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Il culto sacrificale nella tradizione ebraica
(Rav Luciano Meir Caro)
Ci troviamo di fronte a un argomento molto pesante, perché abbiamo delle idee non molto precise, soprattutto per quanto attiene alle motivazioni. Molti storcono il naso davanti a queste tematiche, chiedendosi come sia possibile prestare culto a Dio macellando degli animali e offrendoli a Lui. In questa ottica, il grande santuario di Gerusalemme, dove quotidianamente avvenivano questi sacrifici, non era paragonabile a un grande macello? Qualcuno dunque gioisce del fatto che i sacrifici non si facciano più, mentre qualcun altro sostiene tutto il contrario, cioè che i sacrifici non si compiono più, perché mancano i presupposti, ma noi nella nostra liturgia quotidiana, ancora oggi in tutte le preghiere, continuiamo a chiedere a Dio di ripristinare il culto sacrificale a Gerusalemme. Ma io mi chiedo se davvero crediamo a quanto diciamo.
Il sacrificio di animali alla divinità era una prassi comune presso tutti i popoli dell'antichità. Per capire bene l'argomento, bisogna sempre fare riferimento all'aspetto semantico. In ebraico "sacrificio" si dice korbàn, che viene dalla radice karòv, che significa "vicino". Chi fa un sacrificio cerca, in qualche modo, di avvicinarsi a Dio. Qual è il concetto di sacrificio? Io prendo una cosa che mi appartiene e ne sacrifico una parte o la totalità a Dio, come atto di omaggio nei suoi confronti e come riconoscimento del fatto che tutto quello che ho, proviene da Lui.
I primi sacrifici, secondo il racconto biblico, risalgono a Caino e Abele; fin dall'inizio, tutti e due portavano offerte a Dio e pare che Dio gradisse quelle di Abele e non quelle di Caino, provocando in lui una profonda gelosia. Ma non si capisce bene quale sia stato il vero movente dell'assassinio, perché il testo dice solo che erano in campagna e Caino insorse contro il fratello e lo uccise.
Poi ci sono tutti i sacrifici celebrati in tempo patriarcale. Ma io vorrei soffermarmi sui primi versetti del libro del Levitico, dove il testo ci da' indicazioni a riguardo in modo quasi coercitivo. Traduco alla svelta: "Chiamò Mosè e l'Eterno parlò con lui dalla tenda della testimonianza dicendogli". Per capire bene il testo, bisogna tenere conto di un elemento particolare. Il libro inizia con una parola - vaykrà, "chiamò", che dà il nome a tutto il libro; tale parola è scritta, nel testo originale, con l'ultima lettera, una alef, più piccola delle altre. Come mai? E se il testo non appare in questa forma particolare, cioè con la alef più piccola delle altre lettere, viene considerato contaminato, guasto. Com'è, dunque questa storia? Il testo dice che Dio chiamò Mosè e questa parola "chiamò" presenta questa lettera più piccola.
Ma andiamo avanti nella traduzione: "Un uomo che tra di voi offrirà un sacrificio all'Eterno, dovete sacrificare il vostro sacrificio, prendendolo dagli animali, dal bestiame e dal gregge". Poi c'è tutta la descrizione di quali sacrifici bisogna fare, come, dove, eccetera.
Chi ha un po' di dimestichezza col testo ebraico, troverà sicuramente strana questa espressione: "Parla ai figli di Israele e dirai loro" e poi dice: "Un uomo che faccia un sacrificio". Perché non dice, piuttosto, per essere conseguente: "Dovete fare questi sacrifici", invece di adoperare l'espressione "un uomo", "adàm", così generica? Sembra che si voglia riferire non agli ebrei in particolare, ma al genere umano; adàm sono i discendenti di Adamo, tutti noi. E poi cosa vuol dire: "Un uomo che…lo dovete fare"? Il grande Maimonide argomenta, da questo tipo di espressione, che la volontà del testo biblico non è quella che noi facciamo dei sacrifici, ma si vuole soltanto circoscrivere i sacrifici, come a dire: "Se qualcuno vuole fare dei sacrifici, li deve fare così come è descritto qui".
Bene. Quali sono le limitazioni che il testo biblico pone al culto sacrificale? Ci sono delle limitazioni di animali che possono essere offerti; riguardo ai quadrupedi, possiamo fare uso, fra il bestiame domestico, dei bovini e degli ovini. Successivamente il testo dice che si possono fare sacrifici anche dagli uccelli e fra questi colombi e tortore. I pesci sono esclusi. Poi ci viene detto che ogni volta che si fa un sacrificio, bisogna accompagnarlo con un'offerta farinacea, con una libagione di vino e sempre con del sale e non ci vuole mai il lievito. Ci domandiamo: ma cosa vuol dire tutto questo? Io non ho risposte, pongo solo dei problemi e al massimo qualche ipotesi.
Ci sono anche altre limitazioni. L'animale che deve essere offerto deve avere almeno 8 giorni di età e deve essere assolutamente perfetto. Poi ci sono limitazioni di tempo, di spazio e di persone. I sacrifici devono essere fatti esclusivamente nel locale del santuario di Gerusalemme, dopo che fu costruito e prima potevano essere fatti solo nella tenda del convegno. Questo per quanto riguardo lo spazio. Invece per il tempo i sacrifici possono essere offerti solo in certi momenti e solo da certe persone, cioè dai cohanìm, i sacerdoti. Non basta ancora. I sacerdoti non devono avere difetti fisici, devono essere normali fisicamente e psichicamente e inoltre devono trovarsi in stato di purità rituale.
Facciamo una gran fatica a capire che cosa sia la purità rituale. La materia si può trovare in varie situazioni: in stato liquido o in stato solido, a una temperatura o a un'altra, ma dicendo che una cosa è calda o fredda, solida o liquida, non do nessuna valutazione morale. La Torah dice che la materia si può presentare in due stati: lo stato di purità e lo stato di impurità. Fate ben attenzione a queste parole, che sono una traduzione deformante dell'ebraico; quando dico, in italiano, purità, immediatamente scatta in noi un meccanismo che ci porta a pensare che purità significa puro, bello, buono, mentre impuro porta in sé l'accezione di sporcizia, cattiveria, bruttezza. Le cose non stanno assolutamente così, perché non è detto che una cosa pura sia migliore di una impura o viceversa. Molto strano tutto questo! Bene. La Torah dice ancora che tutto quello che esiste, le persone, gli oggetti, ecc. si trova in stato di purità, a meno che non abbiano avuto dei contatti con determinate sostanze. Le sostanze che provocano l'impurità sono, prima di tutto, il cadavere, detto "padre dei padri dell'impurità"; questa impurità data dal cadavere si trasmette per contagio, cioè per contatto, ma anche solo se viene a trovarsi nelle stesso locale di un'altra cosa o un'altra persona. Se io muoio in questo momento, tutti quelli che sono in questa stanza, anche se non mi toccano, diventano impuri. Altri tipi di impurità, che si acquisiscono per contatto diretto, sono trasmesse dal seme genitale maschile e dal mestruo femminile. E' stranissimo che l'impurità venga trasmessa da una parte da un morto e dall'altra parte da elementi portatori di vita, quali lo sperma e il flusso mestruale.
Alcune altre cose che danno l'impurità per contagio sono alcune malattie della pelle. Se mi vengono certe manifestazioni cutanee, io devo farle esaminare da un esperto, che deve giudicare se queste mie lesioni danno impurità o no; ma il verdetto non ha niente a che fare con l'igiene o meno delle piaghe o delle manifestazioni cutanee che io presento. Chiunque tocca una persona infetta, acquisisce l'impurità.
Che cosa cambia nell'essere puri o impuri? Perché, a questo punto, appare chiaro che tutti siamo impuri. Infatti, chi non è mai venuto a contatto con una donna mestruata, visto che basta anche solo sedersi su una sedia che lei aveva prima usato, per contrarre impurità? Oppure chi non ha mai avuto contatto con un uomo che abbia avuto un'emissione spermatica? O chi non è mai stato in una stanza con un morto? Dunque, il cambiamento che porta l'essere impuri o puri riguarda esclusivamente la celebrazione dei sacrifici nel culto sacrificale.
Il sacerdote che è chiamato a gestire il culto, nel senso di scegliere l'animale, di macellarlo, di fare l'aspersione del sangue, di prelevare certe parti e deporle sull'altare, deve essere in stato di purità rituale. Ma ci si chiede: "Come fa a diventare ritualmente puro?". Siamo davanti a un tema straordinariamente difficile, che si complica sempre più. Vi consiglio di leggere il libro del Levitico, ma senza commenti, così, da soli e probabilmente giungerete alla conclusione che sia tutta una cosa folle, il parto di una mente malata, oppure che leggendo queste pagine del testo sacro, noi ci troviamo davanti a qualche cosa che noi non siamo in condizione di capire.
Torno alla domanda di prima. Un sacerdote che non sia in stato di purità rituale, come fa a recuperare la purità? C'è una procedura molto lunga, che prevede che la persona stia sette giorni senza entrare in contatto con la sostanza inquinante; poi deve compiere un'abluzione completa del corpo, immergendosi in un'acqua con certe caratteristiche; poi deve cambiarsi tutti i vestiti che ha, adoperandone di quelli assolutamente puliti. Dopo tutto questo, la mucca rossa. Il testo, nel libro dei Numeri, dice che bisogna prendere una mucca rossa: integra, sana, senza difetti fisici, con tutto il pelo di colore rosso uniforme. Esiste un animale così? Siamo alla follia. Una volta identificata una tale mucca, che non abbia due soli peli che non siano rossi, deve anche essere una mucca che non sia mai stata utilizzata da nessuno. Ad es. non deve essere stata munta; ma anche solo che a qualcuno sia capitato, nel corso della vita della mucca, di appoggiare sopra di essa un fazzoletto, non è più adatta, perché è stata utilizzata.
Ammesso che sia stata trovata una tale mucca, il sacerdote in stato di purità, deve macellarne il corpo, bruciarla, prendere la cenere, immergerla nell'acqua e con dei ramoscelli vegetali, issopo ecc., spruzzare la persona impura, la quale può, così, recuperare la purità.
Tutto questo fa ridere. I nostri maestri sono esterrefatti davanti a questi passi. Qualcuno dice che chi legge queste cose e fa un sorriso ironico vuol dire che non ha capito niente, perché dobbiamo anche riconoscere che ci siano delle cose che noi non possiamo capire. Alcuni insegnamenti di Dio li capiamo, ma alcuni altri no, perché sono assolutamente incomprensibili. A noi viene chiesto di pensarci su e non di ridere.
I paradossi sono questi: che tutta questa procedura deve essere fatta da un sacerdote in stato di purità rituale e la conseguenza è che quello che era impuro, diventa puro, ma il sacerdote che ha fatto tutto, diventa impuro. Se mi consentite, siamo veramente nell'assurdità, dal punto di vista razionale.
L'impurità rituale riguarda i sacerdoti, ma anche le persone che vogliono offrire i sacrifici, per es. l'agnello pasquale.
Vediamo, dunque, come ci siano una quantità di limitazioni nella possibilità di svolgere il culto sacrificale: limitazioni di animali, di spazio, di persone che devono fare l'offerta. E tali limitazioni rendono, nella prassi, quasi impossibili le celebrazioni del culto. Pensate se noi volessimo ripristinarla oggi: dove lo troviamo uno puro, che possa fare le celebrazioni?
Non c'è nessun dubbio che ci venga imposto di fare questi sacrifici soltanto nel santuario di Gerusalemme e questo allo scopo di evitare la presenza delle bamot, "alture", cioè collinette o semplici protuberanze del terreno, dove i popoli antichi usavano fare i loro sacrifici.
Cosa si fa della carne degli animali macellati per i sacrifici? Una parte viene bruciata sull'altare; una parte viene destinata ai poveri e un'altra parte ai sacerdoti, che non avevano partecipato alla divisione della terra, per cui non avevano possessi e vivevano dei sacrifici. La figura del sacerdote è collegata al culto, ma questa era la caratteristica meno importante; i sacerdoti erano anche coloro che esercitavano le cosiddette professioni liberali, cioè gli avvocati, i giudici, i medici, gli insegnanti. Quindi si pagava lo stipendio ai sacerdoti attraverso il culto sacrificale. Se si sia fatto veramente così nella pratica, non lo sappiamo; forse sì, forse no. Il primo santuario fu costruito dal re Salomone, all'incirca nel 950 prima dell'era volgare, poi venne distrutto dai babilonesi nel 586 prima dell'era volgare, ricostruito ai tempi di Esdra, circa 60-70 anni dopo e infine distrutto definitivamente nel 70 dell'era volgare da parte dei Romani. Quindi il santuario è rimasto in funzione per un periodo di tempo relativamente breve: circa 400 anni prima e altri 400 anni dopo.
Di quali sacrifici parla il testo biblico? Ci sono i sacrifici quotidiani, che vengono fatti ogni mattina e ogni pomeriggio dal sacerdote, che offre animali sull'altare, unitamente a farinacei e libazioni. Gli animali adoperati venivano offerti dal popolo; tant'è vero che nella celebrazione doveva sempre essere presente una persona del popolo.
Ci sono altri sacrifici obbligatori, ma non quotidiani. Il testo biblico prescrive che un tale che abbia commesso un errore e si pente, per ottenere il perdono deve, prima di tutto, rimediare all'errore che ha fatto. Se io ho rubato il portafoglio a qualcuno, prima devo restituirlo. Poi deve chiedere perdono, recuperando il giusto rapporto con la persona. Ma una volta risistemato l'equilibrio sociale, bisogna portare un sacrificio di espiazione al santuario. Nel caso che l'offerente non possa permettersi un animale grosso, bue o capretto, deve comunque portare un animale che possa comprare, come due tortore o due colombe. E se non potesse fare nemmeno questo, almeno un pugno di farina deve offrirlo.
Un altro tipo di sacrificio è quello fatto nel caso di frode. Questo può essere compiuto da un privato, da un sacerdote, dal re o da un ente.
Poi ci sono i sacrifici assolutamente volontari, cioè scaturiti solo dal desiderio di offrire qualcosa a Dio, anche se non si è commessa nessuna frode o colpa. In questo caso una parte della carne dell'animale la mangia l'offerente.
Ci sono poi altri tipi di sacrifici, ancora più balordi da capire. Ad esempio il sacrificio che deve portare il nazìreo. Cos'è il nazìreo? Sembra che nel mondo antico fosse molto diffusa la tradizione di fare il voto di non tagliarsi i capelli e non bere sostanze alcoliche. La Torah dice che chi fa questo voto di nazireato, lo deve mettere in pratica, però questo voto deve essere limitato nel tempo. Solo il caso di Sansone era un nazireato a vita; ma quello è un caso anomalo. Quando è scaduto il periodo di validità del voto, la persona deve tagliarsi i capelli pubblicamente e bere del vino, quasi a sottolineare questo concetto: ci sono molte proibizioni che il testo biblico ci pone davanti, ma oltre a queste, è proibito inventarne delle altre. Subito dopo quel gesto, deve portare il sacrificio di espiazione, quasi a sottolineare: "Io ho fatto uno sbaglio!", perché l'astenersi da qualcosa che è permesso, viene considerato peccaminoso come il godere di qualcosa di proibito.
Un altro caso ancora più strano è il sacrificio della partoriente. Si dice, sempre nel libro del Levitico, che quando una signora partorisce deve stare in disparte per un tempo e alla fine deve portare un sacrificio di espiazione: o un agnello, o due tortore, o un pungo di farina. Ma di cosa si deve far perdonare una donna che ha partorito? Quale peccato ha fatto? Ci sono tutte le interpretazioni del mondo a questo riguardo. Qualcuno dice che si deve far perdonare perché c'è un qualcosa di collegato con Adamo ed Eva, cioè ai dolori del parto come collegamento al peccato ancestrale. Teoricamente una donna che sia assolutamente pura dal punto di vista etico, dovrebbe partorire senza dolore. Partorire è una funzione naturalissima. Bene: siccome le donne durante il parto soffrono, questo deve far capire loro che sono colpevoli di qualcosa. C'è, invece, chi dice che siccome una donna soffre durante il parto, fa o dice delle cose, fa delle promesse, che poi non mantiene, per es. "Io con mio marito non ci andrò mai più!". Ancora c'è chi dice che la motivazione profonda è un'altra: una donna che partorisce, deve farsi perdonare il peccato di orgoglio, perché non c'è nessun essere umano così vicino a Dio creatore come la donna che partorisce. Come se la donna che partorisce si sentisse legata alla divinità; quasi dicesse: "Anch'io creo". Un altro elemento, più di carattere mistico è questo: c'è chi sostiene che chi è troppo vicino a Dio, si trova in pericolo. Orbene non c'è nessuno così vicino a Dio come la donna che partorisce, perché è veramente un miracolo una donna che mette al mondo un bambino.
Un altro sacrificio di cui si parla è quello che viene portato con una celebrazione stranissima e che è descritto nel Deuteronomio: si tratta del sacrificio che occorre offrire quando viene trovato un cadavere sulla strada. Le autorità devono riunirsi e stabilire quale sia la città più vicina al luogo dove è stato rinvenuto il cadavere. Ma città cosa vuol dire? Città, villaggio, frazione? Comunque, una volta identificata la città, i rappresentanti devono identificare un luogo assolutamente selvaggio, cioè che non è stato mai coltivato e che non potrà mai più essere coltivato, portare in questo luogo un animale che va sacrificato e nel momento del sacrificio gli esponenti della città devono fare questa dichiarazione: "Ci dobbiamo far perdonare, perché siamo corresponsabili di questo omicidio". Anche se loro hanno la coscienza perfettamente pulita, devono riconoscere la loro corresponsabilità al peccato commesso. Qualcuno dice che tutta questa procedura ha lo scopo di far in modo che ci sia qualcuno che abbia interesse a trovare l'omicida, perché la cosa non passi ingiudicata. Passano mesi e anni fra diatribe e litigi, prima per identificare la città e poi per trovare il terreno incolto che non potrà mai più essere lavorato, perché quale padrone di un campo lo cederà facilmente?
Voglio parlarvi dell'opinione del grande Maimonide. Lui dice che per capire tutto questo meccanismo, bisogna tornare al verso che vi ho citato all'inizio: "Un uomo che voglia fare un sacrificio, lo deve fare con queste limitazioni". Il testo della Torah riconosce che dietro il concetto del sacrificio c'è la disponibilità dell'essere umano di privarsi di qualcosa che gli appartiene, come segno della sua ammissione di aver compiuto degli sbagli o che tutto ciò che ha gli proviene da Dio. E questa è una cosa buona, non è sbagliato. Però questo può portare a degli abusi. Tenete conto che la Torah si rivolge a una società essenzialmente agricola e pastorale, quindi dire a qualcuno che bisogna sacrificare un agnello, non era cosa da poco; oggi corrisponderebbe al sacrificio di una parte del proprio conto in banca.
Orbene Maimonide dice che la Torah prescrive di offrire sacrifici, ma immette tutta una quantità di limitazioni, allo scopo che la cosa diventi quasi impossibile da praticare. Cioè finché la gente vuol fare i sacrifici perché sente il significato di queste cose, supera le varie difficoltà; quando non lo sente più, la cosa decade. Faccio un esempio. Se abbiamo un ragazzino che chiede il motorino e il babbo dice no, lui non capirà quel no, visto che tutti gli altri ragazzini ce l'hanno. Dunque cercherà delle strade traverse per procurarselo. Se il padre, invece, gli dice di sì, ma gli pone delle condizioni, delle limitazioni che lo mettono in difficoltà, finché il ragazzo anela al motorino, supererà quelle difficoltà, per la brama che ha di usarlo e di averlo; dopo un po', quando la tensione cala, lui non si impegnerà più per superare tutte quelle difficoltà, si dirà: "Ma chi me lo fa fare?". Così dice Maimonide: "Finché la gente desiderava fare i sacrifici, superava tutti gli ostacoli; ma poi, quando si cominciò a sentire meno il desiderio di avvicinarsi a Dio in questo modo, i sacrifici sono svaniti". Di fatto oggi mancano sì i presupposti per fare i sacrifici, ma manca soprattutto la volontà. Molti si chiedono, oggi, in campo ebraico: "Perché non ricostituiamo il culto sacrificale?". Gerusalemme l'abbiamo. Là dove c'era il santuario, c'è stata una congerie di distruzioni successive da parte di mussulmani, cristiani, pagani, ecc.; ma di fatto quello è nato come luogo di culto ebraico, perciò noi andiamo, buttiamo giù la moschea di Omar e rifacciamo il santuario. Teoricamente il discorso sta in piedi, ma ci sono delle difficoltà tecniche, tra cui la prima sarebbe quella di scatenare una guerra mondiale con tutto il mondo islamico. Ma ammesso che volessimo e potessimo farlo, c'è un altro problemino: il santuario deve essere fatto esattamente, al millimetro, dove sorgeva prima e noi non lo sappiamo dove era prima esattamente nelle sue singole componenti. Ammesso che troviamo i piani precisi del santuario antico, nasce un altro problema: ei sacerdoti dove li prendiamo? Giuridicamente, dal punto di vista ebraico, i sacerdoti sono quegli uomini che derivano in linea maschile da Aronne fratello di Mosè - quindi qualcosa come 4000 anni fa - dimostrando nella successione delle generazioni che mai nessuno ha fatto un matrimonio proibito. Io non so quanti di voi possano ricostruire il proprio albero genealogico anche solo fino a 5 generazioni.
Ammesso che si trovi un sacerdote così, dove troviamo il sacerdote in stato di purità che rende puri coloro che non lo sono? E' impossibile! Poi c'è l'elemento principale e cioè io creso che nel collettivo ebraico di oggi non ci sarebbe questo desiderio di celebrare il culto sacrificale, che è stato sostituito con la preghiera, che ha delle connotazioni simili. L'antico ebreo offriva a Dio una parte del proprio patrimonio, noi gli offriamo una piccola parte del nostro tempo; anche il tempo ha una sua valutazione. Ci viene richiesto, tutte le mattine e tutti i pomeriggi di dedicare una parte del mio tempo a Dio; sacrifico una parte delle mie risorse, come riconoscimento che tutto mi proviene da Lui.
Il discorso è molto complicato. Non vorrei che pensaste che dobbiamo seguire troppo le mode. Chi è che pensa che Dio gradisca un sacrificio animale? Noi no. Però è proprio così. Cioè, quando dobbiamo mettere in pratica una disposizione divina, noi dobbiamo tener conto di quella che è la moda di oggi, il sentire di oggi, o dell'insegnamento di Dio come un qualcosa di universale, anche se non riusciamo a capirlo? Indipendentemente da tutti gli aspetti tecnici, il fatto che Dio mi chiede di fare dei sacrifici animali, è una cosa che io non faccio, perché non mi piace, perché la aborro, oppure io vengo meno a un preciso dovere? Tutto questo scaturisce da una cosa molto importante, a mio avviso: il nostro rapporto, oggi, col mondo animale, non è come quello che c'era un tempo. Una volta li sacrificavano e questo potrebbe far pensare che ci fosse poco rispetto per gli animali, ma credo che sia il contrario; l'animale era il compagno di viaggio dell'uomo e rivestiva un aspetto di sacralità, proprio perché serviva all'uomo per avvicinarsi a Dio, attraverso il sacrificio, korbàn. Era, dunque, un rapporto familiare; che oggi non c'è più.