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Auschwitz
(Rav Luciano Caro)
Oggi dovremmo celebrare la cosiddetta "Giornata della Memoria", giornata stabilita a livello Europeo, per ricordare la persecuzione subita dal popolo ebraico nel corso del secondo conflitto mondiale. E' stata scelta la data del 27 gennaio perché è il giorno in cui venne liberato il famigerato campo di sterminio di Auschwitz, diventato ormai, nell'immaginario collettivo, il senso dell'abisso nel quale può precipitare il genere umano. Io ho pensato di celebrare questa giornata presentando un libro, "Visitare Auschwitz" per le Edizioni Marsilio, uscito da pochi mesi. Speravo di poterlo fare insieme agli autori, Carlo Saletti e Frediano Sessi, ma purtroppo non è stato possibile averli con noi oggi.
Si tratta di un testo che si legge con molta facilità e interesse, breve e conciso, ma che riesce a dire tutto quello che va detto.
Ho contestato agli autori il titolo che hanno scelto per l'opera: "Visitare Auschwitz. Guida all'ex campo di concentramento e al sito memoriale". Questo può dare l'impressione che la visita ad Auschwitz sia una specie di gita turistica, mentre non lo è affatto. Mi hanno spiegato che il titolo è stato imposto dall'editore, per motivi editoriali.
Al di là di questo, lo trovo un libro molto azzeccato. Voglio sottolineare che quando io mi riferisco ad Auschwitz e al tentativo di sterminio e genocidio degli Ebrei, - questo c'è stato e questo tentativo è stato veramente eccezionale e non ha alcun paragone storico con altri tentativi messi in atti nella tribolata storia dell'umanità - io voglio fare riferimento anche a tutte le altre vittime di questo piano abominevole di intolleranza, in particolare durante gli anni molto vicini a noi. Siamo stati molto bravi ad adoperare gli strumenti della tecnica per compiere cose molto utili, ma anche cose veramente terrificanti.
Ma ci tenevo a sottolineare che il mio pensiero e le mie considerazioni non riguardano solo gli Ebrei. Ma mi riferisco anche a tutti coloro che ancora oggi stanno soffrendo a causa dell'intolleranza, perché noi siamo molto bravi a girare la testa dall'altra parte e non ci rendiamo conto che in questo modo diventiamo complici, in tale maniera, di cose molto negative.
Devo dire che ho una difficoltà mia personale a parlare di queste cose, perché sono stato coinvolto in maniera proprio personale in questa vicenda; per motivi di età ho subito la persecuzione, mi sono salvato, però ho perso persone molto vicine: mio padre è finito ad Auschwitz, degli zii, delle zie. Quindi per me queste sono cose che mi toccano molto da vicino. E ad Auschwitz ci sono anche andato in visita.
Volevo sottolineare questo aspetto, che il libro mette in evidenza, in qualche modo, cioè che Auschwitz non è assolutamente un problema ebraico, ma un problema europeo. Tutti noi dovremmo fermarci a fare delle considerazioni su quello che è stato, su quello che siamo stati capaci di fare o di fare materialmente o di lasciar fare, con delle straordinarie e terribili forme di indifferenza.
Nel 1982, quando ero a Firenze, ho partecipato a un viaggio-pellegrinaggio ad Auschwitz organizzato dalla Provincia di Firenze e ho accompagnato dei ragazzi delle scuole e in quell'occasione era con noi anche Primo Levi, il quale tornava lì per la prima volta. Ho apprezzato moltissimo, in quella circostanza, il personaggio; anche lui di Torino, come ma, ma una persona un po' schiva, non particolarmente vicina alla Comunità ebraica. Ma in quell'occasione ho apprezzato la sua moderazione, il suo equilibrio nel descrivere le cose. Rivedendo quei luoghi, dove aveva sopportato l'insopportabile, non ha mai avuto una parola di recriminazione nei confronti di nessuno.
Al di fuori dell'incontro con Primo Levi, visitando Auschwitz non ho visto niente che non conoscessi già, perché mi ero informato, avevo letto libri, testimonianze e così via. Però sono uscito da Auschwitz un'altra persona. Chi va in questi luoghi, esce cambiato, perché acquista una prospettiva diversa della vita umana, di cosa siamo, di cosa non siamo.
E' un viaggio-pellegrinaggio dolorosissimo, che io propongo a tutti quelli che possono farlo, perché è un'esperienza che aiuta a capire meglio cos'è l'uomo. Chi va lì percepisce qualcosa di indescrivibile; quello che ho percepito io è come un'atmosfera di marcio, in qualche modo. Sembra che il luogo, anche geograficamente parlando, fosse particolarmente adatto per compiervi ciò che vi è stato compiuto.
I nazisti erano molto scaltri, molto intelligenti nel fare le cose, e se hanno scelto questo campo, l'hanno fatto a ragion veduta. Innanzi tutto Auschwitz era fuori dai confini tedeschi, in Polonia e in quel momento l'atmosfera della Polonia sembra fosse particolarmente adatta a queste cose.
L'esperienza che ho avuto io, è stata questa. Arrivando sul posto, abbiamo domandato dov'era il campo, ma la risposta dei polacchi era che non avevano mai sentito parlare del campo. Dovete sapere che il campo è spaventosamente ampio, circa 40kmq. Non è che non sapevano dov'era, ma non volevano saperlo.
Credo che le cose siano anche cambiate e si stiano modificando. Piano piano si sta trasformando questo luogo. Credo che se deve esserci un luogo a-religioso, questo luogo dovrebbe essere proprio Auschwitz, perché lì la religione è stata completamente assente.
Invece temo che col passare del tempo questa struttura si trasformi in un luogo turistico, dove si va a fare delle gite, con i bar, i ricordini, ecc.
Una notizia recente è che è stato chiuso o si sta chiudendo il padiglione italiano, dove venivano ricordate in particolare le vittime italiane. Era giusto che venisse chiuso, perché era stato messo su con delle connotazioni assolutamente anti-storiche, cioè in chiave soprattutto anti-comunista. Non so se è in progetto il rifacimento di un padiglione italiano.
Sapete che c'è una vastissima letteratura sul campo di Auschwitz, da tutti i punti vista: letterario, cinematografico, musicale. Tutta questa vastità di materiale, però, rende difficoltoso orientarsi in tutto questo universo.
In realtà, per me, Auschwitz è indicibile, è qualcosa che non si può esprimere con un linguaggio umano. Viceversa questa piccola guida ci dà una visione generale di cosa è stato questo universo. Il bello di questo libro è il fatto che può essere letto con una specie di esercizio di montaggio, cioè non è necessario leggerlo dall'inizio alla fine, ma ci si può soffermare sull'uno o l'altro capitolo, che trattano di argomenti diversi e specifici. E' ricchissimo di fotografie e piantine, ecc. cose indispensabili per sottrarre Auschwitz alla dimenticanza e al negazionismo.
C'è qualcuno che dedica la propria esistenza a negare che Auschwitz sia mai esistito, che è stato solo un campo di concentramento, dove la gente viveva serena e ogni tanto moriva qualcuno di malattia o per i pidocchi, ecc. Devo dire che l'attività di questi negazionisti è facilitata dal fatto che Auschwitz ha dell'incredibile. Riconosco, molto onestamente, che se non avessi vissuto in prima persona le conseguenze e non avessi visto coi miei occhi, stenterei a credervi.
Leggere documentazioni ed espressioni di chi era responsabili del campo, lascia senza fiato. Per es. un certo comandante del campo, a un certo momento, si vanta di aver organizzato una struttura tale per cui si era in condizione di "trattare" tra i 20 e 30 mila pezzi al giorno. Tradotto nel nostro linguaggio umano, vuol dire che quotidianamente venivano soppresse, in modo tecnico, organizzato, 20, 30 mila persone. Qualcosa di incredibile! Come possiamo pensare che nell'Europa di 70, 80 anni fa venisse stabilita e organizzata a tavolino una cosa del genere?! Una macchina infernale che trattava dei pezzi, cioè esseri umani, prima facendoli lavorare, poi, quando non ce la facevano più uccidendoli. Si cercava di ricavare da questi corpi il massimo profitto economico possibile. Tutto questo senza dimenticare che era in corso una guerra terrificante.
Un altro elemento che vorrei sottoporre alla vostra attenzione e che emerge anche nel libro, è che gli addetti alla realizzazione di questo piano erano centinaia, migliaia di persone, che organizzavano i trasporti, le esecuzioni. E queste persone, a volte, erano in contrasto con le autorità militari germaniche. Nel senso che i rappresentanti responsabili dell'esercito tedesco volevano la precedenza sui trasporti, le ferrovie, i materiali, ecc. per questioni di carattere bellico, ma si dava la precedenza allo sterminio degli Ebrei. Cioè dal punto di vista tedesco era più importante sopprimere gli Ebrei che vincere la guerra.
Per molti anni è stato messo in sordina l'aspetto ebraico del campo di Auschwitz, nel senso che per molti anni si è celebrato piuttosto lo sterminio di polacchi, di russi, e così, mentre gli Ebrei erano una piccola minoranza, mentre in realtà la stragrande maggioranza dei prigionieri erano Ebrei.
Una cosa che dimentichiamo spesso è che nella visione assolutamente non umana, pazzoide, di chi ha organizzato questa cosa, c'era un odio totale per gli Ebrei, ma gli Ebrei erano solo il materiale da sperimentare. Il problema che si erano posti i nazisti, che appartenevano a un popolo altamente civile e acculturato, era quello di creare in Europa la pura razza germanica, costituita da individui che presentassero determinati parametri: tutti belli, tutti sani, tutti bianchi, possibilmente biondi con occhi azzurri e senza possibilità di ragionare, come automi atti solo ad ubbidire. Quindi tutte le popolazioni che non rispondevano a questi parametri dovevano essere sterminate. Ora, siccome non è facile sterminare intere popolazioni, bisognava fare degli esperimenti. E allora si è pensato di cominciare dalla popolazione che avrebbe suscitato meno reazioni: gli Ebrei, che non commuovono nessuno. E insieme agli Ebrei si pensò di mettere gli zingari, i malati di mente, insomma le persone che non servivano a niente. Ma quando attraverso Ebrei, zingari, omosessuali, ecc. si sarebbe scoperto il metodo più efficace per sterminare milioni di persone, allora lo si sarebbe potuto applicare anche allo sterminio di altre etnie. Vi assicuro, se leggete i verbali, risulta che dopo gli Ebrei, sarebbe stato il turno dei polacchi, poi mi pare dei russi, gli ungheresi e così via. E non tutti vogliono ricordare che gli italiani erano in settima posizione. Se i nazisti avessero vinto la II Guerra Mondiale, da molti anni sarebbe già arrivato anche il nostro turno. Il ridicolo, se mi posso permettere questa espressione, è che gli italiani erano divisi in Italiani del Sud e italiani del Nord; prima quelli del Sud, perché quelli del Nord sono un po' più civilizzati, con la carnagione più chiara, più educati, meno chiassosi, meno selvaggi.
Questo piano non è stato formulato da pazzi, come diciamo spesso per auto-consolarci. Erano, invece, persone che potevano sembrare normalissime, ma facevano tali cose o perché ci credevano o perché avevano venduto il loro cervello e ragionavano con una testa che non era la loro e si ritenevano dei benemeriti. Uno dei capi di Auschwitz, responsabile del trattamento di 20-30 mila persone al giorno, considerato oggettivamente, poteva sembrare la persona più rispettabile del mondo: viveva in una villetta ai margini del campo, coltivava i suoi fiori e allevava i suoi canarini, ascoltava, la sera, della buona musica classica, leggeva dei buoni testi classici, probabilmente servendosi dell'illuminazione di qualche lampada foderata di pelle umana e telefonava tutte le sere in Germania per sapere come stava la suocera, per sapere se la moglie aveva trovato la sottoveste che le piaceva al negozio, ecc. Ebbene, questo era il capo: non un mostro!
Come è possibile tutto questo??! Dobbiamo chiedercelo. Non per alimentare sentimenti di odio verso nessuno, anche perché ormai la grande maggioranza dei responsabili non c'è più e anche le vittime stanno sparendo. Ma la riflessione su queste cose dovrebbe servirci per elaborare gli anticorpi in noi stessi. Chi ha fatto queste cose, perché le ha fatte e perché è stato concesso loro di farle? Dov'era il mondo in quel periodo, quando tutto ciò si sapeva?
Chi vuole negare queste cose, lo può fare, ovviamente e troverà sempre qualche imbecille che ci crede, ma la documentazione c'è ed è ampia e chiara. Come nel nostro libro.
Troviamo anche la documentazione di attività negazioniste, anche da parte di italiani.
Si è cercato anche di capire che cosa pensassero gli esecutori dello sterminio. Mi vergogno perfino a dire la parola, ma anche gli pseudo-medici presenti nel campo, che operavano, ma in realtà facevano esperimenti, cosiddetti scientifici, si vantavano del loro operato e pensavano di essere dei benemeriti della ricerca medica. Mentre hanno fatto delle cose assolutamente terrificanti.
Risulta anche un altro elemento: non era tanto importante ammazzare la gente, ma ammazzarla dopo averla fatto soffrire e aver sottratto loro ogni forma di dignità umana. Come facevano fin dai primi istanti, sottraendo alle persone il nome e marchiandole con un numero di matricola. La prima cosa che i prigionieri dovevano imparare era il loro numero in tedesco, perché quando c'era l'appello dovevano saper rispondere.
Come accennavo prima, queste operazioni non erano portate avanti semplicemente da una banda di individui, ma erano coinvolte migliaia di persone, migliaia di ditte (faccio solo un nome: la Bayer), che fornivano materiali o studiavano le procedure. Per arrivare a progettare e far funzionare i forni crematori ce n'è voluto di lavoro! Per arrivare a sopprimere mille persone al giorno e liberarsi dei cadaveri, dopo averli privati di quelle parti valide economicamente, c'è voluto dello studio!
Chi va ad Auschwitz trova ancora delle stanze piene di capelli femminili! La prima cosa che si faceva alle donne era quella di privarle dei capelli, considerati un prodotto pregiato per l'industria bellica tedesca, perché coi capelli di prima qualità (c'erano di prima e di seconda qualità! Non è il caso nostro, perché qui abbiamo solo capelli di prima qualità! :- ) si costruivano i filtri dell'aria per i sommergibili. Coi capelli di seconda qualità, si facevano coperte, stoffe.
Ma al di là di questo aspetto economico, è chiaro che una donna privata dei capelli, si sente meno donna. C'era il tentativo ben chiaro di convincere quelle persone che non erano persone, ma oggetti a disposizione dei capi.
La Croce Rossa Internazionale ha visitato più volte il campo di Auschwitz, ma le relazioni che venivano riportate erano sempre ottime, perché venivano mostrate solo le cose che si voleva che vedessero e ovviamente queste persone si sono accontentate o hanno fatto finta di accontentarsi.
Anche esponenti di un'associazione che aveva il compito di proteggere e impedire che certe cose avvenissero, hanno fatto finto di non vedere o non hanno visto; comunque delle responsabilità ci sono.
Detto questo, vorrei concludere. Questo è successo e a noi spetta di elaborare gli anticorpi perché questo non succeda più.
Auschwitz è l'universo del silenzio. Sentendo le testimonianze dei superstiti, ne ho ricavato che non dobbiamo immaginare che nei campi di concentramento ci fossero grida, ma tutto funzionava con molta eleganza e disciplina. Regnava il silenzio delle vittime, che non avevano la possibilità né la forza di reagire. Ma ci sono stati altri silenzi, questa volta colpevoli.
Il silenzio delle comunità ebraiche, del mondo libero, America, per es. Hanno strillato, sì, ma non abbastanza forte; sapevano più o meno cosa stava succedendo, ma forse non erano convinti del tutto.
C'è stato anche un silenzio da parte degli Ebrei, che potevano protestare e non l'hanno fatto a un livello accettabile. Non voglio accusare nessuno. Forse erano talmente incredibili le notizie che arrivavano, che non sembravano realtà.
Io ricordo ancora mio padre. Io ero un bambinetto e in casa si parlava in generale di queste cose, che i Tedeschi perseguitavano gli Ebrei, li ammazzavano, ecc. E mio padre diceva: "Ma è impossibile, sono tutte storie! Possibile che il popolo tedesco che ha dato così tanto nel campo della scienza, della musica, ecc. faccia queste cose?! E' tutta propaganda! E poi se anche queste cose succedessero in Europa orientale, in Germania, in Italia sicuramente no, perché il popolo italiano si macchierebbe mai di tali cose!". Invece l'ha vissuto sulla sua pelle, morendo ad Auschwitz.
Anche gli alleati hanno taciuto. Sono stati più volte sollecitati ad intervenire, magari non direttamente, ma per es. bombardando determinate linee ferroviarie, che provvedevano a portare ad Auschwitz le vittime. Ma non l'hanno fatto.
Un funzionario delle Ferrovie Italiane, di Modena, ha scritto un libro bellissimo di autocritica, dove racconta che anche gli addetti delle ferrovie sapevano benissimo cosa stava succedendo, perché da Carpi partivano settimanalmente dei convogli, carri bestiame con delle persone dentro, che andavano verso la Germania e la Polonia e tornavano dopo 10-15 giorni vuoti, con una puzza terrificante.
Lui era giovanissimo allora. Ha fatto una cronistoria molto dettagliata, cioè una ricerca su tutti i convogli partiti dal dipartimento di Modena, sul giorno, l'orario, la partenza e l'arrivo. Diceva lui stesso che era sufficiente che a loro, operai, venisse in mente di smontare qualche bullone dei binari, e almeno si sarebbe ritardato il flusso dei convogli, permettendo forse a qualche centinaia di persone di salvarsi. Ma non l'hanno fatto, non perché avessero interesse, ma perché facevano semplicemente il loro lavoro.
C'è stato anche il silenzio delle Chiese. Mio padre sosteneva che in Italia non sarebbe successo niente, perché era sufficiente che il papa fosse andato in piazza a dire che gli Ebrei non dovevano essere toccati e in Italia non si sarebbe più mosso nessuno. Ma niente. Il nostro amato o non amato Pontefice Pio XII non ha detto una parola e ha lasciato che le cose andassero come dovevano andare. Questo non toglie niente a quei funzionari della Chiesa che si son dati da fare a livello personale. Ma la Chiesa come istituzione non ha detto una parola. E lo stesso vale per le Chiese non cattoliche. Ma non vogliamo recriminare: solo che chi doveva parlare, non ha parlare.
Poi c'è un altro elemento teologicamente importante, ma io non sono in grado di affrontarlo, che è il silenzio di Dio. Ci domandiamo: Dio dov'era, in quei momenti?
Un famoso scrittore, affrontando questo problema, ha affermato che la domanda da porsi non è dov'era Dio, ma dov'era l'uomo.
Dal punto di vista statistico è stata fatto una ricerca, in campo ebraico, per capire come sono cambiate le prospettive religiose di coloro che sono stati coinvolti nella shoà, cioè si è diventati più religiosi o meno religiosi? Pare che il risultato sia che questa esperienza sia stata ininfluente, ovvero chi era religioso è rimasto tale e chi non lo era, altrettanto.
Bisogna fare molta attenzione quando parliamo di queste cose, perché non adoperando i termini giusti e le prospettive giuste, rischiamo di fare dei danni.
(Intervento tenuto a Bertinoro, il 22 gennaio 2012)