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Non dire falsa testimonianza
(Rav Luciano Meir Caro)
Perché li chiamiamo dieci comandamenti, mentre non sono né dieci, né comandamenti? In effetti la tradizione ebraica li chiama le "dieci parole", dieci emissioni della voce di Dio, che ha voluto comunicare qualcosa di molto importante.
Prendiamo per esempio il primo dei comandamenti, che suona così: "Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire dalla terra di Egitto". Che comandamento è questo? Cosa comanda Dio? In realtà queste prime parole sembrano piuttosto rivelare il mittente di tutto quanto viene detto in seguito. E' interessante notare che Dio si presenta, qui, non come il creatore dell'universo, ma come Colui che ha tratto fuori Israele dall'Egitto, cioè colui che è intervenuto in modo miracoloso nella storia del suo popolo.
Comunque, considerando questo incipit, risulta che i cosiddetti comandamenti non sono più dieci, ma nove. Anche l'ultimo è alquanto strano. Dice così: "Non desiderare ciò che è del tuo prossimo". Ma come si può comandare di non desiderare? Il desiderio, nell'uomo, prescinde dalla volontà. Questa espressione ci lascia perplessi. Potremmo tradurlo come un comando di Dio a non metterci in condizione di desiderare qualcosa che non ci appartiene. Ma allora sono otto?
Un altro problema è il fatto che la Bibbia ci dà due versioni dei comandamenti: una nel libro dell'Esodo e la seconda in Deuteronomio, dove Mosè ripete le parole di Dio modificandole un po'.
Ma come si è permesso, Mosè, di modificare le parole dette da Dio?
Nella prima versione, per es., riguardo al sabato si dice così: "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo"; mentre nella seconda versione si dice: "Osserva il sabato". Allora il comando com'è? Bisogna ricordare o osservare?
Notate che dal testo si capisce che gli ebrei non hanno sentito le parole precise dette da Dio, ma hanno intuito il suo discorso. Perciò si può anche pensare che Dio abbia detto due cose contemporaneamente, cioè lo stesso comandamento espresso in due forme diverse.
Un altro esempio. Nella prima versione è detto: "Lavorerai sei giorni e il settimo giorno non farai lavori, né tu, né tuo figlio…Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra…"; mentre nella seconda versione si dice qualcosa di leggermente diverso: "Osserva il giorno del sabato… lavora sei giorni… il settimo giorno è il sabato, non farai alcun lavoro, tu, tuo figlio, tua figlia…" e poi aggiunge: "Ricordati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto e Dio ti ha fatto uscire di là".
Vedete? Nella prima versione Dio è presentato come creatore, mentre nella seconda come liberatore. Qual è la versione giusta?
Per quanto riguarda il comandamento che vogliamo studiare oggi, nella prima versione sta scritto così: "Non rispondere nei confronti del tuo prossimo una testimonianza di falsità"; nella seconda versione: "Non parlare nei confronti del tuo compagno con una testimonianza vana". Nel primo caso si parla di falso, nel secondo di vano. Cosa vuol dire? Qual è la differenza tra una testimonianza falsa e una vana? Sono tutte domande che ci poniamo.
Altro argomento è l'analogia che si riscontra nei comandamenti, chiamiamoli così per capirci, che compaiono nella prima tavola e quelli che invece compaiono nella seconda tavola. Nella prima tavola ci sono quelli che riguardano il rapporto tra l'uomo e il creatore, con la conclusione che riguarda i genitori, i quali possono considerarsi un po' a metà strada tra l'uomo e il creatore; nella seconda tavola si parla dei rapporti sociali, tra uomo e uomo, come il non uccidere, non rubare, ecc.
Qualcuno ha notato delle analogie corrispettive tra il primo comandamento della prima tavola e il primo della seconda tavola e così via, per tutti i comandamenti.
Per es. nella prima tavola il primo comandamento dice: "Io sono il Signore tuo Dio", mentre nella seconda tavola, il primo comandamento è: "Non uccidere". Chi uccide un uomo è in qualche modo come se volesse sopprimere la parte divina che è presente in ogni uomo; ammazzare una persona è in qualche modo rinnegare Dio.
Il secondo comandamento della prima tavola dice: "Non fare atti di idolatri", mentre il secondo della seconda tavola dice: "Non commettere adulterio". Un elemento che troviamo in quasi tutti i profeti: adorare divinità estranee a Dio è come tradire un compagno; è una forma di tradimento, nel primo caso nei confronti di Dio e nel secondo nei confronti di un compagno.
In questi comandamenti sono contenuti, secondo i nostri comandamenti, in forma trasfigurata, in nucleo, all'interno, tutti gli altri comandamenti che Dio ci ha voluto trasmettere. Questi dieci sono l'essenza del messaggio che Dio ci ha trasmesso.
Ma bisogna fare molta attenzione! Contengono tutto, sì, ma bisogna fare attenzione a non escludere tutto il resto. Tanto è vero che la lettura dei comandamenti è stata abolita dalla liturgia quotidiana sinagogale, perché la gente non pensasse che questi sono importanti, mentre il resto della Bibbia no. Bisogna accettare tutto, tutta è Parola di Dio, ugualmente importante.
In questi comandamenti, però, sono ripetuti degli elementi che troviamo in altre parti del testo biblico.
Se prendiamo in considerazione il comandamento: "Non testimoniare il falso", troviamo già in alcune altre parti della Bibbia le stesse parole. Nel Levitico, per es. è detto: "Non dite il falso uno nei confronti dell'altro" (Lev 19,11). Nell'Esodo è detto: "Stai lontano da ogni cosa di falsità" (Es 23,7). Quindi se ne parla già altrove.
Così come il famoso comandamento "Non rubare", lo troviamo più volte nel libro del Levitico.
Una sottolineatura: quasi tutti i comandamenti sono al singolare, perché ognuno di noi personalmente ne deve tener conto; ognuno deve prendersi le proprie responsabilità.
Inoltre la lettura ebraica del testo biblico, soprattutto delle parti normative, tiene conto di un elemento importantissimo, che è fondamentale: quando io, lettore, mi pongo davanti a un testo normativo, devo decidere cosa voglio. Posso decidere di ricavare dal testo una norma a cui attenermi e sapete che le norme devono essere chiare, cogenti. Bisogna trovare un meccanismo che interpreti quella certa espressione biblica in una forma che vada bene per tutti. Vi faccio un esempio. Cosa vuol dire: "Onora tuo padre e tua madre"? Se voglio tradurlo nella pratica quotidiana, cosa devo fare? Se viene un bambino e vi chiede cosa deve fare per mettere in pratica materialmente questo comandamento, voi cosa rispondete? Analogamente "Non rubare", cosa vuol dire? Non appropriarsi di qualcosa che appartiene a un altro? E se qual qualcosa non appartiene a nessuno? Se vado a casa di qualcuno e prendo un portafoglio, quel portafoglio è di qualcuno; ma se vado nell'Oceano Atlantico e prendo un litro d'acqua, sto rubando?
Per interpretare quello che è il modo di interpretare queste cose, ci vogliono delle regole uguali per tutti, in modo che non si possa dire: "Io la penso così o cosà".
Quindi se il mio scopo è di capire qual è la norma da seguire quotidianamente, io sono vincolato da determinate regole, che dobbiamo tutti osservare, viceversa ognuno si fa la legge a suo uso e consumo. Se, viceversa, il mio scopo non è quello di ricavare la norma, ma di capire quello che il testo vuole dire, a questo punto io sono, secondo la visione ebraica, libero di interpretare la norma non come voglio, ma come mi suggerisce la mia ragione, cioè posso interpretarla mettendo in campo le mie conoscenze di vario tipo, linguistiche, psicologiche, antropologiche, geografiche, storiche, tutto quello che volete. Per quanto riguarda l'applicazione, invece, mi devo adeguare a quella che è l'applicazione ufficiale.
Torniamo all'esempio di prima: "Onora tuo padre e tua madre". Mia mamma diceva che lei non avrebbe mai dato del tu a sua madre; ma questo oggi non ha più senso. Vuol dire che quello che era giusto due generazioni fa, oggi non lo è più. Quindi qual è il modo di mettere in pratica una norma? Se voglio saperlo, devo applicare certe regole, che ora non sto a dirvi, perché sono complicate.
Invece se voglio guardare un testo da un'altra angolatura, sono liberissimo, purché io non stravolga il testo, non faccia dire al testo quello che voglio io.
Vi dico subito che il testo: "Non rubare", dal punto di vista normativo ebraico, non significa affatto "non rubare", ma tutt'altra cosa. Perché una delle regole per mettere in pratica le cose, è di non estrapolare mai un testo normativo dal proprio contesto. Io devo capire quella frase in relazione a quello che è scritto prima e quello che è scritto dopo. Il "Non rubare", ad es. viene, nella seconda tavola, dopo "Non uccidere, non commettere adulterio" ed è seguito da "Non fare falsa testimonianza". Che relazione c'è fra queste cose? Tra ammazzare la gente e rubare e fare falsa testimonianza ci sono delle differenze dal punto di vista normativo. Quello che è citato come "Non rubare", dal punto di vista normativo ebraico non significa sottrarre a qualcun altro quello che gli appartiene, ma significa una forma di sottrazione più pesante, simile a "Non uccidere". E qual è una sottrazione più pesante? Noi la interpretiamo come: "Non sottrarre la libertà". E' il rapire, praticamente. Invece il comando di non rubare, lo apprendiamo dal non desiderare. Vedete che c'è una scala? Non uccidere è la cosa peggiore che possiamo fare. Poi "non commettere adulterio" vuol dire rovinare la famiglia di un altro, il che è vicino al non uccidere. Poi c'è il non rubare, che vuol dire attentare alla libertà dell'altro. Finalmente "Non fare falsa testimonianza", che vuol dire attentare alla dignità, all'onore dell'altro. E ancora più giù c'è il non desiderare, ovvero il sottrarre qualcosa a un altro.
Ma vedete che così c'è una consequenzialità?
Vi dico subito, riguardo al comandamento "Non fare falsa testimonianza" quello che c'è dal punto di vista normativo. Ricordate quello che ho detto più su e cioè che nella seconda versione si parla di testimonianza vana e non falsa.
Noi riteniamo che questo comandamento riguardi esclusivamente la persona del testimone, quando c'è un'accusa nei confronti di qualcuno. Il testimone, nel diritto ebraico, è il protagonista di ogni causa giudiziaria, sia per quanto attiene al diritto penale, sia per quanto attiene al diritto civile.
Il giudice deve emettere la sua sentenza in base soprattutto, al 90%, alla testimonianza dei testimoni. Senza testimonianza non si può procedere. Parlo soprattutto del diritto penale. E' interessante questo elemento, perché sottrae la possibilità di estorcere la confessione a qualcuno. La confessione di un imputato, dal punto di vista normativo ebraico, biblico, è irrilevante. Le prove sono rilevanti, ma la testimonianza lo è ancora di più. Per testimonianza si intende, come dice il testo biblico, quella data da almeno due persone, che siano non amici e non nemici dell'imputato, non amici e nemici tra di loro, quindi assolutamente estranei. Questi devono testimoniare che l'imputato ha fatto un certa azione. Ma bisogna anche che i due, assistendo all'azione, abbiano avvertito prima l'imputato. Prendiamo un caso di omicidio: i due devono attestare di aver visto il tale uccidere e di aver avvertito l'omicida di essere lì presenti come testimoni.
Se il giudice emetterà una sentenza contraria all'imputato, dichiarandolo colpevole, i due testimoni dovranno eseguire la sentenza. Quindi capite quanto sia fondamentale la figura del testimone. Che grosso rischio c'è! Anche perché, allorché si scopre che i testimoni sono falsi, la sentenza va applicata a loro.
Tutte queste cose fanno parte della normativa che noi ricaviamo da questo passo, collegato con altri passi in cui si parla della stessa cosa.
Ci sono pagine e pagine, nei nostri codici, che piegano qual è la posizione del testimone, come si deve interrogare, ecc.
Per scherzare si racconta di un giudice che doveva interrogare un testimone e fa tutta una serie di domande, le più astruse. Tipo: sei passato da quella data strada? A che punto era la maturazione dei fichi?
Si aggiunge anche che i due testimoni di accusa possono ritrattare, a un certo punto del processo, ma i testimoni di difesa non possono mai ritrattare.
Questo se si vuole seguire la normativa corrente. Se invece si vuole prescindere da essa, è tutto un altro discorso.
Torniamo al testo biblico su questo comandamento. Dice così: "Non farai falsa testimonianza contro il tuo prossimo" e usa la parola rea'chà, cioè il tuo compagno, il tuo simile, che è la stessa parola che compare in "Ama il prossimo tuo come te stesso". Con tante parole che l'ebraico usa per dire compagno, usa ancora questa.
Oppure poteva anche non specificare e dire solo: "Non testimoniare il falso". Perché dice: "nei confronti del tuo compagno", evocando, così, subito una somiglianza. Si parla di una persona simile a te, non di uno qualsiasi, uno distante.
E questo non solo in campo giudiziario, ma in tutti i settori. Anche dicendo delle cose vane, noi offendiamo il nostro compagno.
Tante volte il testo biblico parla di lingua cattiva, di maldicenza, che si può fare in tanti i modi.
Tutto questo è collegato a un'altra norma, quella che dice che se vedo un mio simile commettere una cosa che non deve, è mio obbligo dirglielo, a condizione che io abbia la convinzione che quello che gli dico, in qualche modo, penetrerà nella sua personalità. A volte si riprende qualcuno, ma sappiamo che il nostro modo lo rende ancora più chiuso e lo spinge ancora più a farlo.
Fa parte anche della maldicenza fare lodi sperticate di qualcuno, quando chi sta ad ascoltare capisce che si sta esagerando e perciò si suscita disprezzo più che apprezzamento.
In ebraico si parla anche della polvere della maldicenza, cioè il voler sottolineare qualcosa di qualcuno, anche solo con un cenno, un non detto, una mezza parola, un'esclamazione.
Volevo sottolineare anche questo aspetto. Pensate a quello che stanno facendo i mezzi di informazione e i giornalisti, che ci riempiono la testa di bugie, o mezze bugie o quasi bugie, per considerazioni politiche, e ci vogliono indirizzare verso una parte piuttosto che un'altra. Un proverbio jiddish dice che una mezza verità corrisponde a una bugia completa. E noi siamo tempestati da questo. Le nostre idee politiche, il nostro atteggiamento nei confronti di quello che succede intorno a noi è tante volte gonfio di menzogna, a causa delle informazioni falsate che riceviamo continuamente, anche a livello visivo.
Pensate che il peccato più grave compiuto, quello di Sodoma, è proprio questo, cioè la falsa testimonianza, l'uso sconsiderato della facoltà di parlare.
Non è senza significato anche il fatto che, se noi consideriamo i comandamenti come qualcosa di globale, si comincia a considerare l'unità di Dio, la sua esistenza e la sua unicità, poi si parla di giustizia, di morale, ecc. e finalmente si parla di verità. Ma non che sia meno importante delle altre cose; tutte sono sulla stesso piano, come elementi fondamentali del nostro convivere.
Una massima dei nostri maestri dice che il mondo, l'umanità sussiste se è fondata su questi tre elementi: giustizia, pace e verità. Elementi strettamente collegati tra loro. Quando noi facciamo un attentato anche solo parziale alla verità, noi miniamo le fondamenta del mondo e ci avviciniamo, spesso senza rendercene conto, alla situazione degli abitanti di Sodoma, che, attraverso la falsità, hanno dato origine a una società depravata, che ha portato l'Eterno alla decisione di eliminare tutti.
Oggi siamo a un brutto punto, perché la tecnologia dà la possibilità di diffondere opinioni, verità e menzogne a livelli globali immensi, perciò con la possibilità di trarre in inganno un numero enorme di persone.
Pensate che le Nazioni Unite, da quando sono nate, nel 1947, se non sbaglio, hanno emesso una quantità di sentenze, di deliberazioni, però, il 70% è stranamente contro Israele. Sembra che dal 1947 ad oggi il 70% dei problemi del mondo siano colpa dell'esistenza di Israele! Queste cose poi fanno effetto sulle convinzioni della gente! Ogni tanto fanno marcia indietro, ma perché? Perché c'è un gruppo di nazioni che trovano sempre un numero di persone che sono d'accordo con loro.
Il grosso problema dei profughi. Abbiamo le idee chiare di quello che succede? Io non so qual è il modo di giusto di aiutare queste persone. Se non hanno modo di sussistere, dovranno per forza delinquere. E gli scafisti; possibile che non sappiamo chi sono? Insomma, noi la verità non la sappiamo!
Fermo restando che noi abbiamo il dovere di aiutare chi ha bisogno, ma aiutarlo davvero!
Nel testo biblico c'è già tutto! Non lasciamoci trarre in inganno dalle menzogne che ci piovono addosso!
Il testo biblico parla di "tuo compagno" e cosa vuol dire? Chi è questo compagno? Quello che abita vicino a me, quello che ha la mia pelle?
E poi usa il verbo "parlare", "emettere la parola"; parla di una forma di testimonianza che avviene attraverso la parola. Non si parla in termini giuridici.
Nel Deuteronomio, in contrapposizione a quello che dice nell'Esodo: "Non ucciderai, non commettere adulterio, non ruberai, non fare falsa testimonianza, non desiderare la casa del tuo prossimo", dice invece: "Non ucciderai e non commetterai adulterio e non ruberai e non…". Sono parole di Dio, queste! Può sembrare una sciocchezza, ma nella prima versione dice: "Non… non…non", nella seconda, invece, dice: "Non… e non… e non". Cosa ci sta fare quella "e"? Mi dice qualche cosa? Se non ci interroghiamo anche su queste cose, non abbiamo capito a cosa serve il testo biblico e qual è il significato di tutto il passo. Vi invito a non lasciarvi turlupinare: prendete il testo biblico, leggetevelo con i vostri occhi, con molta onestà e cercate di impararne qualche cosa. E' un messaggio che Dio ci ha fatto la grazia di trasmetterci per darci gli strumenti per vivere in questo mondo meglio di come stiamo facendo.
Torno un attimo sul termine rea', che vuol dire compagno, amico, simile. Però la stessa radice vuol dire anche cattivo, cattiveria, male. E vuol dire anche un'altra cosa: la stessa radice indica il pastore. Cosa c'entra? C'è un nesso? Forse potrebbe essere una reminiscenza tra i pastori e i contadini, che hanno interessi diversi. Poi il compagno, l'amico, il tuo simile è quello che ti può fare del male. Quando io devo giudicare il mio simile, devo farlo tenendo conto che in lui ci sono anche elementi negativi, come sono in me. Oppure tu potresti avere nei suoi confronti del risentimento, perché è cattivo, ma tu lo devi amare, perché in lui c'è una scintilla divina e se io lo tratto male, rinnego questa scintilla divina che è in lui. Cose facili da dirsi, ma molto più difficili da osservarsi.
Noi abbiamo la sfacciataggine di dire che la nostra società è fondata su principi ebraico-cristiani, ma è una balla enorme. La nostra società è fondata su principi negativi presi dal mondo greco. Diciamo certe cose, perché ci fa piacere dirle, ma poi non le applichiamo.