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Il Cantico dei Cantici
(rav Luciano Meìr Caro)


Il Cantico dei Cantici è un libricino, che fa parte della Bibbia.
Nella nostra Bibbia ebraica esso è collocato tra le meghillòt (rotoli), che sono 5 brevi libri all'interno degli Agiografi - ketuvìm, di solito rilegati anche insieme per motivi di utilità pratica, perché sono i libri che si leggono in occasione di feste particolari dell'anno liturgico ebraico. Si tratta del Cantico dei Cantici, che si legge a pasqua o, secondo qualcuno, ogni sabato; poi il libro di Ester, che si legge a Purìm; il libro di Rut, la famosa spigolatrice, che si legge a Shavuòt, per motivi di carattere stagionale, perché si racconta un episodio avvenuto nella stagione del raccolto; poi il libro delle Lamentazioni, Echà, che leggiamo in occasione del digiuno del 9 di Av, che commemora la caduta del santuario di Gerusalemme; finalmente il Kohèlet, o Ecclesiaste, che leggiamo a Sukkòt, la festa delle Capanne. Perché leggiamo Kohèlet alla festa delle Capanne? Ci sono dei buontemponi che dicono che è perché era rimasta l'unica meghillà senza collocazione; in realtà ci sono dei motivi più profondi. Questo libro si può leggere da varie angolature; c'è chi lo legge in senso pessimistico e quindi dice che il rapporto con la festa delle Capanne è dovuto al fatto che questa festa viene d'autunno e nell'autunno siamo tutti più portati alla malinconia, alla depressione. Qualcuno dice esattamente il contrario, nel senso che una delle chiavi di lettura del libro è quella dell'allegria; l'autore del Kohèlet si pro-pone come scopo di trovare in che cosa consista la felicità dell'uomo e dice che niente di ciò che ha trovato, lo ha soddisfatto. Poi sembra concludere che l'unica medicina per la sofferenza dell'uomo è l'allegria, però non è così facile, perché l'essere allegro è uno stato d'animo che o ce l'hai o non ce l'hai. Sembra voler dire che in questo mondo in cui tutto quello che facciamo sembra inutile, l'unico rimedio alle sofferenze e alle delusioni della vita, è stare allegri (sembra voler dire questo) e siccome nella festa di Sukkòt il testo biblico prescrive che bisogna stare allegri, allora ecco il collegamento col Kohèlet.

Detto tutto questo sulle meghillòt, entriamo a parlare del nostro libricino, che è straordinariamente bello, non mi stancherò mai di ripeterlo, anche dal punto di vista letterario.
È costituito da 8 capitoli molto brevi, scoordinati tra di loro, nei quali si narra dell'amore tra due personaggi, uno maschile e uno femminile, che si cercano, si descrivono con dei particolari che secondo qualcuno possono rasentare anche la pornografia, cioè con dei dettagli anatomici molto precisi. Comunque è un libro molto bello, che fa pensare all'importanza e alla grandezza dell'amore.  
Questo libro è stato interpretato in chiave allegorica e sapete già le grandi discussioni sorte, anche in campo ebraico, per determinare se questo poteva essere considerato un libro sacro, che poteva essere mantenuto nel canone biblico o no. A prima vista in questo libro non c'è nessuna indicazione di carattere religioso; sembra solo la storia di questi due personaggi che si amano e si cercano e non è nemmeno chiaro che siano sempre gli stessi due, perché potrebbe essere una raccolta di canti d'amore redatti in ambienti diversi, da persone diverse. Qualcuno si domanda che cosa ci stia a fare una elegia di testi d'amore nella Bibbia.
Altro elemento caratteristico di questo libro è che non si trova mai citato il nome di Dio, non si parla mai di Dio, salvo che in un'espressione, che credo che con Dio c'entri poco; alla fine, nelle ultime righe, si dice: "Le grandi acque non possono spegnere l'amore, perché l'amore è un shalèvet Yah". ShalèvetYah, tutta una parola, letteralmente vuol dire "fiamma di Dio", ma non credo che si riferisca a Dio, perché questo Yah, alla fine di una parola, nell'ebraico classico era considerato come un superlativo e quindi può anche voler dire "fiamma grandissima".
Allora il Cantico va annoverato tra i libri sacri o no? Chi dice sì parte da due considerazioni. La prima è che non c'è niente di più religioso, di più vicino alla volontà di Dio che l'amore tra un uomo e una donna; quando un uomo e una donna si vogliono bene e questo amore viene tradotto in pratica con l'unione sessuale, che di solito produce dei figli, diventano collaboratori di Dio, fanno qualcosa di analogo a quello che fa Dio, cioè sono creatori. Qualcun altro dice che la motivazione vera sta nella lettura allegorica del libro, cioè quando si parla di amore tra un uomo e una donna, si parla in realtà dell'amore tra due elementi che sono Dio e l'uomo, i quali si amano come si amano reciprocamente un uomo e una donna; quindi la lettura non dev'essere quella superficiale, ma in chiave allegorica. Poi ognuno si piglia quella che vuole: gli Ebrei dicono che si parla dell'amore tra Dio e Israele; i cristiani diranno che si parla dell'amore di Dio per la Chiesa; quelli che non si riconoscono in una religione ufficiale diranno che si parla dell'amore di Dio per l'umanità; altri dicono che si parla dell'unione tra Dio, considerato lo sposo e la sposa che è l'anima. Non mancano certamente i commenti e le spiegazioni nelle quali si può andare molto in profondità.
In realtà, soffermandoci qualche istante soltanto sugli aspetti più banali del libro, senza entrare in problemi esegetici, gli studiosi si domandano: "Cos'è questo libro? Come è nato?". Qualcuno dice che sia un dramma pastorale: cioè qualcuno si è appropriato di canzoni, di testi che circolavano in ambienti pastorali e li ha messi insieme dando origine a questo libro.

Un'altra ipotesi afferma che originariamente si trattasse di una serie di canti pagani, legati al culto della natura ecc. poi rielaborati in chiave ebraica da un autore più tardo. Chi formula questa ipotesi, lo fa tenendo conto che nel libro non c'è nessun riferimento ad alcuna forma di ebraicità, salvo alcuni nomi: Salomone, o altre locuzioni geografiche come il Libano, che fanno pensare a un ambiente semitico, ma al di fuori di questo non c'è niente che faccia pensare che questa cosa avvenga in ambiente ebraico.
Qualcuno dice che in realtà si tratta di una raccolta di canti nuziali, usati nelle feste di nozze e accompagnati con suoni e danze.
Un'altra ipotesi sostiene - senza portarne le prove - che il libro sarebbe stato redatto da una donna; chi sostiene questo lo fa affermando che non si vede, nel testo, una dipendenza della donna dall'uomo.
Qualche annotazione di carattere tecnico. Ad es. nel Talmud si parla di questo libro e si dice che il libro dei Proverbi, il Cantico e il Kohèlet erano libri originariamente sottratti al pubblico; gli antichi maestri pensavano che questi libri non andassero dati in pasto alla gente, perché possono essere travisati. Ciò fino a quando arrivarono gli uomini della grande assemblea, i quali rimisero a disposizione del pubblico questi libri. La grande assemblea era stata creata da Esdra, al ritorno dall'esilio babilonese, come una specie di parlamento, che aveva l'incarico di dire quali erano le linee principali dell'ebraismo. Gli Ebrei avevano dimenticato tutta la tradizione precedente: non parlano più l'ebraico, hanno con sé delle donne pagane e il ricordo delle loro origini ebraiche è molto vago. Esdra, allora, cerca di fare chiarezza su che cosa gli Ebrei siano, sui libri sacri, la lingua, ecc. e fa un'opera di recupero della pura identità ebraica ed è a questo scopo che lui dà vita a questa grande istituzione di saggi, che stabilivano le normative, le linee di pensiero e così via. Siamo circa 300 anni a.e.v e vengono recuperati questi libri e riproposti alla lettura e alla meditazione di tutti.
Ancora il Talmud dice che comunque in certi ambienti si considerava disdicevole proporre lo studio di questi libri a chi non fosse arrivato alla maturità completa. Ma cosa sia non lo so. Credo sia la maturità dell'età, cioè non si può dare questo libro in pasto a un ragazzino di dieci anni, che non ne capisce niente, può avere un'idea distorta.

Tra le altre cose, il rabbì Akivà, nell'ambito di questa discussione, avrebbe affermato che tutti i libri del testo sacro sono sacri, ma il più sacro di tutti è il Cantico dei Cantici; potremmo dimenticare  tutti i libri biblici, ma questo no, perché è il più vicino a Dio. E diceva che il giorno in cui è stato scritto il Cantico dei Cantici può essere paragonato al giorno in cui Dio si è rivelato sul Sinài. Cioè il libro stesso è come una forma di rivelazione divina, addirittura anche superiore a quella avvenuta sul Sinài. Forse può aiutarci, in questo senso, l'immagine dell'iceberg: la punta, che si vede all'esterno, è solo una minima parte, mentre occorre scavare, fare uno sforzo per poter raggiungere ciò che sta sotto. Così è il Cantico dei Cantici: la parte più nascosta, più misteriosa della rivelazione divina.
Rabbì Akivà era portato a considerazioni mistiche; lui è stato uno dei fondatori della kabbalà, che ha scritto un'opera, "Le lettere dell'alfabeto", in cui, partendo da presupposti di carattere didattico, cioè come si fa ad insegnare le lettere ai bambini, attribuisce ad ogni lettera una valenza specifica, che riguarda tutti gli aspetti di ogni singola lettera: il nome, la forma, ecc. Faceva dei commenti sulla Bibbia anche partendo dagli ornamenti che gli scribi mettevano sulle lettere. Partendo dal presupposto che il testo biblico dice che Dio ha creato il mondo con la parola e se l'ha creato con la parola, vuol dire che le parole hanno una valenza importantissima e le parole sono costituite da lettere e perciò le lettere sono considerate i mattoni dell'universo, il protoplasma della creazione. Le lettere dell'alfabeto hanno una valenza gigantesca che a noi sfugge. E lui diceva queste cose partendo da considerazioni elementari, come si insegnano le lettere dell'alfabeto ai bambini. Tutti gli studi successivi partono da questa opera di rabbì Akivà, come lo Zohar, lo Sefer Ietzirà.
Quello che vi dicevo prima sulle meghillòt e le varie distinzioni, è cosa che viene molto più tardi. Né il testo biblico, né i testi talmudici ci danno notizia che queste meghillòt fossero considerate parti del testo biblico; questo probabilmente risale al tempo in cui si cominciò a unire i vari testi biblici in un unico volume.
Volevo soffermare la vostra attenzione patendo da alcune osservazione fatte nel campo del midrash, cioè da quelle interpretazioni allegoriche che vengono date al Cantico dei Cantici. Se avremo tempo, considereremo anche l'apporto della mistica, che è molto importante, perché praticamente non c'è pagina dello Zohar in cui non si faccia riferimento a questo libro in senso mistico.
Forse c'è un'overdose di pubblicazioni in questo senso, per cui il lettore medio può rimanere anche disorientato; io parto da questo presupposto, che può essere accettato o meno, che è quello di partire dal testo e, se non è possibile tradurlo, ricorrere all'italiano, un italiano semplice e cominciare a leggere, una, due, tre, cinque volte, così vi fate un'idea e solo dopo andatevi a leggere i commenti, perché i commenti sono sempre fuorvianti, anche se partono da considerazioni straordinariamente oneste. Se io faccio un commento al Cantico, vi do la mia interpretazione invece ognuno deve trovare la sua e poi potrà anche stare a sentire cosa dice A, cosa dice B e così via. Il mio consiglio, per tutti i testi e in particolare per questo è: prima leggetelo voi, buttate via le introduzioni, le prefazioni, ecc. che le leggerete in un altro momento; ma se non vi fate un'idea a priori vostra, siete portati fuori strada, anche in senso buono, perché nessuno degli autori vuole insegnare cose cattive, ma vi danno un'interpretazione.
Quindi quello che vorrei fare con voi è andare a leggiucchiare alcuni commenti classici; io ho qui una selezione di midrashìm sul Cantico, dove però non sempre tutto è molto chiaro, perché gli autori di questi commenti non vogliono tanto proporci un'interpretazione, ma uno stimolo. Per es. cominciamo dall'inizio: "Cantico dei cantici, che è a Salomone" e sembra che voglia dire: "Cantico dei cantici attribuito a Salomone". Si dice che il re Salomone abbia composto, oltre al Cantico, anche i Proverbi e Kohèlet. Il midrash soggiunge che avrebbe scritto il Cantico quando era giovane, i Proverbi quando era in età matura e finalmente il Kohèlet in vecchiaia. Quando diciamo "che è di Salomone" non è detto che fosse proprio quel Salomone figlio di Davide. Comunque si pensa a lui anche per il fatto che Salomone era considerato, già dal testo biblico, il re più sapiente che sia mai esistito e poi un re che aveva amato molte donne, quindi nel campo dell'amore femminile era un esperto.
Cantico dei cantici vuol dire il più bello dei cantici; ma qualcuno non è d'accordo e legge così: Shìr hassharìm e non shir hasshirìm, che diventa non più cantico dei cantici, ma "cantico dei cantanti"; quindi un canto che cantavano i cantanti che facevano parte dell'entourage di Salomone. Non è che Salomone ha scritto questa roba, ma aveva uno staff di gente che lavorava per lui e gli ha raccolto questi canti. Oppure è detto che si tratta dei canti che Salomone faceva eseguire ai suoi cantori in determinate circostanze.
Volevo far notare questa cosa: forse ci avviciniamo alla chiave mistica e non so se riuscirete a capire tutto ciò che vi dico, non per carenza di intelligenza vostra, ma per mia incapacità di spiegare certe cose, che sono anche difficili.
Il libro comincia: Shir hassihirìm ashèr lìshlomò.


In ebraico ci sono 4 parole e questo numero era considerato nella mitologia, nella mistica semitica particolarmente importante, anche perché il nome di Dio è composto di 4 lettere; perciò qualcuno dice che questo è subito un segnale importante: non c'è il nome di Dio nel testo, ma si intravede in tanti elementi.
Il v. 2 è così tradotto: "Magari lui mi baciasse dei baci della sua bocca!"; è l'amante che esclama. E continua: "poiché sono buoni i tuoi amori più del vino". "Dodìm" indica l'amore. Vedete che qui c'è un cambio di soggetto: comincia con "lui mi baci" e poi passa alla seconda persona. Questa donna desidererebbe essere baciata da lui e poi considera i suoi amori migliori del vino; il vino è considerato un elemento particolarmente gradevole e inebriante, perciò è come se volesse dire: "Quando tu mi baci, non capisco più niente". Questo è il senso semplice. Continuo a tradurre: "Per l'odore dei tuoi olii, buoni" cioè si sta parlando del buon odore del tuo olio - "un olio diffuso il tuo nome, per questo le giovani ti amano". Non è tanto chiaro cosa vuol dire; sembra che questa signora dica: "i tuoi unguenti hanno un odore molto buono; il tuo nome è come un olio effuso". "Effuso" in ebraico è turàk, ma qualcuno dice che significa "turco", un unguento buono che viene dalla Turchia.
Cosa c'entra, adesso, l'olio? Prima il vino e poi l'olio. Esiste tutta una serie di disquisizioni sul significato allegorico dell'olio. Si parla del suo sapore, che è amaro, quando l'olio è appena estratto, mentre va addolcendosi col tempo. Secondo qualcuno questo è quello che capita quando ci si applica con uno studio approfondito sul testo biblico: all'inizio sembra non dire nulla, ma approfondendo si comincia a gustarne la dolcezza.
Alcuni maestri dicono che l'olio rappresenti il popolo ebraico, nel senso che può essere considerato come le olive, che danno il meglio di sé solo se compresse. Parlo degli Ebrei, ma penso che il discorso valga per tutti gli esseri umani, che possono tirar fuori la parte migliore di sé, se vengono a trovarsi dentro situazioni particolarmente dure.
Poi il testo continua: "Trascinami dietro di te, correremo; il re mi ha portato nelle sue stanze. Rallegriamoci, gioiamo in te; ricordiamo i tuoi amori più del vino. È giusto che le fanciulle ti amino".
Voglio soltanto fare una piccola osservazione su questo termine "fanciulle", alamòt: che non vuol dire vergini, ma giovani donne. Sapete che c'è una grossa discussione, peraltro ormai superata, tra l'interpretazione ebraica e cristiana del passo di Isaia 7 dove compare il termine almà. Le interpretazioni cristiane traducono così: "La vergine partorirà un figlio", mentre la parola almà in ebraico vuol dire semplicemente "giovane donna", tant'è vero che almà è il femminile di elem, che vuol dire "giovane uomo".
Almà deriva da una radice, alàm, che vuol dire "cosa nascosta"; ma se si intende come olàm diventa universo, inteso come elemento spaziale e temporale. Dunque il quadro completa ci mette davanti una realtà immensa ed eterna, ma anche incomprensibile per noi, perché è nascosta.
E allora: sono le ragazze che amano, o è il mondo? O vuol dire che queste ragazze amano in modo incomprensibile? Ma qualcuno si spinge ancora più avanti: se scindo la parola alamòt in due parti, cioè al - mot, diventa "sulla morte" o meglio "fino alla morte". Un amore che dura tutta la vita, che dura nonostante la morte.
Il testo ebraico è redatto secondo determinati parametri; in alcuni punti del testo ci sono alcune lettere, che sono più grandi e altre sono più piccole e il copista deve fare attenzione a conservarle tali. Il Cantico dei cantici presenta la prima lettera, che è una shin, in formato più grande e deve essere sempre riportata così. La shìn è costituita da una base dalla quale fuoriescono tre linee verticali e qualcuno dice che questo vuol indicare l'aspirazione che dovrebbe avere l'uomo ad andare verso l'alto, quindi, quando si legge il Cantico dei cantici, non si deve pensare a una serie di canti d'amore, ma che tutto è proiettato verso l'alto.
Vi leggo una parte presa dallo Zohar, dove viene stabilito un nesso tra i baci della bocca e gli olii. Questa signora sta mettendo in rilievo il desiderio di essere baciata da lui e il fatto che questo emana degli olezzi speciali. Cosa vuol dire: "Mi baci coi baci della sua bocca"? Ma certo che si bacia con la bocca, se no, con che cosa? Non bastava che dicesse: "Mi baci"? Oppure: "Accosti la bocca alla mia"? Lo Zohar, che parte da considerazioni paradossali, non perché voi le accettiate, ma perché ci studiate sopra; dice: i baci della bocca di cui si parla, e anche di odori, reah, che però rimanda a ruach, spirito, alito; quindi questo termine può indicare sia l'emanazione dell'odore, che quella dell'alito. Il testo dice che in realtà, quando si parla di baci, si parla di 4 cose; quando due si baciano, avviene che il fiato di lui si mescola col fiato di lei - vero? Avete provato? - e la stessa cosa avviene dal punto di vista di lei. Quando avviene un bacio come manifestazione di amore profondo, ci sono 4 aliti che si fondono insieme e questi 4 aliti sono messi in relazione ai 4 spiriti, 4 venti di cui parla Isaia, dove è detto che l'Eterno dà al Messia uno spirito di consiglio, di intelligenza, di discernimento e di conoscenza di Dio. Quindi chi sta parlando direbbe: "magari l'Eterno facesse venire il Messia in queste connotazioni!". Un'altra interpretazione su: "per l'odore dei tuoi olii che sono buoni". Lo Zohàr dice: "Dice rabbì Shimòn: Io su questo versetto ci ho studiato tutta la vita e sono arrivato alla conclusione che esso è precluso da un segreto superiore, eccezionale". Non ci dice naturalmente qual è il segreto, ma aggiunge solo una conclusione: "C'è odore e c'è odore"; non c'è solo un tipo di odore. Avete notato che il testo dice: "Il tuo nome è un olio effuso"; attenzione, non dovete capire, ma solo cercare di penetrare cosa dice l'autore e poi ci ripenserete, perché lo Zohar non si capisce mai a prima vista. Dice: c'è un odore che sale dal basso verso l'alto, come era in occasione dei sacrifici; e c'è un odore che scende dall'alto verso il basso. Questo è il concetto della kabbalà, la mistica; kabbalà è la catena della tradizione, è quasi come se Dio dall'alto buttasse una catena verso di noi con la provocazione ad arrampicarsi e quindi c'è una discesa dal cielo verso l'uomo, un tipo di effluvio, di emanazione e un'ascesa dell'uomo verso Dio e le due cose vanno in parallelo. Vado avanti; un altro maestro invita a lasciare stare gli spiriti, l'alito, ecc., perché "mi baci dei baci della sua bocca" vuol dire tutt'altra cosa. Cosa vuol dire i baci della bocca riferito a Dio? Quand'è che Dio ci bacia? Quando moriamo. L'autore starebbe dicendo: "Magari io potessi morire nel bacio di Dio!". E questa è l'interpretazione che viene data agli ultimi versetti della Torah, dove si dice che Mosè morì 'al pi hashèm e cioè "per bocca di Dio". Ma cosa vuol dire questo? L'interpretazione piana sembra che voglia dire "per decisione di Dio", ma i maestri dicono che questo vuol dire che Mosè morì col bacio di Dio. Se proviamo a pensare a una morte dolorosa, la possiamo immaginare come un gomitolo di lana che viene estratto da un rovo di spine, una sofferenza infinita e questo è il modo peggiore di morire, mentre il modo migliore è il bacio di Dio, dove la morte è immaginata come il tirar fuori un filo di lana da un bicchiere di latte; qualcosa di delicato e impercettibile. Quindi l'autore dice che queste parole del Cantico vogliono augurarsi una morte così, che porti a godere dell'effluvio, dell'alito che proviene da Dio.
Ci sono un'altra decina di interpretazioni riferite a questo versetto. Qualcuno dice che qui ci si sta riferendo alla promulgazione dei comandamenti sul Sinai; quello era il bacio di Dio. Sapete che la nostra tradizione afferma che i primi due comandamenti il popolo li ha ascoltati direttamente dalla voce di Dio; non un ascolto uditivo, ma una comunicazione arrivata da Dio in modo eccezionale. Quindi sarebbe: "Magari si potesse ripetere una tale esperienza!". Parte dal presupposto che il termine è al plurale: neshikòt, baci, che sono almeno due e perciò quei due comandamenti percepiti direttamente da Dio. L'autore del Cantico anelerebbe a un'esperienza come quella che hanno avuto i padri sul Sinai, che hanno ricevuto dei baci di Dio con questo tipo di comunicazione che non si è mai più realizzato in seguito. Tanto per darvi un'idea.
Ritornando un pochettino sul semplice, volevo citarvi un'altra interpretazione. "I tuoi amori" può anche voler dire "i tuoi amici, quelli che ti amano" e cioè il popolo di Israele e così diventa: "magari Dio mi baciasse, poiché i tuoi amici (che siamo noi) sono migliori del vino". Cosa c'entra? Bisogna ricordarsi di tutto quello che vi dicevo riguardo alle lettere. La parola vino, yain, ha il valore numerico di 70, che sono nella visione biblica le etnie che popolano la terra e allora l'autore vorrebbe dire, nella visione ebraica, che noi Ebrei siamo migliori, non del vino, ma di tutti gli altri popoli; fra tutti, non c'è nessuno che ami Dio come Israele.
C'è ancora chi sottintende questo: il vino era, nella visione antica, tra gli alimenti di cui noi possiamo cibarci, la cosa più buona. Bene; però "i tuoi amori" è inteso come gli atti d'amore che Dio ha compiuto verso Israele nella sua rivelazione e questi suoi atti hanno un gusto superiore anche a quello del migliore dei beni fisici. Quando un tale si mette a studiare il testo biblico, prova un godimento superiore a qualsiasi altro godimento che noi possiamo provare in questo mondo.
Potrei andare avanti una settimana. Mi fermo un attimo sul versetto 4: "Il re mi ha portato nelle sue stanze".


Dice il re, ma potrebbe essere anche il suo ragazzo: "mi ha portato nelle sue stanze e ci siamo rallegrati, abbiam fatto l'amore", oppure è un desiderio: "magari il re mi portasse nelle sue stanze!". Lo Zohar dice: "Trascinami dietro di te e correremo"; ma cosa significa trascinami? Vuol dire le lettere che compongono il nome divino, poiché quando si uniscono due dei nomi di Dio insieme formano un nome completo, cioè l'essenza divina. Sembra che voglia dire: "Trascinami alla comprensione del nome di Dio". Dio si presenta con tanti nomi, dei quali nel testo biblico ce ne sono almeno due più ricorrenti: il Tetragramma - yud, he, waw, he - e il nome Elohìm; questi due messi insieme, condensati, intrecciati, ci danno la connotazione dell'essenza divina e allora l'autore vorrebbe dire: "Portami dietro di te, trascinami, fammi capire!". L'augurio di essere portati nelle stanze di Dio non è più il desiderio che il re mi porti a letto con sé, in casa sua, ma entrare nelle stanze di Dio vuol dire compenetrarsi nell'essenza di Dio.
Non è facile tutto questo e presuppone tutta una conoscenza del testo. Si può non accettare, però queste sono le chiavi di lettura proposte dalla mistica ebraica. Vi posso anche dire che anche la mistica cristiana si è mossa in quest'ottica e troverete delle interpretazioni della mistica cristiana che sono abbastanza vicine a queste.
  Al v. 8 la sposa dice: "Sono nera ma bella", oppure potrebbe anche essere: "Sono nera e bella". Vi ricordate che nella storia di Mosé appare sua moglie etiope, cioè nera? Nel mondo biblico il nero è positivo e per questo Aronne e Maria se la prendono con lui. Forse perché erano gelosi del fatto che Mosè avesse preso in moglie una donna tanto bella?
Ma torniamo al Cantico. L'affermazione della bellezza in un colore nero forse vuol significare una bellezza eccezionale. Ma allora perché dice queste parole alle figlie di Gerusalemme e non all'amato?
Poi prosegue: "Non guardatemi perché sono scura, perché mi ha abbronzata il sole". Non so cosa voglia dire tutto questo. Un'interpretazione dice che il nero, lo scuro della pelle significa la negatività delle azioni della sposa; ma rimane la bellezza degli antenati.
Se riferito agli Ebrei nel deserto, il fatto che dica che è nera fa riferimento al vitello d'oro, ma la bellezza rimane perché subito il popolo si è pentito.
Oppure potrebbe significare che è nera durante i giorni della settimana, ma diventa bella il sabato; o anche è nera durante tutto l'anno, ma diventa bella per Yom kippur; a ancora è nera in questo mondo, ma bella nel mondo futuro. E si potrebbe continuare ancora.
  Vorrei fermarmi sul capitolo 3, 6: "Chi è costei che sale dal deserto come colonne di fumo profumato odorante di mirra e di tutte le polveri odorose?". Sembra che questa frase sia messa in bocca agli invitati a una festa di nozze, che vedono arrivare la sposa e fingono di non conoscerla; potrebbe essere il canto iniziale della cerimonia nuziale. Un'interpretazione pone in bocca questa frase alle nazioni, quando vedono arrivare Israele dopo la liberazione dall'Egitto. E' chiaro che ciò non ha nessuna relazione con la realtà, perché sappiamo bene quale sia stata la reazione dei popoli davanti a Israele.
Interessante il verbo "salire" qui usato, invece del verbo "venire". Come se Israele interpretasse il suo viaggio nel deserto come una salita, un'ascesa, durante la quale ha ricevuto il meglio dei doni di Dio, a partire dalla Legge. E quando si dice deserto si intende deserto di persone e non un luogo fisico. Se fate attenzione il testo biblico fa proprio degli sforzi per disorientarci riguardo al Sinài: a volte dice monte Sinài, a volte deserto del Sinài, a volte Horèv, a volte monte di Dio. Insomma non sappiamo con certezza dove sia e quello che oggi si chiama monte Sinài non è certamente il luogo biblico.
Inoltre anche l'attività di Mosè si è svolta quasi esclusivamente nel deserto, l'organizzazione del popolo ebraico è avvenuta nel deserto, la profezia, la rivelazione di Dio agli Ebrei è avvenuta nel deserto. Dunque i popoli sembrano dire: "Chi sarà mai questa nazione che cresce in nobiltà lungo il suo cammino nel deserto?".
  Passiamo al cap. 5, 2: "Io dormo, ma il mio cuore è sveglio e odo il mio amato che bussa dicendo: Aprimi, sorella mia, perfetta mia, colomba mia, perché la mia testa è colma di rugiada, i miei capelli sono pieni di rugiada notturna".


Secondo qualcuno queste parole rappresentano il sogno dell'amata, che desidera l'amato.
Secondo un'altra interpretazione, invece, qui il popolo ebraico esprime il suo rammarico per il fatto di non poter offrire i sacrifici, di non poter seguire tutte le normative dategli da Dio. E per questo si sente come addormentato; ma nello stesso tempo è sveglio, perché mediante la preghiera in sinagoga può recuperare ciò che non può fare fattivamente, mancando il santuario di Gerusalemme.
  Chiedo scusa per la forma disordinata in cui vi ho proposto questi contenuti, ma il mio scopo è quello di sollecitare la vostra curiosità e spingervi ad andare a studiare da soli, a cercare altre interpretazioni e rendervi conto da soli. Questo è quello che desidero, non che voi prendiate per buono tutto quello che ho detto. Grazie.


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