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Giosuè, allievo prediletto di Mosè
(Rav Luciano Meir Caro)


Giosuè è un personaggio notevole e lo capiamo subito dal fatto che egli sia conosciuto come il successore di Mosè.
Secondo la nostra Tradizione, egli sarebbe l'autore del libro biblico che porta il suo nome e che, nell'impaginazione della Bibbia, viene subito dopo il Pentateuco. Questo libro è un libro cosiddetto "storico", ma dobbiamo stare attenti, perché non si intende storico nel senso nostro, perché gli autori dei libri storici della Bibbia si propongono tutto meno che raccontare una parte di storia. Lo storico è quel tale che riferisce certi avvenimenti indipendentemente dal fatto che siano davvero capitati o no e lo fa allo scopo di trarne un insegnamento. Anche perché gli antichi avevano la percezione, molto più di noi, che nessuno potrà mai sapere come siano andate veramente le cose.
Giosuè è un personaggio che lascia molto pensare, intanto perché essere successore di Mosè non era certo una carica facile. Ma soprattutto questo uomo si è trovato a dover gestire una situazione abbastanza drammatica, perché doveva traghettare il popolo ebraico uscito dall'Egitto nella terra che Dio aveva promesso, e questo dopo 40 anni di cammino nel deserto.
Non solo doveva trasportare il popolo in Canaan, la terra di Israele, ma anche doveva accompagnarlo nella conquista di quella terra, perché era abitata da una quantità di popolazioni; il che implicava problemi di carattere militare, di carattere politico, di rapporti con le altre popolazioni e inoltre c'era il problema non indifferente della divisione della terra fra le tribù.
Giosuè è riuscito a far questo e lo ha fatto bene, pur non essendo riuscito a completare l'opera.

Facciamo un piccolo passo indietro. Giosuè appare già nel Pentateuco, dove viene citato più volte. In vari episodi egli si presenta come fedelissimo servitore, segretario, collaboratore di Mosè, soprattutto sul piano militare. La primissima volta in cui Giosuè compare è nel libro dell'Esodo, allorché gli Ebrei, usciti dall'Egitto e già inoltratisi nel deserto, sono stati attaccati alle spalle da una tribù nomade, quella dei famosi Amaleciti. Questo Amalék è diventato, per noi, il simbolo di chi odia gli Ebrei senza motivo. Ancora oggi c'è qualcuno, grazie a Dio pochi, che odia gli Ebrei non per motivi specifici, ma solo perché sono Ebrei.
Dunque questo Amalék, antesignano di ogni antisemita, attacca Israele alle spalle, mentre il popolo si trascinava fuori dall'Egitto in maniera abbastanza disordinata, lasciandosi alle spalle i più deboli. E' evidente che in questa lunga carovana davanti stavano i giovani e i forti e dietro quelli che facevano più fatica: i vecchi, i bambini, ecc. Questo Amalék si butta addosso agli Ebrei solo per il gusto di ammazzare degli ebrei; infatti non c'erano ragioni territoriali che giustificassero questo attacco, perché Amalék non era stanziato in un territorio specifico; né c'erano ragioni economiche, perché il fine dell'attacco non era quello di depredare gli Ebrei. L'unica volontà era quella di ammazzare.
Mosè si trova a mal partito, perché non sa come reagire di fronte a una tale situazione e così incarica Giosuè di organizzare un esercito e combattere contro Amalék. Se Mosè si rivolge a Giosuè vuol dire che sapeva di poter contare su di lui, che lui era l'unico in grado di fare una cosa simile, cioè trar fuori da quella banda di sbandati, che erano usciti dall'Egitto, un esercito capace di uscire in battaglia contro un nemico.

Giosuè organizza rapidamente il suo esercito e va  combattere Amalék e pare che sia riuscito a sconfiggere, almeno provvisoriamente, questa tribù.
Da questa esperienza nasce un precetto positivo da parte di Dio verso il popolo di Israele e cioè l'obbligo morale e materiale, una volta giunti nella terra promessa, di distruggere Amalék, cioè farlo fuori completamente, senza alcun tipo di pietà, perché Amalék è il simbolo di chi odia e fa del male senza motivazioni.
Questa indicazione è ripetuta più volte in senso anche un po' paradossale. Ad es. il Testo dice che quando Israele sarà giunto ala terra, dovrà distruggere persino il ricordo di Amalék e poi aggiunge: "… e non te ne dimenticare". Sembra un po' una contraddizione, perché se si distrugge il ricordo di qualcuno, vuol dire che non se ne parla più, ma allora come si può non dimenticare? E ancora più curioso è il fatto che il testo comincia dicendo così: "Ricordati di quello che ha fatto Amalék". Quindi dobbiamo ricordare e fare in modo che di questa cosa non ci si ricordi più. Ma allora, cosa dobbiamo fare? Dobbiamo ricordarcene o dimenticarcela o non dimenticarcela?
Penso che il testo sacro voglia dirci che non è tanto il Problema di Amalék, perché nell'umanità ci saranno sempre delle persone che vogliono far del male agli altri senza motivi; di questo dobbiamo ricordarci.
Ancora, Giosuè compare quando Mosè sale sul monte Sinài per ricevere le tavole della Legge; Giosuè in questa occasione accompagna Mosè per un tratto della salita e poi lo aspetta. Lo aspetta fedelmente, 40 giorni e 40 notti, infatti, alla sua discesa, Mosè ritrova Giosuè.
Ma questa attesa di Mosè da parte di Giosuè è stata una delle cause dell'episodio del vitello d'oro, perché gli Ebrei, rimasti accampati alle falde del Sinài, approfittano della debolezza di carattere di Aronne. Se Giosuè fosse stato in mezzo al popolo, forse non avrebbe permesso una cosa del genere.
Di nuovo troviamo Giosuè nell'ambito di un episodio non chiarissimo. Mosè si era lamentato con l'Eterno, perché non ce la faceva più a gestire il popolo e Dio lo accontenta, dandogli un premio, ma accompagnato da una punizione. Il premio consisteva nel fatto che Dio avrebbe affiancato a Mosè delle persone per aiutarlo nel governo del popolo, ma la forma di punizione consisteva nel fatto che da quel momento in poi Mosè avrebbe dovuto condividere il potere con altre persone, gli anziani di Israele.
Così la profezia, prima prerogativa esclusiva di Mosè, diventa dono anche per i 70 anziani. Diciamo che anche loro cominciano a profetizzare, ma, in realtà, non sappiamo cosa voglia "profetizzare".
A un certo momento interviene Giosuè, che si accorge che oltre i 70 anziani, che stanno profetizzando, ci sono altri due uomini, fuori dell'accampamento e non annoverati nel numero degli anziani, che stanno profetizzando; Giosuè chiede a Mosè di impedire questa cosa. Vedete? Giosuè prende delle iniziative. Ma Mosè risponde che sarebbe bello se tutti diventassero profeti del Signore.
Un altro episodio biblico in cui incontriamo Giosuè è quando Mosè invia una delegazione di esploratori nella terra di Israele per spiare e poi portare notizie; fra i rappresentanti delle 12 tribù viene scelto anche Giosuè. Al loro ritorno, gli esploratori diedero relazione a Mosè della terra, dicendo che era molto bella e ricca di frutti (ricordate i grappoli di uva enormi, che bisognava trasportare in due?) e su questo punto tutti erano d'accordo; ma poi 10 di loro cominciarono a sostenere che era impossibile riuscire ad entrare in quella terra, perché la popolazione che la abitava era numerosa, bellicosa, potente. Solo Giosuè e un suo compagno affermarono che con l'aiuto di Dio, ce l'avrebbero fatta a prender possesso della terra promessa.
Ma il popolo preferisce seguire il consiglio dei 10 e si ribella; Dio interviene e promette di far perire nel deserto tutti quelli che avevano screditato la terra, mentre vi sarebbero entrati solo Giosuè, il suo compagno e tutti i nati lungo i 40 anni di cammino nel deserto.
Oltre a tutto quello che ci viene detto di Giosuè nel suo libro, ci sono alcuni passi del testo biblico abbastanza drammatici che lo interessano  e in particolare mi riferisco alle ultime ore della vita di Mosè. Pensate: già prima che Mosè avesse la consapevolezza che la sua missione stava per volgere al termine, è Dio stesso ad annunciarglielo e ad invitarlo a rinunciare alla sua carica. Mosè acconsente, però dice che bisogna trovare una persona, che abbia dentro di sé uno spirito. Qualcuno vede in queste parole di Mosè una forma di riluttanza, da parte sua, a lasciare la sua missione, a farsi da parte dopo aver condotto il popolo in questa avventura così incredibile, dopo essersi preso tutta la responsabilità. Sembra quasi che Mosè voglia dire che non è facile trovare uno come lui, all'altezza della sua missione. Ma Dio risponde che l'uomo adatto c'è: Giosuè, persona, animata da spirito.
Qualcuno dice che Mosè da una parte era contento di questo, perché è un suo allievo a prendere il suo posto, ma dall'altra parte è scontento, ha qualche riserva, perché Giosuè è molto più giovane di lui.
Se voi leggete le ultime pagine del Deuteronomio, dal cap. 31 in poi, troverete delle espressioni che fanno pensare che Mosè non fosse affatto contento. Va ad accomiatarsi dal popolo, salutando ogni famiglia e si accorge che la gente sta già ascoltando Giosuè, come se Mosè fosse già fuori gioco, ignorato.
Mosè allora si ritira e va a morire in solitudine. Il testo non lo dice, ma secondo la Tradizione, Mosè avrebbe detto, prima di uscire dal campo e lasciarlo in mano a Giosuè: "Guardate che cosa significa essere fatti di carne e sangue".
E qui comincia il libro di Giosuè, che presenta, fra l'altro, uno stile molto vicino a quello dei libri del pentateuco, tant'è vero che alcuni studiosi sostengono che il pentateuco sia fatto noj di 5 libri, ma di 6, perché comprende anche il libro di Giosuè, che presenta una continuità logica, di impostazione e anche un'analogia di espressioni.
Tra le altre cose, si dice che Giosuè avesse una capacità particolare di interpretare gli errori del passato. Vi faccio un esempio. Uno dei primi episodi raccontati nel libro, è la conquista di Gerico. Gli Ebrei erano accampati ad est del Giordano, in quella che oggi si chiama Transgiordania e dovevano guadare per entrare nella terra di Canaan. Gerico, la prima città che incontrano, deve essere conquistata. E' una città fortificata, dal significato storico e mitico abbastanza importante, perché si dice che fosse una delle prime città costruite. Giosuè cosa fa? Manda due esploratori dentro la città a fare le spie, cioè a vedere come è difesa e da chi, come sono gli abitanti, le fortificazioni, ecc. Giosuè dimostra un grandissimo acume e una capacità di imparare dagli errori del passato, perché anche Mosè aveva mandato 12 esploratori, ma la missione era fallita miseramente, perché gli uomini che aveva scelto Mosè erano importanti, di fama, prestigiosi. Giosuè comprende che non è importante il prestigio e la carica che uno ha nella propria tribù, ma è importante essere uomini esperti, con delle ottime qualità personali. Così sceglie due uomini adatti a questo scopo e questi due rimangono anonimi; di loro non sappiamo assolutamente il nome.
La missione, questa volta, è coronata da successo.
I nostri maestri dicono che se non ci fossero stati, nel passato, alcuni errori commessi dal popolo ebraico, tutta la nostra Bibbia, si sarebbe esaurita nei primi sei libri, quindi col libro di Giosuè. Pensate: i profeti, i salmi, ecc. sono un di più che Dio ha inventato per riportare il suo popolo verso la via retta.
Noi diciamo che quando verranno i giorni messianici, quando si costituirà la pace universale, di nuovo tutti i libri biblici spariranno, tranne la Torah e Giosuè, perché il loro scopo è quello di farci imparare qualche cosa; una volta che abbiamo imparato, non abbiamo più bisogno dei Libri.
Il Pentateuco deve rimanere perché è il messaggio originale di Dio coi suoi comandamenti e il libro di Giosuè perché sottolinea la grande importanza che ha, anche dal punto di vista mistico, la terra di Israele.
Maimonide invece diceva che sarebbero rimasti soltanto i libri della Torah e il libro di Ester, che racconta la persecuzione, la sofferenza del popolo.
Nel libro di Giosuè compare una situazione di Israele abbastanza positiva, senza troppi errori o deviazioni. Una prima parte del libro narra l'ingresso nella terra di Israele con tutti gli elementi di tipo militare; mentre una seconda parte offre la descrizione della conquista dei territori e una terza parte parla dei provvedimenti presi da Giosuè per suddividere la terra fra le tribù; infine una quarta parte riguarda problemi specifici, cioè la determinazione di quelle che dovevano essere le città rifugio, cioè quelle città in cui potessero rifugiarsi quelle persone che avessero ammazzato una persona senza volerlo e che quindi non poteva essere condannata a morte. Però in qualche modo doveva scontare la sua responsabilità e una forma era, appunto, quella di stare in esilio in una di queste città rifugio, lasciando la sua casa, i suoi campi, la sua famiglia. Si sceglieva, però, una città che non fosse troppo lontana dalla sua residenza e lì rimaneva fino alla morte del sommo sacerdote, che moriva abbastanza di frequente, essendo nominati in età avanzata. In questo modo si lasciava alla volontà di dio di determinare quale fosse la misura della responsabilità della persona.
Oltre alle città rifugio Giosuè designa anche le città riservate ai leviti, i quali non avevano ricevuto un'eredità propria nella ripartizione della terra, perché dovevano vivere sparsi in mezzo al popolo, per i compiti di insegnamento che venivano loro assegnati.
Il libro di Giosuè si conclude col racconto di una grande assemblea, voluta da Giosuè, nella quale egli fa un discorso a tutto il popolo; infine il libro si conclude con la narrazione della morte di Giosuè.
Il libro di Giosuè ci dà la possibilità di stabilire quale fosse la situazione geopolitica del paese. Ho parlato di conquista del paese, determinata dalla volontà dell'Eterno, ma voglio tener presente la connotazione teologica di tutto questo. La Torah più volte ribadisce che la terra di Israele è la terra che Dio ha promesso di dare agli Ebrei, però quella terra è abitata da altre popolazioni. La visione teologica del testo biblico è che Israele ha il diritto di entrare in quella terra, benché sia già abitata da altre popolazioni, perché quelle popolazioni erano immorali. Questa immoralità apre le porte a Israele. La terra appartiene al Signore Dio, che la concede, per risiederci, per lavorarla, a determinati gruppi umani; orbene un gruppo umano ha diritto di stare in quella terra, finché si comporta bene, ma se si comporta male, oltre un certo limite, avviene una forma di rigetto della terra, di vomito, come se la terra non sopportasse più la presenza di una popolazione iniqua.
Quindi la Torah fa capire che le popolazioni, che occupavano Israele prima degli Ebrei, sono cacciate via non perché gli Ebrei fossero più belli, ma perché si meritano di essere cacciate, per le bestialità che hanno commesso. Ma anche Israele deve fare bene attenzione a non ripetere gli stessi errori delle popolazioni precedenti, perché sarebbero gettati fuori anche loro.
C'è, però, una particolarità, che consiste nel fatto che agli Ebrei è riservata una proprietà eterna di quella terra, che è elemento contestualmente di punizione e di premio. Le altre popolazioni sono sbattute fuori e, dopo un po', o muoiono o continuano a vivere in esilio - e l'esilio è considerato la punizione peggiore per un essere umano, cioè essere sradicato dalle proprie radici. Però, se dopo un po' le altre popolazioni si dimenticano e perdono il contatto con la terra originale  e si assimilano in una nuova realtà, gli Ebrei no: sono sbattuti fuori dalla loro terra, ma conservano la nostalgia, il dolore, in una forma di sofferenza perpetua nei confronti di un bene dal quale non possono stare separati.
In questa ottica l'esilio diventa una forma di purificazione, grazie alla quale può essere offerta una nuova possibilità, un ritorno nella terra.
Torniamo al tema dell'ingresso del popolo di Dio in Israele. Chi c'era, in quel momento, ad abitare nella terra promessa? Intanto c'è un'antica reminiscenza di presenza di Emorei, una popolazione molto antica che pare fosse già in esaurimento ai tempi di Giosuè. Nel corso dei secoli, poi, si era inserita una presenza, anch'essa minoritaria, di Ittiti. Poi c'era una serie di popolazioni, chiamate Cananei, divise in tanti sottogruppi. Poi c'erano i Filistei, completamente diversi dai Cananei, che sembra venissero dal Mediterraneo, dall'Egeo, dalle isole greche.

Giosuè si trova ad affrontare, dal punto di vista politico e militare, due entità, che sono una a centro - sud e cioè nell'attuale zona che comprende all'incirca Gerusalemme, Hebròn, le montagne della Giudea, la Samaria e l'altra a nord, nella Galilea, dove emergeva una città straordinariamente importante, Hazòr, situata al centro della Galilea.
Giosuè alternativamente combatte un po' a nord e un po' a sud e adopera delle strategie, anche politiche, molto avanzate.
Oltre a Gerusalemme, un'altra città importantissima era Schechèm, cioè Sichem, l'attuale Nablus: un tempo conquistata dai Romani e distrutta, sulle sue rovine era stata costruita Neapolis, cioè la "Nuova Città", poi conquistata dagli arabi e ribattezzata Nablus. Questa città ha una grande importanza anche dal punto di vista religioso; la storia di Abramo e di Giacobbe hanno un collegamento con essa.
Insomma, una popolazione molto variegata, molto differenziata e non solo a livello di gruppi etnici, ma proprio all'interno delle vaie etnie c'è un'ulteriore differenziazione. E tutto questo porta a contrasti e tensioni, ma, notate, non tra i grandi gruppi, come ad es. tra cristiani e musulmani, quanto piuttosto tra le minoranze di uno stesso gruppo, che si tratti di ebrei, di musulmani o di cristiani. Non so se andando in Palestina vi siete accorti di questo.
Parlavo prima di Gerusalemme e di Shechèm: sono distanti appena una ventina di km eppure vivono in un contrasto reciproco terribile. La stessa cosa si può dire di Betlemme, che dista solo 9 km da Gerusalemme. Ma è così anche qui da noi, no? Io quotidianamente affronto la rivalità che c'è tra Ferrara e Bologna, perché ognuno si sente il migliore.
Voglio anche sottolineare le capacità notevoli di Giosuè come stratega, tanto che ancora oggi, nelle guerre di Israele recenti, ci sono stati alcuni dirigenti militari israeliani che si sono ispirati a Giosuè nelle loro campagne militari.
Quali erano le intuizioni strategiche di Giosuè? Durante tutto il periodo della conquista, Giosuè lascia il campo base degli Ebrei a Ghilgàl, una località a oriente del giordano, cioè fuori dal campo delle operazioni. Questo permetteva di avere una riserva strategica, dovuta anche al fatto che al di là del Giordano si erano stanziate due tribù e mezzo di Israele, che potevano rifornirlo di vettovaglie e supporto in genere. Giosuè attraversa il Giordano nei pressi di Gerico, dove i guadi erano più favorevoli e perciò, conquistando quelle zone, era poi più facile poter entrare, militarmente parlando, nel territorio.
Altro elemento della strategia di Giosuè era quello di prendere sempre il nemico di sorpresa, con delle imboscate, delle marce notturne, che erano davvero insolite, perché a quel tempo non si usava combattere di notte. Giosuè rompe questi equilibri e costringe i suoi esercizi a marce forzate notturne per andare ad attaccare il nemico.
Inoltre le direttrici di marce che Giosuè prende nella conquista della terra di Israele, dimostrano la sua intenzione di impossessarsi dei nodi stradali. Oltre a ciò, Giosuè cercava di alternare battaglie contro elementi molto importanti e forti del nemico a battaglie contro elementi meno potenti, per avere, così, la certezza della vittoria.
Solitamente, poi, Giosuè non assediava le città contro cui combatteva, per non logorare le proprie truppe; piuttosto cercava di fare uscire in campo aperto il nemico per affrontarlo.

Un elemento molto usato da Giosuè erano le spie, che inviava per informarsi sulla situazione del nemico e il sabotaggio. Ricordate cosa avviene nell'attacco di Gerico? Mentre il nemico si aspettava un attacco frontale, Giosuè organizza delle marce intorno alla città accompagnate da preghiere, canti e suono di shofàr. Qualcuno dice che, attraverso i suoi esploratori, Giosuè aveva intuito che le vibrazioni sonore possono far cadere le mura alte. Qualcun altro dice che tutta questa confusione di gente e suoni facilitasse la distrazione dei nemici, così che qualcuno potesse infiltrarsi vicino alle mura per minarle.
Tra le opere di sabotaggio ci è raccontato l'episodio dell'invio di uomini a Chazòr, città capitale della parte settentrionale di Canaan; arrivati di notte, questi uomini si infiltrano nelle stalle a tagliare i garretti dei cavalli, mettendo KO la cavalleria del nemico.
Nonostante tutte queste strategie e queste intuizioni vincenti, Giosuè non riesce a conquistare tutta la terra, secondo il piano stabilito; infatti rimangono alcune zone non conquistate.
Il fatto che Giosuè non abbia completato l'opera di conquista, ha causato, nelle generazioni successive, una quantità di difficoltà: le guerre che si verificheranno al tempo dei Giudici, saranno conseguenza del fatto che in mezzo agli Ebrei abitavano ancora popolazioni straniere, che avevano un livello morale particolarmente basso.
I Cananei erano considerati, nell'ottica della Bibbia, i più empi, perché avevano addirittura istituzionalizzato l'idolatria. Avevano inventato, per es., la prostituzione religiosa. Sotto l'insegna della religione, erano state create delle enclave, entro le quali il sacerdote pagano gestiva il potere ed aveva nelle sue mani la prostituzione religiosa maschile e femminile, che gli procurava dei guadagni molto notevoli. In questa ottica, il prostituto o la prostituta non erano affatto colpevoli, ma meritevoli, perché la loro attività era considerata come una forma di adorazione degli dei.
In questo modo nascondevano dietro il paravento della religione le cose più oscene, allo scopo di trarne guadagni facili. Da notare che quello che avveniva dentro queste zone non era controllabile da parte delle autorità civili o giuridiche, perché vigeva l'extraterritorialità; tutto quello che avveniva in quel determinato territorio era sotto la protezione degli dei.
Oltre alla prostituzione sacra c'erano anche i sacrifici umani; un modo per togliere di mezzo le persone un po' ingombranti e fastidiose.
La Torah dice che quando un tale si macchia di omicidio, deve essere prelevato per essere giudicato, anche se si fosse nascosto nella parte più santa del santuario; non esiste extraterritorialità. Non c'è luogo dove ci si possa nascondere sotto la protezione dell'idolo.
Tutte queste cose hanno influenzato molto negativamente le generazioni successive del popolo ebraico.
Un'ultima cosa. Appena entrati nel paese di Israele, Giosuè ristabilisce l'osservanza della Pasqua e della circoncisione. Per questo nella nostra Tradizione Giosuè è assimilato alla figura di Mosè; non è visto solo come l'allievo prediletto di Mosè, ma anche come suo continuatore. Con Giosuè era come se Mosè continuasse una seconda vita.
Vi lascio l'invito a leggervi il testo direttamente, tutto il libro di Giosuè e soprattutto l'ultimo discorso pronunciato a Schechèm, in cui Giosuè offre al popolo un programma di vita che, se messo in pratica, conduce alla salvezza.     



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