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Ascolta Israele . La prima delle Dieci Parole
(Rav Luciano Meìr Caro)


Voglio presentarvi alcune osservazioni che vi inducano ad approfondire ulteriormente l'argomento, perché se queste parole che stiamo studiando sono Parola di Dio, vale la pena farne scaturire una quantità enorme di significati.
Io dico sempre che non c'è nessuno così lontano dalla comprensione della parola di Dio come colui che dice: "Ho capito tutto!", perché ci sono sempre nuove implicazioni, nuovi raggi di luce che possiamo lasciare scaturire.
Vorrei, prima di tutto, fare una puntualizzazione circa la numerazione dei comandamenti. C'è una discrepanza tra la lettura cristiana e quella ebraica; fin dal primo comandamento non siamo d'accordo. Siamo d'accordo che i comandamenti sono 10, ma non siamo d'accordo sulla collocazione di ognuno di essi.
La dicitura "dieci comandamenti" a me non piace per niente, perché queste espressioni divine sono di carattere generale, ma non sono dei comandamenti, nel senso che ognuna di queste espressioni è un mondo a sé, è un'elencazione di principi generali, ma è da pigri interpretarli come comandamenti. Poi non siamo nemmeno sicuri che siano proprio dieci.
Secondo la tradizione ebraica usiamo l'espressione "le dieci parole", le dieci emissioni di voce di Dio; Dio ha detto dieci cose. Poi se siano comandamenti o un'altra cosa, questo è un altro discorso. Perché dico questo? Il primo comandamento, così come lo leggiamo noi, cioè la prima frase che suona: "Io sono l'Eterno tuo Dio che ti ho tirato fuori dalla terra d'Egitto, dalla casa degli schiavi", non sappiamo se è davvero un comandamento o no. Che cosa mi comanda Dio con queste parole? A una prima lettura, sembra che qui non mi comandi niente.
Quello che noi chiamiamo seconda parola è già più chiara: "Non fare atti di idolatria". E allo stesso modo capisco bene cosa non devo fare quando leggo: "Non ammazzare", "Non rubare", ecc. Ma il primo mi mette in difficoltà da questo punto di vista.
E quando arrivo all'ultimo comandamento e leggo: "Non desiderare la moglie, la casa, la roba del tuo compagno…", rimango perplesso e mi domando che razza di legge sia quella legge che mi impedisce di desiderare. E' gestibile questa cosa? Come posso comandare ai miei desideri? Se vedo una bella signora, o una bella macchina e dico dentro di me: "Che bella, mi piacerebbe proprio tanto!", sono già fuori legge? Insomma, notate che tra il cosiddetto primo comandamento e l'ultimo ci troviamo in difficoltà. Allora capite che non possiamo chiamarli comandamenti, ma sono imposizioni che non riusciamo a razionalizzare. Il desiderio è forse domabile da parte della ragione? E poi, se noi non avessimo il desiderio, la civilizzazione si sarebbe fermata ai tempi delle palafitte; tutto quello che abbiamo prodotto nel campo della ricerca e della scienza, lo abbiamo realizzato perché spinti dal desiderio di avere qualcosa di più e di meglio. Tutta questa introduzione per dire quanto sia difficile chiamare 'comandamenti' le dieci parole.
Ma la discrepanza consiste nel fatto che la lettura cristiana del testo - se non sbaglio - fa corrispondere allo stesso primo comandamento sia le parole di apertura: "Io sono l'Eterno tuo Dio che ti ho tirato fuori dalla terra d'Egitto, dalla casa degli schiavi" sia quello che viene subito dopo, fino alle parole: "Non avrai altro Dio fuori di me", che, invece, per noi, è già la seconda parola.
Io non so qual è la verità assoluta, perché né Mosè, né il Padre eterno me l'hanno ancora detto, ma la lettura che facciamo noi è questa; provo a trasmettervela in maniera molto schematica. (Esodo 20)
1.   "Io sono l'Eterno tuo Dio che ti ho tirato fuori dalla terra d'Egitto, dalla casa degli schiavi";
2.   "Non avrai altro dio al mio cospetto";
3.   "Non pronunciare il nome di Dio invano";
4.   "Ricordati del sabato per santificarlo";
5.   "Onore tuo padre e tua madre";
6.   "Non ammazzare";
7.   "Non commettere adulterio";
8.   "Non rubare";
9.   "Non fare falsa testimonianza";
10.   "Non desiderare".
Ho tradotto così velocemente, ma i significati andrebbero molto chiariti e approfonditi.
Queste cose sono scritte su due tavole; sulla prima sarebbero iscritti quei comandi che riguardano il nostro rapporto con la divinità, salvo il quinto, che parla del rapporto coi genitori, quasi a sottolineare che l'uomo ha dei doveri nei confronti della divinità, ma anche dei genitori, che sono considerati come una via di mezzo tra il Padre eterno e gli altri uomini. Nei confronti dei genitori devo avere un atteggiamento che fuoriesce da quanto mi viene richiesto per gli altri uomini; subito dopo Dio ci sono i genitori.
Nella seconda tavola, invece, ci sono le norme che fanno parte del diritto penale o civile. Un'altra osservazione: secondo qualcuno i primi comandamenti sono specifici per il popolo ebraico, gli ultimi cinque sono per tutti, in particolare per i non Ebrei. Ipotesi suffragata dal fatto che nei primi comandamenti compare sempre il Nome di Dio, mentre negli altri no.
Secondo la tradizione ebraica, supportata da alcuni passi biblici - e credo che sia abbastanza vicino alla realtà - ci sono due versioni: secondo una prima ipotesi tutti i comandamenti sono stati enunciati, ma non sul piano dell'acustica. Cioè gli Ebrei, che erano accampati alle falde del monte Sinài, non hanno sentito una voce, che diceva certe cose, ma c'è stata una comunicazione dall'alto verso i presenti che fuoriusciva dall'elemento acustico, quasi come se questo messaggio fosse penetrato direttamente dalla volontà di Dio nelle fibre intime di ognuno dei presenti, in modo che essi potessero poi trasmetterlo, attraverso il DNA, alle generazioni successive.L'altra ipotesi è che i primi due comandamenti sono stati enunciati direttamente dalla voce di Dio in un'unica emissione di voce; era un messaggio condensato, di cui non si poteva distinguere ogni singola parola. A questo punto, col supporto di alcuni passi del Deuteronomio, gli Ebrei avrebbero chiesto a Dio di fermarsi, perché non si sentivano in grado di recepire quel messaggio, perché troppo forte per le loro capacità umane. Quindi chiesero a Dio di continuare a parlare loro, ma enunciando un messaggio che avesse caratteristiche umane. Secondo la Tradizione, Dio avrebbe acconsentito a questo e gli ultimi 8 comandamenti gli Ebrei li avrebbero sentiti, percepiti nel loro animo attraverso una voce umana, che poteva essere quella di Mosè, che comunque fosse loro familiare.
Questo fatto che Dio possa pronunciare dei messaggi, con delle parole condensate, che dicano più cose contemporaneamente, può spiegare alcune discrepanze che ci sono tra le due versioni dei comandamenti. Sapete, noi troviamo i comandamenti nel Libro dell'Esodo, quando si racconta dell'uscita di Israele dall'Egitto, poi li ritroviamo, in qualche piccolissima modifica, nel Deuteronomio, allorché Mosè, prima di morire, ripete tutto quanto e lo fa apportando qualche piccola variante. Non si tratta di vere e proprie varianti, perché Dio ha detto tutto, solo che l'ha pronunciato tutto insieme, mentre noi non siamo capaci.
Altre piccole osservazioni di carattere generale. Con uno sguardo molto superficiale, è interessante esaminare come iniziano i comandamenti e come finiscono. La prima parola è "Io" e l'ultima è "il tuo prossimo"; quasi come se Dio volesse indicarci che la nostra esistenza in questo mondo deve essere centralizzata con questi due elementi portanti: da una parte Dio e dall'altra il mio prossimo, sottolineando che non dobbiamo dare un valore particolare a nessuno di questi due poli. Un tale che si preoccupi solo di Dio, senza dare alcuna importanza al suo prossimo, o un tale che estrometta Dio dalla sua vita, concentrandosi solo sul suo prossimo, bene, tutti e due sono fuori norma. Io devo tener conto di entrambi questi elementi: Dio e l'uomo e devo muovermi entro questi due parametri.

Secondo noi, se teniamo conto della distinzione numerica che vi ho dato prima, esiste un parallelismo evidente tra le frasi che occupano la stessa posizione nelle due tavole: il primo e il sesto; il secondo e il settimo e così via. Se nel primo comandamento è Dio che si sta presentando: "Io sono l'Eterno tuo Dio…", il comandamento analogo nella seconda tavola è: "Non ammazzare"; cioè una relazione tra l'esistenza di Dio e l'omicidio. Quasi a sottolineare che se tu ammazzi una persona, compi un attentato a Dio stesso, è un'offesa a Dio, una diminuzione della figura di Dio, in quanto in ogni essere umano c'è una scintilla divina. Il secondo, che dice: "Non commettere atti di idolatria", corrisponde a "Non commettere adulterio"; a sottolineare che tutte le volte che noi tradiamo Dio, sostituendolo con un idolo, compiamo un'azione simile a chi tradisce il suo partner, perché c'è un rapporto speciale tra l'uomo e il suo Dio, così come c'è tra un uomo e la sua donna. Il terzo che dice: "Non pronunciare il nome di Dio invano", cioè ci proibisce di giurare il falso e non di pronunciare il nome di Dio, è in relazione al "Non rubare"; infatti giurare il falso è rubare la buona fede di un latro. Poi viene il comandamento del sabato, corrispondente a "Non fare falsa testimonianza", a voler significare che chi non riconosce il sabato non riconosce che Dio è il creatore del tutto. Finalmente l'ultimo parallelismo tra "Onora tuo padre e tua madre" e "Non desiderare quello che appartiene agli altri", ma questo lo lascio pensare a voi!
La chiave di lettura che noi diamo ai passi biblici è quella di metterci nell'atteggiamento di sapere quello che vogliamo. Quando approccio un testo biblico, mi devo porre uno di questi problemi: se voglio ricavare una norma, mi devo muovere in un certo modo, ma se il mio scopo è ad es. quello di approfondire da tutti i punti di vista una determinata espressione, allora mi devo porre in un atteggiamento molto diverso. Quando Dio mi dice: "Non ammazzare", c'è una questione di diritto penale, ma c'è anche dell'altro: qual è il nostro atteggiamento nei confronti della vita e questo fuoriesce dalla semplice normativa. Il nostro approccio a questo testo dei dieci comandamenti è molto diverso a seconda che noi ci poniamo nella prima o nella seconda ottica. Per esempio, "Non pronunciare il nome di Dio invano" può voler dire tante cose: ci è proibito trascinare il nome di Dio in tutte le mie controversie. Tutte le volte che parlo, c'è proprio bisogno che dica: "Mio Dio!"? Ma cosa c'entra? Sto pensando veramente a Dio, sto facendo un'invocazione a Dio, o sto dicendo una frase tanto per dire e Dio è completamente fuori dalla mia ottica? Oppure il comandamento vuol significare che non dobbiamo pronunciare falsi giuramenti nel nome di Dio.
Un altro esempio. "Non rubare", secondo l'ottica ebraica dal punto di vista normativo, non significa assolutamente che è proibito rubare, ma ci impedisce di rapire la gente. Perché la parola "rubare" in ebraico può voler dire: "sottrarre qualcosa a qualcuno"; secondo noi questo rubare dell'ottavo comandamento è il divieto di sottrarre alle persone la loro libertà.
Vi dicevo che non smettiamo mai di affrontare il testo biblico da tutte le ottiche possibili. Qualcuno dice che non dobbiamo esaminare questo testo solamente stando attenti a quello che il testo dice, ma dobbiamo tener conto di altri elementi, ad es. il numero delle parole e il numero delle lettere. Direte che è una perdita di tempo, invece se è Legge di Dio e Dio non parla a vanvera, significa che ci sono delle implicazioni che vanno più in profondità di quanto noi possiamo supporre. Se contiamo le lettere di questo testo, sono 620. Allora?, mi direte. Ma la normativa ebraica, che noi facciamo scaturire dal testo biblico, in specifico la Torah, contiene 613 norme o precetti.
La prima forma di liturgia ebraica è quella che veniva fatta nel tempio di Gerusalemme, dove si facevano i sacrifici, ma non c'era solo il culto sacrificale, ma anche delle parti liturgiche; orbene, in questa liturgia veniva ripetuto il primo brano: "Ascolta Israele" e venivano ripetuti i comandamenti. Questo tutti i giorni. Poi la lettura dei comandamenti è stata abolita, perché la gente non pensasse che questi sono importanti e il resto no. Anche tutte le altre norme vanno accettate, perché tutte ci provengono da Dio, sia quelle che capiamo, sia quelle che non capiamo.
Il primo e l'ultimo comandamento fuoriescono un po' dal contesto generale, perché sembra che non ci chiedano niente di particolare, mentre gli altri sono più chiari. C'è una grande polemica in campo ebraico, da tempi immemorabili, a proposito di quello che noi chiamiamo il primo comandamento: "Io sono l'Eterno tuo Dio che ti ha tirato fuori dalla terra d'Egitto".


Ci domandiamo: questa prima frase mi impegna a qualche cosa o no? Ci sono le due visioni. Alcuni grandi filosofi e giuristi hanno affermato che non ci impegna a niente, ma è semplicemente una introduzione generale al discorso che verrà. Se le cose stanno così, allora i comandamenti sono solo 9 e non più 10. Un'altra visione, sostenuta da maestri prestigiosi, afferma che da questa frase noi impariamo l'obbligatorietà di credere in Dio. Non è detto esplicitamente, ma è così. Il più grande pensatore ebreo, Maimonide, ha una forma di contraddizione interna. In una sua opera secondaria, elencando tutta la precettistica della Torah, lui dice che dal primo comandamento emerge l'obbligo di credere in Dio; ma nella sua opera fondamentale (14 volumi che contengono tutta la normativa ebraica su tutti i campi possibili della normativa) dice, iniziando l'opera: "Fondamento dei fondamenti e colonna delle saggezze è conoscere che c'è un Ente primo, che è causa dell'esistenza del tutto e tutto quello che esiste, non esiste altro che in base alla realtà dell'esistenza di questo Ente e la conoscenza di questa cosa fa parte dei precetti". Non ha detto che dobbiamo credere in Dio, ma che dobbiamo conoscere; dal punto di vista normativo non siamo obbligati a credere in Dio, ma siamo obbligati a studiarci sopra. Dio non è qualcosa a cui credo o non credo, ma è qualcosa che deve impegnare tutte le nostre facoltà. Io non so se Dio c'è; e un Dio che sia dimostrabile nella sua essenza, non è più un Dio, perché sarebbe un Dio alla nostra portata. Ma ho l'obbligo di darmi da fare per arrivare a questo; è una strada da percorrere. Se esiste il tutto, vuol dire che c'è qualcuno che l'ha fatto esistere; c'è una realtà superiore che ha determinato tutto il resto. Attenzione: la parola 'conoscere' in ebraico vuol dire 'compenetrarsi'. Per Maimonide il credere è un atto di pigrizia; non si può inscatolare Dio in un atto di fede e non se ne parla più, ma tu devi convogliare tutte le tue energie nella ricerca e domandarti: "Tutto quello che esiste, perché esiste??!"; non puoi dire: "Non me ne importa", perché se dici così, sei fuori norma.
Torno un istante alla prima frase: "Fondamento dei fondamenti e colonna delle saggezze"; in ebraico sono quattro parole e le iniziali di ognuna, se messe insieme, costituiscono il nome sacro di Dio. Sembra che Maimonide inizi il suo codice con una frase generica, ma a guardare bene, egli proclama il sacro Tetragramma.
Anche nel Talmud si dice che nel testo dei comandamenti ci sono delle espressioni che non sono percepibili con la ragione, cioè con la speculazione umana, ma occorrono altre capacità. Io sostengo che se fosse un Dio dimostrabile con la ragione umana, non mi piacerebbe più, perché vorrebbe dire che ha delle connotazioni materiali.
Torno all'enunciazione del primo comandamento: "Io sono l'Eterno tuo Dio, che ti ho tratto fuori…". Noi abbiamo delle grosse difficoltà a legger questa frase, perché non sappiamo dove sono le virgole. Vi invito a ragionarci un po' sopra. Potremmo leggere: "Io sono l'Eterno tuo Dio". Poi: "Quello che ti ha tirato fuori dalla terra d'Egitto e dalla casa degli schiavi".



Questa può essere una forma di lettura: prima l'affermazione: "Io sono il tuo Dio" e poi quasi una specificazione riguardo a questo Dio: cioè è colui che ti ha tratto fuori dall'Egitto.
Ma si potrebbe leggere anche tutto di seguito, cioè: "Io sono quel tuo Dio che ti ha tirato fuori". Allora rimane la domanda se la prima espressione vada presa a sé o faccia parte del resto della frase.
Voi sapete che molto spesso il testo biblico non ci dice delle cose che invece a noi farebbe molto piacere conoscere. Viceversa qui ci dice delle cose che sembrano pleonastiche: "Ti ho tirato fuori dalla terra d'Egitto dalla casa degli schiavi". Se noi fossimo stati lì presenti, forse saremmo rimasti stupiti da questa frase troppo lunga; chi non sapeva che la terra d'Egitto era la casa degli schiavi? C'era bisogno di dirlo? Tutti avevano un ricordo plastico della schiavitù dell'Egitto? Un lettore di oggi potrebbe anche non sapere che gli ebrei erano usciti da una condizione di schiavitù, ma loro lo sapevano bene. Orbene, qualcuno afferma che sicuramente qui si impara qualche cosa. Nella visione, nella percezione globale, nell'immaginario collettivo del mondo semitico del tempo in cui i comandamenti sono stati promulgati, la terra d'Egitto è sempre sinonimo di un paese molto sviluppato dal punto di vista della civiltà; l'Egitto è un paese di alta cultura, dove c'è un grande sviluppo di arte, di cultura, scienza, economia. L'Egitto era la quintessenza della civiltà; l'unico tarlo era l'inquinamento del sistema idolatrino, perché tutto era fondato sull'adorazione degli dei, del Nilo, del faraone, ecc. Una grande potenza che girava a pieno ritmo con grande sviluppo a tutti i livelli di civiltà e tecnologia. Bene: sembra che il testo voglia sottolineare che tutta questa grande civilizzazione dell'Egitto è fondata sull'essere casa degli schiavi. L'insegnamento che qualcuno ne ricava è che una grande civiltà fondata sull'ingiustizia sociale, non è una grande civiltà. Se in un impero non c'è libertà, occorre uscirne. Notate che pochi giorni dopo che gli Ebrei erano usciti dall'Egitto, già serpeggiavano fra di loro certe forme di nostalgia. Col passare del tempo si sono dimenticati tutte le angherie subite e si ricordavano il buon cibo. Questo comandamento sembra voglia ricordare questa verità profonda. Secondo me questo insegnamento vale anche per noi: le grandi civiltà non soni tali se non sono accompagnate da una forma di giustizia umana.
Qualunque cosa volesse dire questa prima frase, sicuramente essa ci presenta Dio in un modo totalmente inaspettato. Non comincia a sciorinare tutte le sue grandi potenzialità, non presenta i suoi aspetti teologici, ma si mostra come un Dio che interviene nella storia. La prova dell'esistenza di Dio non sta tanto nel cosmo, ma in quello che ti è successo, che tu hai visto. Non dimenticate che questo Egitto era così potente, che nessuno avrebbe mai scommesso che una torma di poveracci schiavizzati sarebbe riuscita a sfuggire alle grinfie di questa grande potenza. Sul piano della realtà, è una cosa incredibile che gli Israeliti siano riusciti a uscire di là, quei quattro straccioni subumani! C'è stato un intervento di Dio, che è riuscito a sottomettere la grande potenza e liberare i poveri. Dio si presenta come il regista della storia; non come il grande creatore di tutto, il potente, ma si percepisce la sua esistenza, per il fatto che in determinati momenti Lui si muove e interviene. Non quando farebbe comodo a noi, ma nei momenti cruciali della storia dell'uomo.
Ci si domanda come mai questi comandamenti, che sono stati enunciati davanti a tutto il popolo ed erano rivolti a tutta l'umanità, sono stati pronunciati tutti al singolare; non dice: "Non rubate, non ammazzate" ecc., ma: "Non rubare, non ammazzare". Una prima risposta è che forse per la prima e unica volta nella storia il popolo ebraico, in quel momento si considerava come un'unità, erano tutti solidali. Qualcuno dice che è perché Dio sta parlando a ognuno di noi singolarmente. Un'altra interpretazione, un po' ridicola all'apparenza, afferma che Dio si è rivolto al singolare perché stava dando una lezione a Mosè: sapendo che dopo poche settimane dalla promulgazione di questi messaggi, il popolo ebraico si sarebbe macchiato del gravissimo peccato di idolatria col vitello d'oro, Dio voleva che Mosè avesse la possibilità di intervenire in favore del popolo, dicendo appunto che nei comandamenti Lui parlava al singolare e perciò il comandamento di non farsi delle statue per adorarle, era rivolto a Mosè e non al popolo. Ovviamente non è questa la spiegazione.
Da notare che nel Libro del Levitico, si affermano le stesse cose, ma al plurale.
E' difficile definire queste affermazioni come comandamenti, perché sono dei principi di carattere generale che vanno calati nella normativa. Se avessimo solo i comandamenti senza la normativa, questi principi sarebbero assolutamente inapplicabili, perché, è vero: "Non ammazzare", sembra semplice da capire, ma cosa vuol dire ammazzare qualcuno? Solo sottrargli la vita, in tutte le circostanze o ci sono delle circostanze in cui dobbiamo prescindere da questa cosa; anche Maimonide discute su questo. Porto un'esemplificazione: se viene in questa stanza un bandito armato di mitra e minaccia tutti affermando di volersi prendere una determinata persona per ucciderla o violentarla, altrimenti ammazza tutti, come dobbiamo comportarci noi? Piuttosto che farci ammazzare tutti, è meglio che ne ammazzi una. Devo tutelare una collettività, o una persona sola? Maimonide a questo proposito invita a lasciarsi uccidere tutti, piuttosto che consegnare uno solo.
Pensate all'altro aspetto. Cosa vuol dire: "Onora tuo padre  e tua madre". Se un bambino si rivolge a noi dicendo che ha letto il comandamento e vuole metterlo in pratica, ma vuole sapere come deve fare concretamente. Onorare significa che bisogna dare del lei ai genitori? O cos'altro? E poi bisogna tener conto anche di un altro passo del Levitico, in cui si dice: "Ognuno deve temere sua madre e suo padre". Allora sembra che i dettati siano due: onorare e temere. Però, per quanto riguarda il primo, viene menzionato prima il padre, mentre nel secondo caso si invita a temere la madre e poi il padre. Comunque sia l'ordine, rimane sempre la domanda su come si possa tradurre nella pratica quotidiana il timore e l'onore dei genitori; lo stesso vale per il timore o l'amore di Dio. Son tutte cose molto belle, però non ci è spiegato come dobbiamo fare; per cui, se non intervenisse una normativa, non sapremmo come mettere in pratica i comandamenti.
Quindi i comandamenti sono delle norme generali, che vanno calate nella realtà, tenendo conto caso per caso, generazione per generazione.


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