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IL BAR MITZVAH
(Rav Luciano Caro)
Il bar mitzvah è una cerimonia importante a livello familiare. Per la famiglia ebraica ci sono alcuni momenti particolari: il matrimonio, la nascita di un bambino, accompagnata, se è maschio, dalla circoncisione, il bar mitzvah, ma allo stesso modo la malattia, la morte. Ma se è un evento per la famiglia, lo è anche per la comunità intera, che è coinvolta.
Il termine bar mitzvah è costituito da due parole, una ebraica e l'altra aramaica: mitzvah, che significa "comandamento", o, più tecnicamente "il comandamento scritto nella Torah". E' un ordine di Dio, che ci dice: "Devi fare così; non devi fare cosà". Qualcuno traduce anche con "precetto", ma non c'è una parola vera e propria che possa tradurre in senso pieno; comunque si tratta di principi di carattere generale, che presi ognuno per conto suo, sono inapplicabili, perché sono troppo generici. In sintesi mitzvah vuole indicare il contenuto normativo del testo biblico.
Bar, invece, è una parola aramaica che corrisponde all'ebraico ben, che significa figlio; quindi bar mitzvah si traduce con "figlio della mitzvah". Nell'accezione attuale significa una persona che è obbligata a mettere in pratica la mitzvah; per questo ne è il figlio.
Quando comincia l'obbligo di mettere in pratica le mitzvòt? Il testo biblico, al proposito, non dice assolutamente niente, ma, per tradizione, esso comincia all'età di 13 anni e un giorno per i maschi. Quando un ebreo di sesso maschile compie 13 anni e un giorno, noi consideriamo che egli rientri nel mondo degli adulti, anche se di fatto non è adulto; ma noi riteniamo che a quell'età un ragazzo abbia già un'idea precisa della propria collocazione, cioè che sappia chi è lui, da dove viene, cosa dovrebbe o non dovrebbe fare. Quindi da quel momento il ragazzo è obbligato a mettere in pratica la normativa e, se non lo fa, la responsabilità è sua. Fino a quel momento lui non ha nessun obbligo, ma il suo comportamento si riversa sui genitori. Un ragazzino di 10 anni, per es., che si comporti bene o male, non ha nessun merito né demerito, perché questi vengono comunque attribuiti ai suoi genitori; dai 13 anni in poi diventa un problema suo.
Probabilmente questo concetto è stato elaborato tenendo conto della media, come frutto di un'intuizione pratica, perché il testo biblico non fa parola né riguardo all'età della maturità, né riguardo a un'eventuale cerimonia.
Il compimento dell'età stabilità, però, è preceduto da un'adeguata formazione, atta a spiegare al ragazzo tutto ciò che gli serve per capire meglio il passaggio che sta per fare e soprattutto ciò che sarà tenuto ad osservare; perché, se non conosce, come potrà osservare?
E' soltanto in tempi relativamente vicini a noi, probabilmente in Germania o comunque nell'Europa del Nord, che si è dato vita a un cerimoniale di festeggiamenti collegato col compimento dei 13 anni e un giorno.
Anche la stessa espressione "bar mitzvah" non esisteva prima del 1200; anzi, esisteva, ma con una connotazione completamente differente: si diceva bar mitzvah per intendere l'ebreo in generale, il quale è soggetto alla normativa della Torah. Anche nelle fonti talmudiche bar mitzvah significa semplicemente l'ebreo.
Solo a partire dal XII - XIII secolo l'espressione è venuta ad indicare questa realtà più specifica. Si è anche creato tutto un cerimoniale festivo. Di solito l'entrata nella maggior età, così diciamo italiano, è accompagnata dal fatto che il ragazzino, per la prima volta quel sabato, legge pubblicamente la Torah. Voi sapete che noi leggiamo la Torah ogni sabato in sinagoga. E' una cosa abbastanza importante, perché si tratta anche di prepararsi e il testo della Torah è scritto in ebraico senza punti, senza vocali e quindi è complicato.
Comunque la prassi è che almeno un anno prima, si comincia la preparazione per questa cerimonia. Dovrebbe essere il padre stesso del ragazzo a prepararlo, ma oggi questo non succede quasi più e si demanda questo compito a un insegnante.
Qualche giorno prima della cerimonia il ragazzo è sottoposto a un esamino, che è formale, perché se compie gli anni due giorni dopo, io non posso bocciarlo.
Ogni comunità ha i suoi cerimoniali propri. La lettura del brano della Torah è comune per tutti; ri-mane la discrepanza che in alcune comunità il bambino legge tutto il brano, mentre in altre ne legge soltanto una parte.
Di solito c'è anche un'altra tradizione e cioè il ragazzino fa un discorsetto programmatico. Non è che se lo fa da solo, ma gli viene indicato dal maestro; gli si spiega che deve ringraziare i genitori, che l'hanno messo al mondo e l'hanno condotto fino a questo punto; deve ringraziare eventualmente i suoi maestri; se vuole, può presentare i suoi programmi di vita, oppure può fare un breve commento sul brano biblico che ha letto. Segue una bella festa a casa con amici e parenti.
Una cosa interessante è che nel momento in cui il ragazzino celebra questa cosa, il padre viene sollecitato a intervenire anche lui alla lettura del testo biblico fatta dal figlio e in quell'occasione deve recitare questa benedizione: "Benedetto l'Eterno che mi ha esentato dalla responsabilità di costui"; come se dicesse: "Fino ad oggi io ero responsabile del mio comportamento e anche del suo, perché dovevo risponderne, ma adesso che gli ho dato gli strumenti per vivere come deve, la responsabilità è la sua". Questa dichiarazione è educativa nei confronti del figlio, che prende coscienza che da quel momento la vita è nelle sue mani e tocca a lui fare le proprie scelte.
In Marocco c'era, nel passato, una comunità ebraica molto consistente e prestigiosa; lì la tradizione voleva che il bambino celebrasse questa cerimonia a 12 anni e non a 13. Al momento del bar mitzvah veniva richiesto al ragazzino di conoscere quasi a memoria un trattato talmudico, il che non è per niente facile. Credo che nel nostro ambiente non ci sia nessuno che lo conosca. Nel talmud ci sono 36 trattati, ma è una cosa spaventosamente grande e difficile; questo significava che lui doveva passare una buona parte della sua adolescenza a studiare queste cose.
Un'altra tradizione caratteristica è quella che prevedeva che il ragazzino andasse in giro, nei giorni precedenti e seguenti alla cerimonia, con un recipiente e tutti gli facessero dei regali, molto spesso in forma di denaro, che poi veniva dato al maestro che lo aveva preparato. Tenendo conto del fatto che i maestri non venivano retribuiti per la loro attività. La tradizione ebraica voleva che il maestro, il rabbino, che sta facendo l'opera meritoria dell'insegnamento, godesse di un rispetto superiore a quello dovuto ai genitori, perché i genitori sono coloro che ti hanno portato in questo mondo, ma il maestro è quello che ti proietta nel mondo futuro. Questo vale soprattutto per i maestri che insegnano l'alfabeto ai bambini, che hanno un merito ancora maggiore, perché senza l'alfabeto non si fa niente. Una massima talmudica dice che il mondo sussiste per il balbettio dei bambini che cominciano a studiare l'alfabeto; questa è l'unica cosa che consente a Do di non distruggere il mondo. Al maestro non si dà una retribuzione vera e propria, perché non c'è prezzo per l'opera enorme che lui compie. E poi, forse dovrebbe essere il maestro stesso a pagare il suo discepolo, perché insegnare a un altro è lo strumento più importante ed efficace per imparare qualcosa noi stessi; nessuno impara così bene come chi deve insegnare.
Però, siccome bisogna anche vivere, se il maestro non ha altre entrate al di fuori di quelle che gli derivano dalla sua attività di insegnante, è giusto che gli venga dato un compenso per il tempo che lui non può adoperare a svolgere un'altra professione; non è una retribuzione per il lavoro svolto, ma un compenso per il lavoro che non ha potuto svolgere altrove.
Un bel midrash racconta che un giorno arrivò a Gerusalemme un grande maestro - siamo nel primo secolo e.v. - e domanda dove fossero i custodi della città. Gli presentano le guardie e lui dice: "Ma questi non sono i custodi, ma i distruttori della città! I veri custodi sono gli insegnanti".
Noi abbiamo sempre dato un'importanza grandissima all'istruzione, tant'è vero che nell'ebraismo non è mai esistito il fenomeno dell'analfabetismo.
Da qualche tempo, circa un centinaio d'anni, è subentrata la tradizione di compiere una cerimonia analoga per le femmine: il bat mitzvah. Bat è il femminile di bar e perciò significa "figlia del precetto". Questo è successo in seguito a una ventata di femminismo.
Ma per le ragazze, non esisteva, secondo la tradizione, una data precisa per il loro ingresso nell'età matura; si pensava che un essere femminile diventasse donna, quindi anche dal punto di vista delle norme che le competono, nel momento in cui si sviluppa e ha il primo mestruo; e per questo non c'è un'età precisa. Giuridicamente una donna diventa donna quando è pronta, in qualche modo, a procreare. Poiché, però, non è sempre così facile accertare la data delle prime mestruazioni vere e proprie, si è assunto un altro parametro, che è quello di fare un'indagine, da parte di altre donne, per verificare se negli organi genitali femminili fosse già spuntata della peluria o no.
A un certo punto si è deciso di stabilire l'età di ingresso nella maturità per le donne a 12 anni e un giorno, partendo dal presupposto che l'essere umano femminile si sviluppa più rapidamente di quanto faccia quello maschile; in media una ragazza a 12 anni è tanto matura come un ragazzo di 13. Così si è istituita una cerimonia anche per le ragazze. Fino a circa 100 anni fa questa cerimonia veniva fatta solo dalle comunità riformate; da noi era impensabile una cosa di questo genere, ma veniva fatta in Germania, in Inghilterra, negli Stati Uniti, ecc. Tra l'altro con delle connotazioni molto simili, dal punto di vista formale, a cerimonie della religione cattolica; ad es. il vestitino bianco. Ovviamente questo con grande scandalo per le comunità ortodosse.
Un po' per volta, a partire da circa 70 anni fa, la cosa si è introdotta anche nelle nostre comunità or-todosse e la si fa senza troppi turbamenti. Anche in questi casi si provvede a una forma di preparazione della ragazzina, che deve essere consapevole che sta entrando in un'età "adulta". Questa preparazione richiede forse un impegno maggiore di quanto non richieda quella per i maschi, perché la ragazza dovrà sovrintendere alla conduzione della vita familiare e perciò dovrà conoscere le norme alimentari. Un altro settore importante è quello della purezza della famiglia, che la ragazza dovrà saper affrontare nel modo più completo possibile e quindi dovrà formarsi ad esso via via. Qui si intende l'osservanza di tutte le normative che riguardano i rapporti coniugali; ad es. il fatto di essere mestruata o no comporta un ritmo molto preciso all'interno dei rapporti fra marito e moglie. I rapporti coniugali sono permessi, ambiti, sollecitati, al più possibile, allo scopo di procreare, ma contestualmente anche allo scopo di fornire soddisfazione fisica e intellettuale, spirituale ai due partner; tutto questo, ma occorre tenere ben presente che i rapporti devono seguire un ritmo preciso, stabilito dalla normativa biblica. Allo stesso modo che non tutti ci è permesso quando andiamo a mangiare, così è anche riguardo alla vita sessuale, ritmata dal ciclo mestruale della donna. La Torah, infatti, dice che i rapporti sono eccezionalmente proibiti durante il flusso femminile e nei sette giorni immediatamente successivi; c'è tutta una congerie di disposizioni che certamente rendono la vita complessa, ma sicuramente anche piena di significato. Questi sette giorni, detti "giorni bianchi" significano che, quando alla signora siano cessate completamente le mestruazioni, dall'indomani deve cominciare a contare 7 giorni, durante i quali deve indossare biancheria bianca, allo scopo di autoesaminarsi, se per caso non ci siano altre perdite. Al termine del settimo giorno, completamente senza perdita di sangue, la donna deve provvedere a un bagno rituale, dopo il quale sono di nuovo permessi i rapporti coniugali.
Bagno rituale significa che la donna deve immergersi in una vasca che contenga un'acqua particolare, cioè naturale, il che vuol dire o che faccia parte della natura così com'è, ad es. il mare, un fiume, un lago, oppure un'acqua che durante il suo percorso dalla sua nascita naturale, cioè o dalla sorgente o dalla pioggia, non sia mai stata contenuta in recipienti che abbiano certe caratteristiche fisiche. Questo bagno rituale viene adoperato mensilmente dalle signore, ma anche in caso di conversione all'ebraismo, o anche da uomini che vogliono fare un'abluzione di purificazione. In ogni comunità viene congegnato questo servizio. Tutta questa disposizione riguarda solo due tipi di donne: quelle sposate, che hanno ancora il ciclo mestruale e quelle che vogliono avere dei rapporti col marito, perché se, per esempio, il marito va in Australia tre mesi, la signora non ha bisogno di fare nessun bagno.
Se durante i sette giorni seguenti la fine del mestruo, lei intravedesse una macchiolina di sangue, allora ci sono due possibilità: se riconosce che è sangue davvero, allora deve ricominciare tutto il conto da capo, cioè aspettare che questo flusso finisca e contare dall'indomani i setti giorni; se invece ha dei dubbi, che sia magari siero o muco o altro, allora deve andare da un esperto a fare esaminare la macchia. Uno dei compiti che aveva il rabbino nei decenni e nei secoli scorsi era anche quello di esaminare questa cosa con molta serietà e discrezione; il che comportava degli studi particolari da parte del rabbino, che doveva saper accertare che fosse sangue o no.
Questa interruzione dei rapporti coniugali ha fatto sì che il rapporto stesso venga a cementarsi in modo molto forte, nel senso che, intanto l'unione matrimoniale tra i due non è permessa sempre e perciò i rapporti sono più appetibili quando sono permessi; oltre questo, nei giorni del mestruo e nei sette giorni bianchi successivi, i due coniugi devono cercare di vivere in una certa forma di estraneità. Questa cosa viene codificata tra i due da una specie di linguaggio segreto tra i due, senza che gli altri membri della famiglia debbano saperne niente. E ogni coppia trova il suo linguaggio particolare: ad es. una coppia decide di mettere una tovaglia diversa a tavola, oppure adoperare un vino piuttosto che un altro, spostare un quadro, ecc. Pensate a come questa cosa rende il rapporto tra i due più intimo, soprattutto perché questo avviene in forma segreta; i figli, i suoceri, ecc. non devono sapere assolutamente niente di questa cosa.
Quindi tutte queste cose devono essere insegnate alle bambine, che presumibilmente poi non avranno più nessuno che gliele insegna; quindi ci vuole un maestro, o un'altra signora, che le deve introdurre in questi mondo così particolare.
Ci sono alcune piccole differenze tra le varie comunità anche nella celebrazione di questo bat mi-tzvah. In alcune la bambina celebra la festa nel sabato successivo al compimento del suo 12° anno e un giorno; non è che lei possa partecipare alla liturgia, ma le si fa fare qualche cosa: o un discorsetto, una preghiera, un canto di un inno religioso o di un salmo. In altre comunità, invece, si fa fare la cerimonia tutte insieme alle bambine che hanno superato l'età nel corso dell'ultimo anno; di solito si fa nella festa di Pentecoste, perché ricorda la promulgazione del decalogo.
Nella mia vita professionale ho sempre avuto un conflitto, perché ci sono quelle che vogliono la festa personalizzata; ma di solito i genitori preferiscono la festa tutte insieme, perché così risparmiano.
L'obbligo di studiare è rivolto soprattutto ai maschi; le donne sono meno tenute allo studio profondo delle cose, perché immaginiamo che loro debbano dedicare la loro esistenza alla conduzione della famiglia. I bambini devono cominciare a studiare il testo biblico a 5 anni, seguendo una scansione ben definita, mentre le bambine non sono tenute a tanto. Ma oggi la collocazione della donna è cambiata all'interno della società. Detto questo, però, sta di fatto che le donne hanno sempre studiato e noi abbiamo degli esempi clamorosi di donne nel talmud, per non parlare della Bibbia, che ufficialmente dovevano stare zitte, ma ne sapevano più degli uomini. Si racconta di illustri riunioni di grandi maestri, che discutevano animatamente senza trovare una soluzione; mentre una signora, lì presente, magari spolverando un mobile senza essere considerata da nessuno, a un certo punto interviene e propone la soluzione illuminata. Si può dire che nell'ebraismo ci sia una discrepanza riguardo alla figura femminile, perché da un certo punto di vista comandano loro - pensate solo al fatto che l'appartenenza o meno alla comunità ebraica dipende dalla madre e non dal padre. Questo perché l'essere umano è costituito da ciò che egli assorbe dalla madre e non solo dal punto di vista biologico, ma anche dell'educazione. Da un altro punto di vista, in certe situazioni, la donna diventa quasi un elemento di serie B; lo studio è uno degli ambiti. Con il bar mitzvah, per i maschi, si entra nel numero ufficiale degli Ebrei. Cosa vuol dire? Liturgicamente parlando la nostra preghiera ha due connotazioni: c'è la preghiera privata, che io faccio quando mi pare, senza regole e la preghiera pubblica, che è più importante, perché comporta il coinvolgimento collettivo. Nella preghiera pubblica ci sono delle parti, considerate particolarmente importanti, che possono essere recitate solamente in presenza di dieci uomini ebrei adulti e questa adultità si consegue al compimento dei 13 anni. Questo ha degli spunti biblici; una società che comprenda meno di dieci uomini adulti, non è una società, una comunità. Noi pensiamo che Dio non è indifferente alle istanze di una comunità; Dio ascolta maggiormente le preghiere fatte da una comunità, più di quanto non ascolti le preghiere fatte da persone singole. Questo è il nostro punto di vista, ma non sappiamo quale sia il punto di vista di Dio.