Menu principale:
GLI APOCRIFI
(Rav Luciano Meir Caro)
Circa 400 anni prima dell'era volgare, al ritorno degli Ebrei da Babilonia, si è deciso che alcuni testi erano da considerarsi sacri, altri no. Quelli sacri dovevano essere conservati, mentre gli altri era meglio tenerli fuori, perché considerati non ispirati da Dio. L'idea generica era che leggere dei testi non sacri, è una perdita di tempo. Bisogna tener presente la difficoltà che c'era allora di procurarsi dei testi scritti.
I testi estromessi dal canone sono stati chiamati apocrifi; sono in un certo senso "falsi", nel senso che non sono stati scritti sotto ispirazione divina. In ebraico amiamo chiamarli i libri chizzonìm, cioè "esterni", perché sono quelli rimasti esterni al canone biblico.
La scelta tra i libri ispirati e quelli no, non è stata indolore; in alcuni casi le cose erano chiare, mentre per altri libri ci sono state difficoltà, ad es. per il Cantico dei Cantici, il Kohelet, Ester.
Appartengono ai libri "esterni" tutti quei libri che sono paralleli ai testi biblici dal punto di vista cronologico, oppure paralleli dal punto di vista del contenuto, ma che, appunto, dopo un sofferto esame non sono stati accolti all'interno del canone.
Per un lunghissimo periodo di tempo questi libri sono rimasti praticamente allegramente sconosciuti, perché nessuno pensava di trascriverli; ma avvicinandoci ai tempi moderni, si è cominciato a pensare che fosse importante dedicarsi allo studio anche di questi testi. Quindi si sono recuperati manoscritti, frammenti qua e là e il grosso del lavoro è venuto fuori dalla ghenizà (che significa ripostiglio) del Cairo (scoperta nel 1896). Sappiamo che tutti quei testi nei quali è scritto il nome di Dio o che sono stati usati ritualmente, quando non sono più utilizzabili per l'usura del tempo, vengono riposti in un magazzino, di modo che non siano più accessibili alle persone e si lascia che sia il tempo a distruggerli. Ogni tanto si provvede a seppellire tutto questo materiale, proprio come si fa per un defunto. Proprio ieri ho seppellito una serie di fotocopie non più servibili al cimitero di Ferrara.
Qualche volta le ghenizzòt sono fonti di materiale antico utile; come è successo al Cairo, dove è stata trovata una ghenizà molto ricca, anche con manoscritti di libri apocrifi.
Un altro ritrovamento clamoroso è stato quello di Qumràn, che ha dato alla luce alcuni manoscritti importantissimi. Ci si chiede se in queste grotte c'era una biblioteca, oppure un deposito usato per proteggere i testi, oppure era una ghenizà. Le condizioni climatiche hanno favorito una conservazione dei testi stupefacente.
La parte maggiore e migliore, più originale, dei testi di Qumràn è costituita, appunto, da rotoli di libri apocrifi.
Molti di questi libri, leggendoli, nonostante non si siano conservati così dettagliatamente come i testi biblici, ci portano in un clima molto simile a quello dei testi biblici, tanto che non si riesce a capire il perché non siano entrati nel canone. Qualcuno elabora delle ipotesi: forse perché originariamente, quando ci si trovò di fronte a questi testi - parlo di 2000 anni fa - non si aveva la redazione originale, ma la traduzione, o aramaica o greca, per cui non si poteva attribuire sacralità a un testo scritto non in lingua sacra. Qualcuno dice che, prima di considerare questi testi, noi avevamo una specie di buco nero. Cioè c'erano i testi biblici, che si chiudono ai tempi di Esdra, 400 anni circa prima dell'era volgare; poi cominciano a circolare nuovi testi ebraici, post-biblici, detti mishnà, poi il Talmud a partire praticamente dal I sec. prima dell'E. v. fino al V sec. dopo. Ma il periodo che va dal 400 prima dell'E. v. al 100 dopo l'E. v. rimane un periodo vuoto, privo di testi letterari degni di questo nome. Gli studiosi sostengono che questi testi apocrifi sono la continuità, il passaggio tra il testo biblico e gli altri testi letterari post-biblici.
Non c'è bisogno che dica che alcuni di questi testi sono invece entrati nel canone biblico cristiano.
L'unico testo di passaggio tra i testi sacri e quelli non sacri è il famoso libro dell'Ecclesiastico,in ebraico il Ben Sirà. Sembra che gli Ebrei dell'epoca talmudica (500 anni dopo) stessero ancora discutendo sulla sacralità o meno di questo libro; a volte passi di questo libro sono citati nei testi talmudici, a volte in termini critici, a volte con molto favore, con la stessa modalità con cui si citavano i libri sacri.
Elenco rapidissimamente, senza entrare nei dettagli.
La preghiera di Manasse (Menashé). Questi era un re ebreo, vissuto 800 anni prima dell'E. v., del quale si dice che sia stato un re pestifero, uno dei più deleteri da tutti i punti di vista. A un certo punto si sarebbe ricreduto, avrebbe fatto penitenza e avrebbe scritto una preghiera a Dio per chiedere misericordia. La prima idea è che questa preghiera non centri niente col re ebreo, ma sia riferita a un certo Menashé citato nelle Cronache, vissuto in Assiria molto dopo.
L'epistola di Geremia. Si trova nei manoscritti dei Settanta ed è una specie di continuazione del libro delle Lamentazioni. Dal punto di vista ebraico, Geremia, uno dei profeti maggiori, avrebbe scritto il suo libro, ma poi sarebbe anche l'autore delle Lamentazioni, che contengono la descrizione della distruzione di Gerusalemme ad opera dei babilonesi nel 586 prima dell'E. v. Non c'è nessun motivo di pensare che Geremia sia l'autore di questo libro, ma siccome si dice che lui ha assistito alla distruzione di Gerusalemme, gli si attribuito anche lo scritto.
Il libro di Barùch. Nel testo biblico originale si racconta che Geremia il profeta aveva un segretario di nome Barùch, che provvedeva a mettere per iscritto le profezie del suo maestro. Risulta che ne abbia fatte più copie, perché quando le leggeva, il re non era d'accordo con i contenuti delle profezie e perciò le distruggeva; ma lui le riscriveva.
Il libro di Barùch non ha niente a che fare col libro di Geremia. E' composto di tre parti e sembra che non abbiamo niente a che fare l'una con l'altra, al punto che forse non hanno nemmeno lo stesso autore. In questo libro vengono offerte alcune connotazioni di carattere storico sulla caduta di Gerusalemme, ma sembra ci siano molte incongruenze anche storiche.
Il salmo 151. Sapete che il nostro libro dei Salmi ne comprende 150, ma nei manoscritti di Qumràn è stato ritrovato il testo completo del salmo 151. Il testo è in traduzione greca, ma ci sono alcuni accenni alla vita di Davide, alla sua scelta come re e alla sua vittoria su Golia; tutto questo lascia molto perplessi, perché nel testo più completo, che è quello di Qumràn, non si parla di Golia, in altri testi invece sì. Non so se siete al corrente del grosso problema di Davide e Golia. Alla fine del testo del libro di Samuele si nominano i prodi che facevano parte dell'esercito di Davide e fra questi ce n'è uno che aveva ammazzato il gigante Golia. Allora chi l'ha ammazzato? Davide o un tale che faceva parte del suo esercito??
Aggiunte al libro di Ester. Sono state trovate alcune aggiunte al libro di Ester, ma sono piene di incongruenze. Una delle caratteristiche del libro di Ester è che non viene mai nominato Dio, anche se se ne percepisce la presenza; mentre le aggiunte presentano continuamente il nome di Dio, quasi per ovviare a quell'inconveniente del libro canonico.
Ci sono anche aggiunte al libro di Daniele; c'è Esdra apocrifo; la Sapienza di Salomone.
Due parole sull'Ecclesiatico, Ben Sirà. Qualcuno lo chiama anche Ben Siràch. Pare che sia attribuito a un tale chiamato Simone figlio di Gesù figlio Elazàr figlio di Sirà. Fra parentesi: Gesù Ieshùa è termine familiare per Iehoshùa, che significa Giosuè, ma Giosuè dagli amici era chiamato Gesù, in forma contratta. Il contenuto di questo libro è molto simile a quello del libro dei Proverbi; l'autore si propone di insegnare a un figlio o a un allievo come ci si deve comportare in questo mondo: con onestà, saggezza, sagacia, dandosi da fare, cercandosi un'occupazione e così via. Gli ultimi capitoli contengono una rassegna della storia ebraica e una serie di elogi di alcuni personaggi considerati di particolare interesse da parte dell'autore. C'è un accenno al famoso Enoch, di cui si parla nei primi capitoli della Genesi e si dice che "non c'è più, perché Dio lo prese". Parla anche molto ampiamente del sommo sacerdote a lui contemporaneo.
Libri dei Maccabei. Maccabei erano gli autori di una rivolta ebraica avvenuta nel 180 prima dell'E. v. contro il regime ellenistico pagano di Antioco. Esistono quattro libri dei Maccabei considerati "esterni", ma che godono di una considerevole attenzione, soprattutto il primo, perché ci offre una serie di notizie storiche, che altrimenti non avremmo. Giuseppe Flavio stesso ha attinto a piene mani a questo libro. Sicuramente questi quattro libri sono stati scritti da mani diverse. Salvo alcuni frammenti, tutto il testo è stato ritrovato solo nella traduzione greca.
Il quarto libro dei Maccabei non è di carattere storico, ma si propone di affermare che la saggezza fondata sul timore di Dio è capace di avere il sopravvento sulle pulsioni negative.
La rivolta dei Maccabei è quella che ha dato vita, poi, alla festa di Hannukà, la festa dei lumi, che noi celebriamo per otto giorni, accendendo il calendario a 8 bracci. Qui c'è una discrepanza tra le fonti storiche dei Maccabei e le fonti storiche del Talmud, scritto qualche centinaio di anni dopo. Il libro dei Maccabei dice che gli Ebrei, dopo aver fatto la rivolta contro i Seleuci ed aver recuperato la propria indipendenza ed aver purificato il tempio, hanno istituito la festa di Hannukà in relazione alla festa delle Capanne, anch'essa della durata di otto giorni. Le due feste sono connesse per il fatto che la guerra contro gli Antichi aveva visto tutti i combattenti uscire di casa e darsi alla macchia e vivere in capanne e la festa delle Capanne prevede proprio questo rito di abitare fuori casa, in delle capanne. Il Talmud, invece, racconta queste cose in modo totalmente diverso e riferisce del miracolo dell'olio e spiega che la festa è stata istituita della durata di otto giorni perché, quando si doveva inaugurare il santuario, bisognava accendere il candelabro a sette braccia, ma con un olio particolare, confezionato appositamente. Si era trovata solo una piccola ampolla che poteva servire al massimo per un giorno; ma, accendendo la lampada, essa ha continuato ad ardere per otto giorni, finché è stato possibile trovare altro olio fresco. Se le cose stessero così, il miracolo è durato sette giorni e non otto; date queste incongruenze, qualcuno dice che la storia dell'olio sia un'invenzione talmudica, siccome in periodo di occupazione romana non si poteva celebrare una festa che ricordasse l'indipendenza ottenuta nel passato. Così, mettendo in risalto il miracolo dell'olio, passava inosservata la commemorazione dell'indipendenza agli occhi dei Romani.
Nella mishnà c'è un passo che riguarda i testi "esterni" - la mishnà è stata messa per iscritto circa 100 anni dopo l'E.v. ma oralmente era già viva da 200 anni prima dell'E. v. - e si trova nel trattato sanedrìn, il sinedrio, che riguarda il funzionamento dei tribunali penali, l'emissione e l'esecuzione della pena di morte, ecc. Tra l'altro si dice che un tribunale che emettesse una sentenza di morte una volta ogni cento anni, era considerato un tribunale particolarmente crudele. Tenuto anche conto che emettere una sentenza di morte, non significava applicarla, anche perché veniva stabilito che prima di eseguire la sentenza, chiunque, anche l'imputato, può sempre sospendere il tutto dicendo che ha ancora qualcosa da dire.
Nel decimo capitolo dice: "Ogni ebreo ha parte del mondo futuro", cioè ha diritto a una sopravvivenza fisica post mortem e questo risulta da Isaia 60, dove si dice: "Il tuo popolo sono tutti giusti e per l'eternità erediteranno la terra", cioè staranno al mondo per l'eternità, perché la morte fisica è solo una pseudo morte. Quando i testi ebraici fanno queste dichiarazioni così ampollose, poi, se si legge tutto il passo, viene fuori che le cose non stanno così. Infatti il testo dice che la vita eterna spetta a tutti tranne a chi dice che non c'è sopravvivenza dopo la morte fisica; a chi dice che il testo biblico non ha origine divina; a colui che non onora i suoi maestri, anche chi gli avesse insegnato una sola lettera dell'alfabeto. Rabbì Akivà diceva che non ha diritto alla vita eterna anche colui che legge i "libri esterni". Anche colui che compie un atto di stregoneria, cioè cercare di curare le malattie mediante la parola. C'erano degli stregoni che, davanti a malattie fisiche, invece di procurare delle medicine adatte, sussurravano versetti biblici sulla piaga, sulla parte malata. Anche chi si comporta così non ha diritto alla vita futura.
Un altro maestro, abbà Shaùl, dice: "Anche colui che fa osservazioni sul Nome di Dio", cioè che vuole strumentalizzarlo, non ha diritto al regno eterno. C'era chi faceva cose del genere; si prende il Nome di Dio, si invertono le lettere e, in questo modo si fuoriesce dalle leggi della natura, servendosi del Nome di Dio, che è potenza.
Volevo un attimo soffermarmi sulla frase di rabbì Akivà, che afferma che chi legge un libro "esterno" non ha parte alla vita eterna. Intanto bisogna definire bene quali sono questi libri "esterni" e nel Talmud se ne discute ampiamente. Si tratta di questi libri che non sono entrati nel canone biblico, oppure si tratta di libri di amena lettura? Un tale che legge libri di storia, di favole, di magia, ecc. ecc. perde tempo e quindi non adopera in forma corretta il tempo che gli è stato dato in questa vita. Un'altra interpretazione dice che rabbì Akivà si riferisse proprio a questi libri estromessi dal canone, ma dicendo questo, lui pensava non a colui che legge, ma a chi li legge con la stessa attenzione con cui si leggono i testi biblici, attribuendo ad essi valore sacrale.
Questo per introdurvi un po' in un mondo che lascia molte porte aperte e capiamo quanto sia terribilmente difficile tutto questo.
Kassùt e il mio maestro Artom, dicevano: io ho l'obbligo di studiare il testo biblico, premesso che, per me, il testo biblico è di origine divina e mi dà delle disposizioni che ritengo cogenti per me, cioè io devo mettere in pratica ciò che leggo; su questo io non discuto. Detto questo, siccome Dio mi ha dotato di un cervello, io debbo studiarlo con molta attenzione e molta freddezza, qualsiasi sia la conclusione. Io studio il libro di Isaia, per es. e scopro che contiene delle cose copiate da altre parti; se scopro che è così, non posso negare l'evidenza, ma per me Isaia rimane un libro sacro. Io ho delle certezze teologiche, però non posso prescindere dalla mia capacità intellettiva. Quindi leggete pure i Vangeli apocrifi: questo non metterà in dubbio la vostra fede, anzi! Casomai la rafforza, perché siete spinti ad approfondire, a fare dei paragoni.