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L'ANNO SABBATICO
(RAV Luciano CARO)
Questa sera dovrei parlare dell'anno sabbatico nell'ottica della visione Ebraica delle cose.
Comincerò dal testo Biblico, poi vi riferirò in quale modo noi ebrei l'abbiamo interpretato nel corso dei secoli.
Credo che divagherò un pochino, anche perché l'argomento (si parla di economia), non è così eclatante, così esaltante come possono essere dei passi biblici di carattere così detto "narrativo".
Volevo riferirvi prima di tutto, una visione generale del mondo della economia, così come noi ebrei la leggiamo nel testo Biblico. La visione economica che ci dà il testo della Bibbia è molto diversa da quella a cui noi siamo abituati nel nostro mondo occidentale. Vi dico subito che uno dei grossi problemi che noi ebrei, ma non solo noi, ci poniamo è questo: "Se volessimo riconoscerci nelle disposizioni che la Bibbia ci fornisce, attuandole nel mondo moderno, come potremmo fare?". Il mondo biblico parla di una situazione economica straordinariamente diversa dall'attuale. Il popolo semitico, nel quale nasce quello ebraico, queste problematiche se le era poste.
Abbiamo motivo di pensare che nell'antico Egitto, i cosiddetti beni strumentali fossero di proprietà assoluta della corona; la terra appartiene al faraone. C'è, a tale proposito, un interessantissimo capitolo della Genesi, il cap. 40, in cui si parla di un intervento di Giuseppe, divenuto vice re d'Egitto, che dava determinate disposizioni inerenti la distribuzione, la proprietà della terra. Questo passo ci fa pensare che tale capitolo sia in relazione con una polemica che doveva circolare in Egitto. Comunque, per quanto noi ne sappiamo, nel paese delle piramidi, la terra, il bene strumentale per eccellenza, appartiene al faraone, che la distribuisce nella forma che lui ritiene più opportuna. Se guardiamo il mondo della Mesopotamia, un altro dei poli attraverso i quali si muove il mondo ebraico, abbiamo delle notizie, anche queste molto generiche, che fanno pensare che, invece, era in atto una proprietà privata del terreno. Vi sono quindi due modi differenti di considerare l'economia.
Se adesso entriamo in quello che è il mondo ebraico, così come ci è fotografato dal testo Biblico, dobbiamo considerare alcune cosette. Ci sono molti passi, soprattutto nel libro della Genesi, ma anche negli altri libri Biblici, che ci forniscono una connotazione molto precisa, della volontà di qualche personaggio importante, di comperare del terreno, come segno della propria presenza.
Questi passi possono essere interpretati in tanti modi.
Ricordate il passo di Abramo, al quale muore la moglie e si pone il problema di seppellire il corpo? Il testo ci racconta molto minuziosamente, molto dettagliatamente tutte le procedure intraprese da Abramo per l'ac-quisto di un pezzo di terra da destinare alla sepoltura del corpo. In quel periodo Abramo, che abitava a Ebron, si rivolge ai maggiorenti del luogo, i resti della popolazione Ittita, una civiltà molto sviluppata tra l'altro, per ottenere il suo appezzamento. I suoi interlocutori, che nutrivano molto rispetto nei suoi confronti, rimasero leggermente esterrefatti: "Non abbiamo mai sentito una cosa di questo genere; vai al cimitero e seppellisci il corpo nel posto che ti pare più opportuno!". Abramo insiste e la discussione si dilunga. In conclusione, secondo quanto ci è descritto, egli comperò non un metro quadrato, ma il sepolcro, la spelonca in cui esso era contenuto, i campi tutto attorno, gli alberi. Egli ha acquistato un appezzamento notevole allo scopo di farne un cimitero per la moglie, riservando anche alcuni posti per se stesso e per i suoi discendenti.
Sorge spontanea una domanda: "La Bibbia non aveva argomentazioni migliori da raccontarci, rispetto a queste discussioni sulla compravendita di un terreno?".
Un atto successivo di acquisto, è quello di Isacco, che compera un pezzo di terreno non più a scopo di sepoltura, ma per altri motivi. I passi ci vogliono indicare la grande fede che i patriarchi avevano nel Padre Eterno. Dio aveva più volte promesso ad Abramo e ai suoi discendenti che tutta questa terra, intendendo la terra di Canaan, appartenesse a loro e tale proprietà era inalienabile. Nonostante le ripetute promesse di Dio, Abramo, per la sepoltura della moglie è costretto ad acquistare un pezzo di terra; poteva rivolgersi a Dio e rivendicare il suo diritto, ma non lo fa. Credo che l'impostazione di questi passi non sia questa, ma sia piuttosto di un grande rispetto che Abramo nutriva nei confronti della popolazione locale. Possiamo presupporre che egli ritenesse che la promessa di Dio nei confronti suoi e dei suoi discendenti, fosse fatta in forma religiosa, e come tale per i Cananei e gli Ittiti non aveva significato e pertanto erano loro i padroni del terreno.
Qualcosa di analogo lo troviamo nel libro dei Re, laddove il re Davide compra un appezzamento da un Cananeo allo scopo di costruire presumibilmente quello che poi diventerà il Santuario di Gerusalemme. Pensate: Davide, il grande re d'Israele, il più grande re che c'era, non può disporre del terreno se non dopo averlo acquistato e pagato al legittimo proprietario! Il padrone del fondo, Ari, quando il re gli propose l'ac-quisto, era intenzionato a donarglielo, ma Davide non vuole assolutamente, lo deve pagare: "0 sei disposto a vendermelo, o non se ne fa niente!".
Lungo tutta la narrazione vi è quindi una ripetuta attenzione per l'acquisto di appezzamenti di terreno.
Accingendoci a parlare della legislazione ebraica che riguardava il popolo uscito dall'Egitto, occorre dire che si fa riferimento a una situazione della Bibbia che ci lascia un po' perplessi, perché non è chiaramente descritta in tutti i dettagli. Allorché il popolo ebraico fosse entrato nella terra promessa, subito dopo avere proceduto alla sua conquista e alla sua occupazione, si doveva procedere alla "divisione" della terra stessa. Il territorio doveva essere suddiviso a seconda del numero delle tribù d'Israele, le grandi famiglie che si riconoscevano attraverso i figli di Giacobbe. Ogni tribù doveva disporre di un suo territorio ben delimitato, con certi principi e certe connotazioni. A tribù grande corrisponde un territorio grande, a tribù piccola un territorio piccolo. Al momento della divisione, si doveva ottenere l'accordo di tutte le tribù: una certa tribù esponeva le richieste in base alla sua grandezza, se tutte le altre erano d'accordo, la terra veniva assegnata, se invece l'accordo non si raggiungeva e vi era un terreno conteso da tribù diverse, si ricorreva alla "sorte". Ovviamente per "sorte" il testo Biblico non intende il caso, ma si riferisce alla Volontà Divina che si manifesta attraverso la sorte. Non so come facessero per estrarre a sorte; ci sono tante interpretazioni, ma non è il caso di soffermarsi qui.
Viene previsto comunque, che ogni famiglia ebraica possegga un terreno inalienabile, dalla cui cura deve ricavare le proprie risorse economiche. Ciò non vale però per la tribù di Levi, la quale, secondo la visione Biblica, non ha avuto nessuna parte nella distribuzione del terreno: i suoi membri sono sparsi in mezzo alle altre tribù, perché devono occuparsi di cose di altro genere. Si possono identificare in quelli che noi oggi chiamiamo liberi professionisti e cioè medici, avvocati, giudici. Questi devono dedicarsi ad una serie di servizi per la collettività.
Questi ordinamenti hanno avuto delle ripercussioni in tutta la legislazione successiva al punto che, un po' paradossalmente, si dice che ad ogni ebreo spettano almeno quattro braccia quadrate di proprietà effettiva del suolo della terra di Israele. (Io sono andato a cercare la mia proprietà personale, ma nessuno mi ha indicato quale fosse!).
Comunque si riconosceva che ogni membro, ogni famiglia, ogni tribù, avesse diritto alla sua proprietà terriera, che era considerata inalienabile: si può vendere si può regalare, ma ritorna al legittimo proprietario. Direi che questa proprietà sia ad personam; detto così può sembrare bello, ma pone una serie di problemi enormi, perché non tiene conto per esempio del principio dello sviluppo della popolazione. Un territorio viene diviso tra una popolazione di 200.000 persone e se queste diventano 1.500.000, come si fa? Ognuno rinuncia a una parte oppure si estende il territorio? In che modo? Come si deve procedere? Il testo non fornisce delle precisazioni.
Nel testo si fa riferimento al fatto che possono determinarsi delle situazioni per cui una persona può decidere di trovare il proprio sostentamento non dalla cura del terreno o dalla pastorizia, ma dal lavoro dipendente. Il testo ci fa pensare però, che in quell'ambiente tale lavoro fosse considerato una situazione molto spiacevole. Il lavoratore è assimilato al povero; se una persona si fa assumere da qualcuno, vuol dire che non ha altra scelta.
Vedete che differenza dal sistema economico e dalla visione delle cose che abbiamo noi!
Oggi tutti desiderano un lavoro dipendente come risoluzione dei problemi; nel mondo antico, invece, colui che vende il proprio lavoro a un altro è considerato un disgraziato, uno che va aiutato.
Spesso troviamo la visione del cosiddetto "sakìr", cioè quella persona che esercita un'attività lavorativa dietro la corresponsione di una retribuzione. Come può determinarsi la situazione di sakir? Può verificarsi il caso di un soggetto che venda il suo pezzo di terreno perché non ha voglia di coltivarlo o ha avuto dei colpi di sfortuna: il suo terreno è stato soggetto ad un'alluvione o simili.
La vendita può essere effettuata, ma quando giunge l'anno del Giubileo, cioè una volta ogni cinquanta anni, tutte le cessioni non hanno più nessun valore. Questo sistema consente a tutti di sopravvivere: nessuno diventa ricco e nessuno diventa povero. Se colui che ha venduto il terreno non ha saputo o voluto coltivarlo e magari ha perso il ricavato giocando a carte, non è giusto che ai suoi discendenti venga sottratto un bene che è loro per diritto. Quindi, quando arriva il Giubileo, ricco o povero, intelligente o non intelligente, bravo professionalmente o no, si ricomincia tutti da capo.
Ci sono dei dettagli che avremo occasione di vedere successivamente. Vorrei che aveste chiara questa visione: la terra come patrimonio inalienabile di ogni persona, nel senso che non possiamo disfarcene.
Non so se avete mai avuto occasione di affrontare il problema delle così dette "decime". Il testo prevede che ogni produttore, sia di prodotti
agricoli, sia nel settore della pastorizia, debba pagare delle decime, che sono sul piano sociale, religioso, una specie di imposte, una forma di tassazione che fuoriesce dalla tassazione governativa di politica economica. Sono una serie di prelievi che avvengono sottraendo una parte notevole del reddito al produttore. Vi dico molto rapidamente di cosa si tratta: appena si è provveduto al raccolto di un prodotto della natura, il produttore ne deve prelevare immediatamente una parte da destinare ai sacerdoti e se non fa questo, gli è assolutamente proibito consumare il tutto.
Faccio un esempio molto banale: ho raccolto dal mio campo 100 kg di grano che non posso utilizzare in nessuna forma, né mangiarlo né commerciarlo, se prima non ho provveduto a detrarne una parte che è fissata dalla Bibbia, in base alla legislazione ebraica successiva, nella misura di: 1/50. Quindi 2 kg sono da consegnare ai sacerdoti, che si occupano della gestione del santuario, del culto sacrificale, delle preghiere ecc. Devo inoltre prelevare un'altra decima, questa volta nella misura di 1/10 di quello che ho raccolto, per i Leviti, cioè quelle persone che si occupano di prestazioni professionali come medici, avvocati, giudici, quelli che si adoperano per la struttura amministrativa di uno Stato.
Fatto questo, quanto è rimasto dei lOO kg di grano? Circa 88 kg. In questo modo si perde il 12% del prodotto. Non è finita, perché dopo aver prelevato la prima decima nella misura di 1/10, ve n'è una seconda dello stesso importo! Con una impostazione molto strana tale decima, nel periodo di sei anni, deve essere accantonata dal produttore che ha l'obbligo di consumare tale prodotto recandosi a Gerusalemme in occasione dei pellegrinaggi oppure di riscattarlo, ossia venderlo, accantonare il ricavato e spenderlo a Gerusalemme.
Ci sono molte implicazioni di carattere sociale in questo costringere il produttore, il contadino ad andare a consumare una parte del suo prodotto in un certo luogo, che per combinazione è la capitale.
Qualcuno ritiene che forse questa norma si ripromette di sprovincializzare il contadino, una persona dura, molto legata alla sua terra, che tende a vedere nel proprio terreno l'universo. Lo si costringe a partecipare ad una vita associata che raccoglie tutta la gran parte della popolazione per motivi culturali, religiosi e sociali.
La decima nel terzo e sesto anno non va consumata, ma è da destinare ai poveri: una perdita secca! Se prendete la matita e fate un piccolo conticino, vedete a questo punto quanto è già stato prelevato al povero produttore, che inoltre dovrà sostenere delle spese di trasporto per recarsi a Gerusalemme, indipendentemente che venda o consumi il suo raccolto.
Ci sono altre considerazioni sulle quali non voglio soffermarmi e non voglio entrare nei particolari.
La visione biblica sostiene che chiunque può entrare nel campo di un altro e consumare quello che desidera; si determina la situazione di furto solo quando qualcuno prende le pesche e le porta via con sé. Questo è il principio di carattere generale; pensate un po' il padrone di un campo con quanta gioia vede arrivare la gente!
E' previsto anche che tutti quei prodotti agricoli che siano caduti da soli o incidentalmente durante la raccolta, non sono più di proprietà del possessore del fondo, ma dei poveri. E' inoltre stabilito che non si possano consumare e nemmeno raccogliere, ma lasciare a disposizione dei poveri, tutti quei prodotti che non si presentano con la loro forma naturale: trovo una mela che non ha la forma di mela, che non è sferica, ma ha delle protuberanze, non è perfetta, non la posso raccogliere.
Proseguo ancora: se pianto un albero, per i primi tre anni mi è assolutamente proibito prelevare i suoi frutti, il quarto anno invece li raccolgo, ma li devo destinare a opere sociali; comincio così a godere dei suoi frutti dal quinto anno in poi.
Questa serie di disposizioni fanno sì che una persona onesta, che si prende cura dei suoi campi, ricco non diventa sicuramente; è già tanto se riesce a sopravvivere!
Finalmente siamo giunti al nostro argomento: l'anno sabbatico. Vi leggo molto rapidamente il cap. 25 del libro del Levitico:
"II Signore parlò a Mosè … sul monte Sinai dicendo: parla ai figli d'Israele e riferisci loro: quando entrerete nel paese che io vi do, abbia la terra il suo riposo in onore dell'Eterno. Per sei anni seminerai il tuo campo e per sei anni poterai la tua vigna e ne raccoglierai i prodotti; ma il settimo anno sarà riposo assoluto: riposo per la terra, riposo in onore dell'Eterno. Non seminerai il tuo campo e non poterai la tua vigna, non mieterai quello che nascerà dai semi caduti al tempo della mietitura e non vendemmierai l'uva della tua vigna non potata, sarà un anno completo di riposo per la terra e quanto produrrà durante il suo riposo sarà cibo per te, per il tuo servo, la tua serva, il mercenario (il tuo dipendente), e il forestiero, come pure per il tuo bestiame e gli animali che si trovano nel tuo paese, tutto il prodotto servirà di nutrimento".
Notate anzitutto che viene specificato "sul monte Sinai", quasi a dire che queste disposizioni fanno parte dei dieci comandaménti, sono una legislazione importante.
Chi possiede un campo lo deve coltivare per sei anni, il settimo no e tutto quello che vi nasce spontaneo deve servire di nutrimento a chiunque; quindi colui che è proprietario di un terreno, lo è per sei anni, il settimo anno non gode del suo diritto di proprietà. Quel che nasce può essere prelevato non solo dal produttore, ma chiunque ha diritto di entrare, raccogliere il frutto e mangiarlo, persone e animali.
Se fate il conticino che dicevo prima, sarete d'accordo con me che la situazione non è molto allegra economicamente: chi possiede un terreno ne può ricavare il prodotto di 6/7 su cigli di sette anni, poi vi sono tutte le decime di cui vi parlavo prima e infine i prelievi dello Stato.
Oltre questi aspetti di carattere agricolo, ce ne sono degli altri che leggiamo nel cap. 15 del libro del Deuteronomio:
"Alla fine di ogni settimo anno celebrerete la remissione: ogni creditore rimetta ciò che avrà prestato al suo prossimo, non lo riscuota dal suo prossimo, dal suo fratello; quando sarà proclamato l'anno della remissione del Signore tu potrai esigere il tuo credito dallo straniero ma quello nei confronti di tuo fratello lo lascerai cadere. In verità non ci sarà nessun bisognoso in mezzo a te, perché il Signore ti benedirà largamente nella terra che l'Eterno tuo Dio ti dà in retaggio a possedere, purché tu ubbidisca esattamente alla voce dell'eterno tuo Dio".
Anche qui non voglio entrare nei particolari, ma sembra di intuire che venga data un'altra disposizione: il settimo anno oltre a non poter coltivare la terra, avviene anche la remissione dei debiti.
Se ho prestato un bene a un soggetto o gli ho concesso un credito, quando scade la fine del settimo anno, questo prestito non c'è più, non posso esigere il mio credito. Si vuole sottolineare questo aspetto: se hai pre-stato qualcosa a qualcuno, significa che questo aveva bisogno e tu lo hai aiutato in quanto eri in grado di farlo, altrimenti non gli avresti concesso il prestito.
Sono leggi molto avanzate dal punto di vista sociale, ma credo anche molto difficili da applicare. La remissione del credito prevede una situazione di grande apertura mentale, di bontà d'animo della gente.
Non sappiamo come e se queste leggi siano state applicate nel periodo Biblico, ma in epoca post biblica sì.
La Bibbia è troppo avanzata e direi in qualche modo utopistica, nel senso che si prevede che io creditore sia disposto, ad un certo punto, a rinunciare al prestito che ho fatto.
Si era constatato che di fatto accadeva che, quando si avvicinava il settimo anno, nessuno concedeva più alcun prestito. Faccio un esempio: il settimo anno è stato l'anno scorso, siamo nel primo anno del ciclo e un tale mi chiede un prestito di Lit. 1.000.000 e io glielo concedo poiché ho buone prospettive per recuperarlo, ho sei anni di fronte. Quando ci avviciniamo al settimo anno però e qualcuno mi chiede un prestito per lo stesso importo, non so se sarei così buono, se glielo darei. Devo fare anche i miei conti, magari comincia a tergiversare; lascia passare il tempo e quando arriva il settimo anno, arrivederci e grazie!
Si era pertanto constatato che le richieste del testo Biblico non tenevano conto dell'animo umano, che non è così buono, così nobile, come forse ci si sarebbe potuto aspettare da una popolazione che era uscita dalla schiavitù d'Egitto. Nacque così un grande problema: l'applicazione ferrea della norma biblica veniva a fermare 1'economia e inoltre 1'impossibilità di ottenere un prestito metteva a disagio proprio i bisognosi. Si riscontrò infatti, che all'avvicinarsi circa del quarto anno, la gente non faceva più prestiti.
I nostri maestri si misero a tavolino e considerarono che l'applicazione della norma comportava dei disagi di carattere sociale ed economico e che era loro dovere salvaguardare la norma ma anche la vita economica della società. Hanno così inventato un documento, il prosbòl (deve essere una parola di origine greca; qualcuno sostiene che derivi dal termine Prosbullè, cioè "ente, tribunale, istituzione").
I maestri crearono una persona giuridica che fungeva da terzo fra le parti.
La procedura è la seguente: si redige il documento secondo il quale un soggetto presta il suo denaro all'ente pubblico, all'assemblea, al tribunale, che a sua volta rilascia un prestito a chi lo richiede.
L'erogazione e la ricezione del prestito avviene sì tra due soggetti, ma uno di questi è una personalità pubblica.
In questo modo, non solo la norma viene raggirata, ma si crea anche la possibilità di concedere dei prestiti per fini diversi da quelli che la legislazione stabiliva nella Bibbia.
Il testo fa riferimento a un tipo di società in cui il prestito veniva richiesto soltanto da chi si trovava in stato di necessità, ma quando l'economia
si sviluppa, i prestiti possono avere un altro tipo di connotazione: ottengo da un mio compagno un prestito e investo quel denaro in BOT, sapendo che al settimo anno non dovrò restituire nulla.
Immaginate un cambiamento radicale nella struttura economica di un paese, di una popolazione, che fa sì che questi prestiti in denaro e altri beni hanno una connotazione diversa da quella che è il bisogno impellente.
Prima di andare avanti, voglio fare un altro piccolo inciso: parlavo poc'anzi del divieto di raccogliere frutta e prodotti agricoli caduti inavvertitamente. Tutto il libro di Rut è incentrato su questo elemento.
Ma c'è un'altro aspetto che ho dimenticato: quello dell'angolo del campo. Io produttore, contadino, proprietario, devo seminare il mio campo, ma quando è tempo di raccogliere i frutti, debbo recintare un angolo del terreno che ho lavorato, per destinarlo ai bisognosi. Non viene determinata qual è la misura di esso, ma deve essere presente. Ed ecco un'altra sottrazione di reddito.
Volevo aggiungere un' altra questione collegata con la vendita di un terreno. Vi è una normativa nel libro del Levitico che sostiene questo: quando un soggetto vende un pezzo di terreno o una casa o qualunque altro bene, ha la possibilità di ripensamento e di farsi restituire il bene venduto entro l'arco di undici mesi. Ho venduto un bene in un momento di necessità, ora sono in condizione di recuperarlo; colui che l'aveva acquistato, deve ricedermelo al prezzo che a suo tempo era stato pattuito. Tale normativa vale per tutti i beni, tranne che per la casa di città, che, dopo un periodo di tempo relativamente breve, diventa proprietà inalienabile dell'acquirente; in questo caso anche il Giubileo non ha effetto.
Vi dico questo per farvi notare la differenza del mondo antico da quello moderno: è il contrario di quello che succede oggi. Perché questo? Le case di città erano considerate come un optional, come un bene voluttuario, che non serve. Ci si va soltanto quando non si ha niente da fare; quello che serve è la campagna, la casa colonica, il campo, ecc...
Sono i beni strumentali quelli che mi consentono di sopravvivere, mentre la casa di città, no.
Vi voglio spiegare com'è stato interpretato il principio generale dell'anno della remissione dei terreni e dei debiti dai nostri maestri, i quali hanno osservato una serie di divieti molto precisi, che poi vengono considerati dettagliatamente nei nostri codici. Da essi noi ricaviamo delle disposizioni di legge che nel settimo anno vietano di coltivare i campi, gli alberi, di procedere a qualsiasi tipo di lavoro materiale; a differenza degli altri anni non si possono cioè mettere in atto tutti gli accorgimenti per la mietitura, la raccolta della frutta o la vendemmia.
Dal settimo anno in poi è considerato assolutamente proibito domandare la restituzione di un credito avvenuto nei sei anni precedenti, così come è anche proibito astenersi dal concedere un prestito, se si ha sensazione che chi lo chiede è in stato di bisogno, senza preoccuparsi del buon fine della riscossione.
Nel settimo anno però tutti possono godere e cibarsi dei frutti che nascono spontaneamente nel campo.
Questi prodotti spontanei della natura hanno un carattere di sacralità, per cui la legislazione ebraica successiva prevede che possano essere mangiati da tutti. Ciò deve però avvenire con una grande attenzione, direi quasi con una forma di religiosità, considerandoli dono che proviene direttamente da Dio, qualcosa che la natura ci fornisce per volontà divina. Per questo motivo si presenta il divieto di cibarsene in forma anomala, diversa da come la natura li offre: non si può spremere un'arancia per berne il succo, ma la si può mangiare nella sua forma, senza che ci sia stato un intervento umano che ne abbia cambiato la destinazione. Eccezione costituiscono vino e olio, in quanto si ritiene naturale che l'uva sia destinata alla produzione di vino e le olive alla produzione di olio.
Avrete sicuramente sentito nella Bibbia, l'espressione "la terra stillante latte e miele". Il latte era latte vero e proprio, su questo siamo d'accordo, ma quello che nel testo è definito miele, non è assolutamente il nostro miele. Presumibilmente era un prodotto che andava per la maggiore, consumatissimo da tutti, una specie di composta di frutta; si presentava in forma non proprio perfetta: ne facevano delle schiacciate, forse la cuocevano, un prodotto più o meno solido, molto dolce, che loro chiamavano miele, ma che era piuttosto una specie di marmellata.
Di questo cibo quindi non era possibile nutrirsi nel periodo del settimo anno, in quanto manipolato dall'uomo.
Proprio perché tali frutti erano considerati un regalo di Dio in quanto spontanei, era possibile cibarsi di essi fino a quando erano disponibili in natura; terminata la loro stagione, era proibito il loro consumo, anche se se ne avevano ancora a disposizione.
Nel libro del Deuteronomio, a proposito di questi frutti, si fa riferimento ad una dichiarazione che ogni proprietario terriero deve redigere. E' una sorta di dichiarazione pubblica, ufficiale: "Non posseggo assoluta-mente prodotti del settimo anno". Prima della dichiarazione, i prodotti rimasti dovevano essere consegnati a qualche istituzione, divenendo, così, proprietà pubblica.
Credo di avervi abbastanza assalito con una quantità di notizie, esposte anche in forma un po' disordinata, ma voglio aggiungere questo: secondo la legislazione ebraica, queste normative che regolano il rapporto con il terreno del settimo anno, sono valide soltanto nella terra di Israele.
Il testo espone chiaramente: "Quando entrerai nella terra che il tuo Dio ti dà…".
Non perdono invece validità le norme che riguardano i debiti e i crediti concessi. Per tale differenza potremmo ipotizzare delle motivazioni di carattere sociale per quanto riguarda i crediti, come abbiamo già visto, mentre, per quanto concerne il nostro approccio con la vita dei campi, c'è sicuramente un'attenzione al problema dell'ecologia, a non sfruttare troppo il terreno, facendolo riposare.
Qualcuno poteva domandarsi: "Se non lavoro i campi, cosa mangerò nel settimo anno?". La risposta, un po' paradossale, che il testo suggerisce è: "Se metterai in pratica queste disposizioni con spirito ben disposto, il sesto anno ti darà una produzione così ricca che avrai da mangiare per il sesto, settimo e anche l'ottavo anno!".
Oltre all'aspetto ecologico, cioè il rispetto nei confronti della natura, che non deve essere forzata e sfruttata, si può considerare l'aspetto del sabato. Si fa cioè mentalmente riferimento al discorso della creazione: Dio ha creato il mondo in sei giorni, il settimo ha cessato la sua opera, ha disposto all'uomo di svolgere la sua attività lavorativa quotidiana per sei giorni e di astenersi da essa il settimo giorno. Lo stesso concetto deve riguardare la terra, che ha tempi molto diversi da quelli dell'uomo. L'essere umano può vivere il suo tempo in settimane, la terra divide il suo in anni.
Anche questo è quasi un riconoscimento della Creazione di Dio e della sua sovranità su tutto ciò che è stato creato.
Vorrei concludere e non inoltrarmi in questo argomento, altrimenti divaghiamo. Lo Zoàr, il libro di testo classico della mistica ebraica, della Kabala, oltre a esporre tutte le nozioni che abbiamo analizzato (l'ecologia, il rispetto del terreno, la sovranità, ecc.), fa un'altra considerazione che mi lascia un po'perplesso. Infatti stabilisce che: "Per l'uomo c'è la settimana: sei giorni lavorerai, il settimo riposerai e per la terra c'è il settennato: sei anni la coltiverai, il settimo riposerà; per l'universo c'è una specie di… non so come chiamarlo in italiano, settemillenario: sopravvive per seimila anni e il settimo millennio cambia tutto". E' un po' come quanto si diceva per l'anno mille, che sarebbe finito tutto.
Dio ha un atteggiamento nei confronti dell'universo congeniato in questo modo: per seimila anni il mondo sussiste, il settimo millennio cambia tutto. Adesso non voglio dire che distrugga l'universo, ma che si ricomincia tutto da capo, ci sono quindi mille anni di pausa.
E' mistica, quindi non si pongono domande su queste cose; non credo che chi le ha dette volesse fare una battuta così, tanto per attirare l'attenzione della gente; c'è proprio questa considerazione nei confronti del creato, che il tempo ha una sua organizzazione.
DOMANDA: "A proposito dei meccanismi di elargizione dei prestiti, la decorrenza da quando è iniziata? "
RISPOSTA: La divisione del tempo non è personale, ci sono delle date prestabilite; secondo una lettura un pò superficiale del testo biblico, hanno cominciato a istituire il primo anno sabbatico della terra, ventuno anni dopo l'entrata in Terra di Israele ad opera di Giosuè.
I primi ventuno anni hanno considerato che era necessario organizzarsi per la guerra, per la divisione ecc.
Si dice che, dopo questo lasso di tempo, si sia cominciato a conteggiare il ciclo dei sette anni. Se non sbaglio l'anno in cui siamo adesso è il terzo del ciclo. Quindi c'è ancora quest'anno, poi altri tre e poi la terra non dovrebbe essere lavorata.
Devo dirvi che in Israele c'è una grande attenzione nella vendita dei prodotti: per garantire colui che è sensibile a queste normative, vengono indicati quali sono i prodotti non di produzione del settimo anno, per cui la persona così detta "religiosa", che si riconosce in questi insegnamenti, può comprarli senza alcun timore. Non tutti però hanno questa attenzione nei loro acquisti.