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Il candelabro ebraico e il Salmo 67 in esso raffigurato
(Rav Luciano Meìr Caro)


Nel salmo 16, 8 troviamo questa espressione: "Io ho posto l'Eterno davanti a me costantemente, poiché dalla mia destra io non vacillerò" e credo che voglia significare che se Dio è alla mia destra io sono fermo, non ho motivo di vacillare. Da qui si viene a dire che noi dobbiamo sempre avere presente Dio davanti a noi, dobbiamo essere consapevoli della sua presenza, se non altro per il suo Nome.
Per cui, nel corso dei secoli, sono state riprodotte delle immagini, in cui è scritto il Nome di Dio, con le quattro lettere del Sacro Tetragramma, e incorniciato da altri passi della Bibbia o da varie decorazioni. Queste belle immagini vengono poi incorniciate e appese nelle sinagoghe, ma anche nelle case, di modo che il nostro sguardo si posi su queste immagini e ci aiuti così a tenere presente a noi il Signore; come dice il salmo: se io tengo davanti ai miei occhi il Signore, non vacillerò. Questi quadretti prendono il nome appunto dalla prima parola del salmo che abbiamo citato, che in ebraico suona così: shivvìti, che vuol dire "ho posto, ho collocato".
Una delle rappresentazioni più comuni di questi shivvìti è il salmo 67. Lo traduco un po' alla svelta:
  Al capo coro. Canto. Salmo da cantarsi accompagnato dal neghinòt.
  Dio ci dia grazia e ci dia benedizione e illumini la sua faccia verso di noi.
  Per conoscere nella terra la tua strada e tra tutti i popoli la tua salvezza.
  Ti loderanno i popoli, o Dio, ti loderanno i popoli tutti quanti.
  Si rallegreranno e gioiranno le nazioni quando tu giudicherai i popoli rettamente
  E guiderai le nazioni che sono nella terra.
     Ti loderanno i popoli, o Dio, ti loderanno i popoli tutti quanti.
  La terra dà il suo prodotto.
  L'Eterno nostro Dio ci benedica.
  Ci benedica l'Eterno e abbiano timore di Lui tutte le estremità della terra.

Leggendo questo salmo viene da dire che non ci sono poi delle cose così eclatanti. Se noi volessimo condensare il contenuto del salmo, è l'espressione semplice di una persona che chiede a Dio la benedizione e sottolinea che tutti i popoli devono lodare il Signore. Dunque vi troviamo l'espressione semplice della fiducia in Dio e dell'universalità, perché si fa riferimento molto spesso a tutte le nazioni e non solo a Israele.
Una delle parole guida di questo testo, a mio avviso, è quella che dice: "Per  conoscere nella terra la tua strada" (v. 3). Ma cosa vuol dire conoscere la strada di Dio? Io vorrei soffermare la vostra attenzione brevemente su queste cose, perché chi ha scritto questa frase era fortemente influenzato da tutto il testo biblico. Dunque, teniamo conto prima di tutto del verbo "conoscere". E' caratteristica del popolo ebraico e della cultura ebraica trasversale che quando noi parliamo di Dio, non parliamo di credere in Dio; cioè non si sottolinea l'aspetto della fede, quanto piuttosto quello della conoscenza. Il nostro impegno è quello di conoscere Dio; abbiamo il dovere di approfondire la conoscenza di Dio, attraverso lo studio di tutto ciò che ci sta attorno e che ci dovrebbe portare alla considerazione dell'esistenza di Dio. Noi dobbiamo affrontare la ricerca della conoscenza. E teniamo conto che, nell'espressione biblica, il termine conoscere significa compenetrarsi in qualche cosa. Ricordate quando nei primi versetti della Bibbia si dice che Adamo conobbe sua moglie Eva, cioè si compenetrò con lei dal punto di vista fisico e spirituale, dando vita così a un'altra creatura. Questo è il conoscere per noi: il cercare di penetrare nell'altro.
Passiamo all'espressione: "la tua strada". Cosa significa? E' Dio che deve far conoscere la sua strada? Noi dobbiamo conoscere? Come si fa? Anche qui c'è sicuramente una reminiscenza biblica. Ricordate quando Mosè scese dal monte Sinai, Dio gli fa una proposta e gli dice: "Chiedimi quello che vuoi". Mosè chiede di vedere Dio, ma Dio risponde in modo molto oscuro e dice: "L'uomo non mi può vedere e vivere", che può voler dire che se l'uomo vede Dio, muore, oppure che l'uomo può vedere Dio solo dopo che è morto. L'altra domanda di Mosè è questa: "Fammi conoscere, ti prego, le tue strade". Mosè chiede la conoscenza delle strade di Dio. Ma cosa vuol dire? L'interpretazione generica che si dà è che Mosè vorrebbe capire come si muove Dio, quasi gli ponesse queste domande: "Dove sei proiettato? Che cosa vuoi? Perché hai creato il mondo? Cosa ti aspetti?". Questo a pochi giorni di distanza dall'uscita degli Ebrei dall'Egitto. Dio si era manifestato clamorosamente, liberando Israele dalla schiavitù dell'Egitto. Dunque sembra quasi una domanda inopportuna; lecita, sì, ma che non ci aspetteremmo da Mosè. Dio dà una risposta nebulosa: "C'è un posto vicino a me; tu sali sulla montagna". Cosa vuol dire? Io credo che voglia esprimere questo pensiero di Dio: che le cose, viste dalla sua ottica, sono diverse da come le vediamo noi, dalla nostra ottica, perciò, se vogliamo intuire le strade di Dio, i suoi comportamenti, dobbiamo salire sulla montagna, cioè vedere le cose dall'alto. Noi continuamente poniamo sotto processo Dio, gli diamo dei consigli, vorremmo che facesse a modo nostro; invece Lui ci dice di guardare le cose dall'alto, in una visuale molto molto ampia. Noi, immersi nella realtà nostra, non possiamo capire dove siamo proiettati, ma collocandoci in alto, forse possiamo intuire un po' di più il pensiero di Dio.
Tutto questo per cercare di capire cosa voglia dire il nostro salmista, quando prega: "Per conoscere nella terra la tua strada". Io credo che il salmista si ponga questo problema in chiave messianica. Cioè cosa ci aspettiamo noi dal messianesimo? Una situazione già adombrata da Isaia. Cos'è, per noi, il periodo del Messia? Tante belle cose, ma uno degli elementi fondamentali è il realizzarsi di quella situazione in cui "sarà piena la terra della conoscenza di Dio, così come l'acqua ricopre il mare". Messianesimo vuol dire una situazione tale in cui il mondo, gli uomini, saranno immersi nella conoscenza di Dio, cioè si saranno compenetrare in Dio.
Vedete che in questo salmo si fa riferimento molto spesso alle nazioni, ai popoli. L'ultimo verso dice: "Ci benedica l'eterno e lo temano tutti i confini della terra". Il timore di Dio! Il salmista si augura che arrivi il giorno in cui ci sarà la conoscenza di Dio e il timore di Dio in tutte le estremità della terra. Timore di Dio non significa aver paura di Dio, ma significa rispetto di Dio, soprattutto in termini di rapporti interpersonali; tutte le volte in cui io potrei fare del male a qualcuno e non lo faccio per delle remore di carattere morale, io sono un timorato di Dio. Non nel senso che ho paura che Dio mi punisca, ma nel senso che credo che c'è una giustizia superiore alla mia.
Un altro elemento che non riesco a capire bene è l'espressione: "La terra darà il suo prodotto". Non so cosa voglia dire, ma immagino che possa significare che ci sono delle cose che capitano sotto i nostri occhi e che noi consideriamo con banalità, come se fossero le cose più normali di questo mondo. Orbene, il fatto che la terra produca dei frutti che possono alimentarci e tenerci in vita, è un miracolo costante e quotidiano che ci dovrebbe proiettare verso la conoscenza di Dio.
Ma c'è un altro elemento. All'inizio il testo dice: "Dio ci conceda grazia e ci benedica e illumini la sua faccia verso di noi". Questa espressione si trova tale e quale nel libro dei Numeri (6, 24), dove si dice che Aronne e i suoi figli hanno il compito di benedire il popolo ebraico, pronunciando una triplice espressione: "Ti benedica Dio e ti custodisca; illumini Dio la sua faccia verso di te e sia benigno con te".
Questo salmo, per il suo contenuto e anche per la sua forma, è stato adottato molto spesso negli shivvìti.
Nessuno ha ancora capito come sia formalmente congeniata la poesia ebraica biblica, quali siano i suoi parametri, i suoi ritmi, gli accenti, le rime, ecc. Al di fuori del fatto che si constati la presenza di parole più difficili, non si riesce a penetrare più addentro alla poesia biblica.
Un aspetto scoperto in tempi relativamente recenti, è il fatto che tutta la poesia biblica era sicuramente accompagnata da musica, perché affidata al canto. Era congeniata sul testo, che doveva parlare alla mente e al cuore dell'orante, su una parte uditiva e su un elemento estetico visivo. Non c'è dubbio che gran parte della poesia biblica era scritta in modo tale da formare delle forme geometriche con un certo equilibrio. Vedendo la lunghezza delle frasi, la lunghezza delle parole e il loro ripetersi, si deduce che originariamente la poesia era scritta in modo tale che la composizione assumesse una certa forma: triangolo, quadrato, cerchio, o forme concentriche, o più triangoli. Questo per attirare anche l'attenzione visiva del lettore, oltre che la mente e l'udito.
Probabilmente si cessò di trascrivere i testi poetici in questo modo, perché richiedeva una quantità troppo grande di materiale (pelle, pergamena, poi la carta) e perché era poco comodo.

  Il nostro salmo si presenta in modo tale da rappresentare in qualche modo la menorah, cioè il candelabro che era parte essenziale delle suppellettili del santuario di Gerusalemme. C'è proprio un equilibrio tra le frasi che ritornano: c'è una colonna centrale, una superiore, una inferiore e poi dei rami che fuoriescono dalla colonna centrale, costituiti dalla varie parti di versetti con un sincronismo perfetto.
La tradizione ebraica dice che chi legge questo salmo tutti i giorni, e lo legge da una raffigurazione a forma di candelabro, in un shivvìti, è come se partecipasse a una funzione nel santuario di Gerusalemme. E questo assicura alla persona che non gli capiterà niente di male.

 


Qual è il nesso tra questo salmo e la menorah? Su questo è stato scritto tutto il possibile. Provo a dire qualcosa.

Gli Ebrei sono usciti dall'Egitto e ricevono l'ordine da parte di Dio di costruire un tabernacolo, il mishkàn, cioè una struttura smontabile che doveva servire per indicare la presenza di Dio. Se fate attenzione, le disposizioni circa la costruzione del tabernacolo, vengono, nella Bibbia, subito dopo il racconto del peccato del vitello d'oro e secondo qualcuno sono la reazione - se mi è consentita questa espressione - di Dio al peccato di Israele. Bestemmio senza volerlo: Dio aveva pensato che il popolo avrebbe capito immediatamente che cos'è Dio, cioè un qualcosa di spirituale che non ha delle rappresentazioni; ma nel momento in cui il popolo cade nel peccato di idolatria costruendosi il vitello d'oro, Dio capisce che il popolo ha bisogno di qualcosa di fisico. Cioè il concetto di Dio, così come scaturisce dal testo biblico, è talmente elevato, talmente difficile da capire per una popolazione che era stata immersa nell'idolatria dell'Egitto e in un mondo tutto pagano, che gli Ebrei hanno bisogno di un qualcosa di materiale che ricordasse la presenza di Dio. E, secondo qualcuno, che ricordasse dal punto di vista fisico il monte Sinài, che era stato il luogo della manifestazione di Dio. Per questo Dio accondiscende e ordina di costruire il tabernacolo, però deve essere fatto in modo estremamente perfetto rispetto alle disposizioni date da Dio. Quindi ci sono delle disposizioni dettagliatissime. Era una struttura all'aperto, un alto spazio circondato da una palizzata esterna, i cui pali erano collegati da delle stoffe e quindi costituiva una specie di cortile. All'interno di questo cortile sorgeva un altro piccolo edificio, anche questo scoperto, nel quale era conservata una cassetta, dentro la quale stavano le tavole della Legge. Ma quali tavole? Le prime erano state spezzate da Mosè, dopo che le aveva ricevute direttamente da Dio sul Sinài; i frammenti di queste tavole erano stati raccolti e deposti in questa cassetta. Poi vi furono poste anche le seconde tavole, quelle fatte da Mosè, come punizione del fatto che aveva rotto le prime e perciò Dio gli aveva ordinato di farne delle altre; ma si percepisce un atteggiamento bivalente di Dio, che se ordina questo, sembra anche approvare il gesto di Mosè, perché se quelle prime tavole, scritte dal dito di Dio, si fossero conservate, sarebbe diventate oggetto di idolatria.
Tutta questa struttura smontabile era un congegno focalizzato proprio sulla cassetta contenente le tavole del Sinài.
Da notare che tutte le disposizioni dettagliate per la costruzione del tabernacolo sono ripetute per quattro volte nel testo biblico; ci sono 600 versetti del libro dell'Esodo che parlano di questo e lo fanno in modo talmente dettagliato, che noi non capiamo niente. Sappiamo tutto dei singoli particolari, ma non riusciamo a farci una visione di insieme. In questi 600 versetti ritorna una specie di ritornello, che cioè queste cose devono essere realizzate secondo l'immagine mostrata a Mosè sul monte. Toccava a Mosè assemblare tutti i particolari realizzati dai diversi artigiani.
Bene, in questa struttura, c'era al centro una specie di stanzetta, anche questa circondata da una cortina, che conteneva appunto la cassetta con le tavole; al di fuori di questa stanzetta stava la menorah: una struttura di oro di un pezzo unico, dell'altezza di circa 170 cm. con sette bracci, al di sopra dei quali c'erano dei contenitori per l'olio, che veniva acceso per illuminare l'ambiente. Il candelabro dove ardere costantemente, alimentato da olio di oliva purissimo.




Noi rappresentiamo la menorah coi bracci ricurvi, ma il testo biblico non fa nessun riferimento a questa forma. Noi riproduciamo l'immagine di una lampada che compare sull'arco di Tito a Roma. Si racconta che gli Ebrei esiliati a Roma, che avevano portato con sé la menorah, piuttosto che lasciarla nelle mani dei pagani, la gettarono nelle acque limacciose del Tevere e non fu più trovata. Una diramazione di questa leggenda dice che, facendo degli scavi, il Vaticano se ne sia appropriato e ancora oggi quella lampada è nascosta in qualche scantinato di san Pietro.
Negli Stati Uniti c'è una fondazione che ha per scopo di recuperare la lampada originaria. Io a queste cose ci credo abbastanza poco.
Un'altra versione dice che nessuno è riuscito a recuperarla fino ad ora, ma un giorno sarà ritrovata e quel giorno ricostruiremo il tempio di Gerusalemme e allora saranno i tempi messianici.
  Anche se questa lampada è raffigurata sull'arco di Tito in quel modo, chi ci dice che fosse proprio così, ad es. con le fiammelle tutte sullo stesso piano? E chi ci dice che i rami fossero curvi?
Leggiamo rapidamente il testo di Esodo 25 in cui ci è data la descrizione del candelabro:
31Farai anche un candelabro d'oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello, il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo.
32Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall'altro lato. 33Vi saranno su di un braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla e così anche sull'altro braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla. Così sarà per i sei bracci che usciranno dal candelabro.
34Il fusto del candelabro avrà quattro calici in forma di fiore di mandorlo, con i loro bulbi e le loro corolle:
35un bulbo sotto i due bracci che si dipartano da esso e un bulbo sotto gli altri due bracci e un bulbo sotto i due altri bracci che si dipartano da esso; così per tutti i sei bracci che escono dal candelabro.
36I bulbi e i relativi bracci saranno tutti di un pezzo: il tutto sarà formato da una sola massa d'oro puro lavorata a martello.
37Farai le sue sette lampade: vi si collocheranno sopra in modo da illuminare lo spazio sul lato della sua faccia.
38I suoi smoccolatoi e i suoi portacenere saranno d'oro puro.
39Lo si farà con un talento di oro puro, esso con tutti i suoi accessori.
40Guarda ed eseguisci secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte.

Mi fermo un attimo sul v. 37: cos'è la faccia della lampada? Pare che i bracci dovessero essere congeniati in modo tale da far convergere la luce sul lato della faccia. Cioè sul fusto centrale o su un'altra cosa?
Secondo la tradizione ebraica ci è proibito rappresentare questa lampada, così come ci è proibito rappresentare in forma grafica tutte le suppellettili che facevano parte del tabernacolo, che poi, come sapete, è stato sostituito dal grande santuario costruito a Gerusalemme da re Salomone. Ci è concesso di rappresentare queste cose proprio perché abbiamo la consapevolezza che quella non è la forma giusta, ma se sapessimo la forma giusta, non potremmo riprodurla. Questo è uno dei motivi per cui nella festa di Hanukkà appare un candelabro a otto bracci, che dovrebbe rappresentare il miracolo dell'olio, durato otto giorni, finché si è riusciti a produrre dell'olio puro nuovo. Ma tutti si domandano: se dobbiamo celebrare il miracolo, le luci dovrebbero essere sette, perché il fatto che la lampada sia rimasta accesa per il primo giorno non era miracoloso, perché la quantità d'olio era sufficiente. Però noi facciamo il candelabro a otto bracci, perché non evochi la menorah.
  Qualcuno dice che questo candelabro a sette bracci sia la raffigurazione di una pianta che nasce in vari luoghi, ma in particolare è caratteristica della pianura costiera di Israele; è una specie di salvia, in ebraico detta moriàh, stranamente con lo stesso nome che ha la montagna su cui Abramo doveva sacrificare suo figlio. Questa pianticella si presenta in questa forma: un piccolo fusto centrale e sette rami che fuoriescono da esso.
  Naturalmente si sono scatenate le fantasie dei nostri maestri sul significato di questa menorah.
Qualcuno dice che essa rappresenta i sette giorni della creazione: i sei giorni in cui Dio ha lavorato e il settimo in cui si è riposato. Quindi dovrebbe ricordarci la creazione dell'universo da parte di Dio.
Qualcuno dice che sette sono i pianeti allora conosciuti, o i setti cieli, cioè i setti strati di firmamento che si credeva esistessero.
Qualcun altro dice che forse l'elemento base di questa lampada è un albero con i suoi rami e dovrebbe rappresentare le ramificazioni del sapere umano.
Si aggiunge che questo albero è un po' strano, come se avesse le radici in alto e i rami nella terra.
  Un altro elemento voglio presentare alla vostra attenzione. Io sono sempre sensibile agli aspetti linguistici. Quando leggiamo un passo biblico, certe parole hanno un significato che va oltre quello che si trova nel vocabolario. Nel passo di esodo riguardante il candelabro si parla di fori di mandorlo. Orbene il mandorlo, nella tradizione ebraica, è un protagonista. In ebraico mandorlo si dice shackéd. Pare che il mandorlo sia molto precoce nella fioritura e addirittura fa nascere prima i fiori che le foglie. Quando nel testo biblico si parla di mandorlo, si gioca sempre sul significato del termine, che oltre a voler dire mandorlo, significa anche "fare le cose alla svelta, darsi da fare". La famosa visione di Geremia al primo capitolo presenta proprio questo gioco di parole: Dio chiede a Geremia: "Cosa vedi?" e lui risponde: "Un ramo di mandorlo io vedo"; a questo punto Dio aggiunge: "Hai visto bene, perché io sono sollecito nel mettere in pratica la mia parola". I termini "mandorlo" e "sono sollecito" si richiamano l'un l'altro.
Un altro esempio lo troviamo nel libro dei Numeri, quando si racconta di una ribellione del popolo contro Mosè e Aronne; Dio propone di chiamare tutti i rappresentanti delle dodici tribù, ognuno con un ramo, per vedere quale sarebbe fiorito. Alla verifica dell'indomani si trovò che era fiorito il ramo della tribù di Aronne, che aveva prodotto fiori di mandorlo. Questo ramo fu poi conservato miracolosamente all'interno del santuario. Qui forse il mandorlo diventa il simbolo del dovere che ha la tribù di Aronne di fare le cose con sollecitudine, senza rimandare.
Qualcuno vede nei fiori di mandorlo che compaiono nella menorah proprio questa indicazione rivolta all'uomo, come un invito a darsi da fare; è necessario essere solleciti nel fare le cose.
In un salmo si legge: "Se il Signore non custodisce la casa, il guardiano fa guardia inutilmente", dove compare lo stesso termine con una sfumatura diversa di significato, ossia "vigilare, proteggere".


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