci può portare a delle considerazioni di scoraggiamento nei confronti di quello che invece sono le cose a cui noi dobbiamo puntare. La nostra vita terrena è una fase della nostra esistenza e se ho questi pensieri impuri io non posso avvicinarmi a Dio, perché vuol dire che non ho capito nulla.
In questa prospettiva, la morte è vista come qualche cosa che ci può portare a delle considerazioni negative. Volendo concludere questa mia brevissima disamina vorrei che fosse chiaro questo elemento che al di fuori di una forma di consapevolezza molto diffusa, accettata da tutti, consapevolezza di un qualcosa che sopravvive alla morte fisica del corpo, si raccontano tante cose che non hanno nessuna presa nella realtà. Non è questo un argomento che ha mai interessato in modo profondo e sistematico l'ebraismo. L'ebraismo si è sempre proiettato in una visione terrena, noi dobbiamo imparare come condurre questa vita terrena, quello che succede dopo......
Abbiamo una consapevolezza che non è finito tutto qua, ma anche se fosse così è già una grande soddisfazione vivere in questo mondo. Il parlarne è una perdita di tempo.
Un versetto di Deuteronomio 29 dice che le cose occulte appartengono a Dio e a noi appartengono le cose rivelate.
Non viene negato che ci sono delle cose che ci sono state precluse e quelle appartengono a Dio ed è inutile che noi cerchiamo di penetrarle, è una perdita di tempo, è dire delle sciocchezze; noi abbiamo il compito di studiare, di capire le cose rivelate che ci stanno di fronte, ma soprattutto di capire come vivere questa nostra esistenza.
Se vi capita di sentire delle belle parole, sapete che è una visione di parte, sarà anche vero, ma...
Un ebreo il quale in buona fede sostenesse di non credere assolutamente alla sopravvivenza dell'anima e crede che con la vita terrena tutto è finito, lui ritiene veramente questo e, nonostante quanto dice Maimonide, egli è perfettamente ebreo, tanto quanto prima, e nessuno può essere giudicato per quello che crede o non crede.
Maimonide ha scritto queste cose perché è stato costretto in qualche modo dalla situazione del suo tempo, ma questo non fa parte della dogmatica ebraica.
Detto questo devo anche dire che la maggioranza degli ebrei crede che ci sia una forma di sopravvivenza, come e dove.....e se questa resurrezione ci sarà, sarà preclusa per quelli che si sono comportati male? Io sono convinto che se ci sarà una resurrezione, lo sarà per tutti.Sul tema della resurrezione dei morti vorrei accennarvi brevemente il profeta Ezechiele, che vive nel periodo dell'Esodo in Babilonia, un periodo molto duro per Israele. Al cap. 37 della sua profezia, Ezechiele racconta la visione delle ossa aride: mentre si trovava nei pressi di un fiume su una pianura ha visto questa pianura cosparsa di ossa e mentre contemplava questo enorme cimitero all'aperto, sentì la voce di Dio che gli disse: Possono rivivere queste ossa? E lui rispose: "Signore Dio, tu lo sai". E va avanti a raccontare la risurrezione di tutte quelle ossa inaridite, che si risvegliano e si ricompongono con i nervi e i muscoli e la pelle. E' il solito modo dei profeti: propongono una visione e poi ne spiegano il significato. In questo modo il profeta vuole plastificare il suo insegnamento. Dunque queste ossa che risorgono sono immagine degli Ebrei in esilio in Babilonia: anche loro sono come un cimitero vivente, pensano che tutto sia finito, hanno perso l'indipendenza, la terra, il santuario.
Il discorso che fa Ezechiele è un discorso politico: voi pensate di essere perduti, ma invece si verificherà che acquisterete la vostra indipendenza e ritornerete ad essere una realtà vivente.
Ma c'è chi interpreta tutto questo passo in un altro modo, cioè riferendolo alla resurrezione dell'uomo dopo la morte.
Secondo la tradizione ebraica la cremazione del cadavere è proibita, illecita, in quanto il testo biblico dice: "Tu sei terra e dovrai tornare alla terra", perciò il modo più naturale di concludere la nostra esistenza è di farlo come è incominciata, mentre il fuoco è una cosa innaturale. Questa è la visione generale.
C'è chi dice (ecco la mistica che entra in azione), no la motivazione è un'altra, è che il corpo umano è congeniato in modo tale che dovrà poi risorgere e se noi veniamo inumati per terra, è vero che la nostra carne viene distrutta, ma c'è un piccolo ossicino, da qualche parte del nostro corpo che è infinitesimo, che è in qualche modo il seme attorno al quale si ricostruirà l'entità umana e questo piccolo ossicino è indistruttibile da tutte le sostanze naturali, meno che dal fuoco, perciò se un tale fa bruciare il proprio cadavere, si sottrae la possibilità di essere richiamato in vita.
Nelle fonti del Talmud in cui si parla di tutto questo, questo ossicino viene chiamato luz. Chi ha fatto questo discorso probabilmente rifacendosi a una tradizione molto antica e che ha detto che questo ossicino si chiama luz, è partito da questa considerazione. Il testo biblico ci dice che Giacobbe ha fatto un sogno: una scala che era la porta verso il cielo e viene sottolineato un elemento, cioè che Giacobbe ha dato al luogo il nome di Betel "Casa di Dio", però, dice la Bibbia, quel posto prima si chiamava Luz. Dunque un posto che era Luz, poi Betel, la casa di Dio, poi la scala-porta verso il cielo; ha lo stesso nome di qualche cosa che dovrebbe essere la porta verso l'immortalità. C'è un intreccio di cose. Sempre nella storia di Giacobbe questo luz ritorna in un passo molto strano. Tutto quello che il testo biblico ci dice: un nome, un particolare, tutto fa parte del racconto, non sono elementi di colore, ma sono concetti che ci fanno capire meglio il racconto che ci viene proposto.
Lo stesso termine luz ritorna in un testo molto strano, che riguarda sempre la storia di Giacobbe e in particolare il suo rapporto con lo zio materno Labano. Premetto che sia Giacobbe sia Labano erano due imbroglioni incredibili e lungo gli anni del loro rapporto si fanno imbrogli reciproci. A un certo punto Giacobbe, stanco dei comportamenti di suo zio, minaccia di tornare a casa sua, ma Labano tanto fa che riescono a trovare un accordo riguardo alle greggi. Perché il problema era che il gregge di Giacobbe cresceva sempre più. Dunque l'accordo è che Giacobbe avrà come stipendio tutte le pecore che nascono a tinta striata, mentre quelle a tinta unita saranno di Labano. Ma Giacobbe escogita un espediente: fa accoppiare le pecore davanti a degli abbeveratoi particolari, che lui stesso prepara. Prende dei bastoncini di piante particolari, che non riusciamo neanche bene a identificare; fra queste piante c'è un vegetale chiamato, guarda caso, luz.
E' un caso? Perché il testo biblico si dilunga a spiegarci queste minuzie, ci dà questi nomi di piante sconosciute? Luz rimanda con forza al nome di quell'ossicino che noi abbiamo e che non sarà mai distrutto, presagio di risurrezione per l'uomo. Ecco perché è importante!