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Il libro dei Giudici
(Rav Luciano Meir Caro)
Il libro dei Giudici appartiene ai libri storici della Bibbia ed è il secondo libro che viene subito dopo il Pentateuco.
Non bisogna mai dimenticare che quando nel testo biblico ebraico noi parliamo di libri storici, non intendiamo la storia nel nostro modo di vedere; l'autore di questi scritti non si propone assolutamente di raccontarci cosa è successo, non ha la preoccupazione di raccontarci i fatti così come sono successi, ma il suo racconto è fatto in modo tale che si possa trarre un insegnamento dai fatti accaduti.
Per gli antichi non aveva nessuna importanza sapere se una cosa era avvenuta davvero o no, o in un modo piuttosto che in un altro.
Sapete meglio di me quanto sia difficile scrivere la storia anche oggi, pur con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione.
Il primo grande storico è stato Giuseppe Flavio, nel primo secolo dell'era volgare, che si propose di scrivere gli eventi; prima di lui si prendeva uno spunto dai fatti successi, per poter insegnare qualche cosa.
Il libro dei Giudici si intreccia con la storia di Giosuè. Gli Ebrei escono dall'Egitto, Mosè muore prima dell'ingresso nella Terra promessa e lascia la guida del popolo a Giosuè, che guida il popolo nella conquista della Terra, anche se non riesce a portare a compimento tutta l'impresa.
Morto Giosuè si pone il problema della successione e non viene nominato nessun capo supremo, che sostituisca Giosuè, anche in base alla forte individualità tipica del popolo ebraico, per cui ogni tribù fa un po' per conto suo. Per quel poco che sappiamo, le tribù qualche volta lavoravano insieme a fronte di determinati problemi, altre volte si ignoravano allegramente e altre volte ancora si contrastavano, come tanti piccoli gruppuscoli a propria connotazione.
Nel nostro testo si parla di Giudici, ma la parola va intesa col significato di "dirigenti", cioè si trattava di personaggi investiti di un certo tipo di autorità.
Allora, ogni tribù faceva per conto suo e noi ci immaginiamo che ogni tribù fosse retta da un consiglio di anziani o di maggiorenti; quando si presentava qualche problema urgente, soprattutto di carattere militare e politico, succedeva che alcune tribù si mettevano d'accordo e nominavano un capo, affidando a lui il compito di condurre il conflitto contro il nemico. Esaurito il problema, il personaggio scelto tornava a casa sua, ma, se era riuscito a farsi un certo nome, la gente continuava a rivolgersi a lui per farsi "giudicare", per es. in caso di controversie. Da qui il termine "giudice"; ma appunto non erano altro che consiglieri.
Non dobbiamo dimenticare che la terminologia dell'ebraico biblico molto spesso non è così facile da tradurre. Per es. melek viene tradotto con "re", ma non sempre corrisponde a re nel senso nostro; allo stesso modo shofét diventa "giudice", ma in realtà è una figura che con la giurisprudenza non ha nulla a che fare.
Torniamo un attimo al momento storico del libro dei Giudici. Abbiamo detto che in questo tempo il popolo ebraico non ha un'autorità centralizzata, ma ogni tribù fa un po' per conto suo.
Questo libro è pieno di problemi anche dal punto di vista storiografico, perché, per es., non abbiamo la minima idea di quanto sia durato questo periodo. Vengono raccontate le storie di vari personaggi, ma non è detto che le vicende si siano verificate con la sequenza presentata nel libro. Può darsi che uno abbia agito prima dell'altro o anche può darsi che più personaggi abbiano agito contemporaneamente.
Sapete che gli storici dicono che il santuario di Gerusalemme sia stato costruito circa intorno all'anno 980 prima dell'era volgare, durante il regno di Salomone. Prima di Salomone c'era David, suo padre e prima ancora il re Saul, quindi tre generazioni in cui esisteva la forma monarchica. Prima c'è stato il periodo dei Giudici. Ma non sappiamo quanto sia durato; secondo qualcuno 80 anni, secondo qualcun altro 200 anni, ma non abbiamo assolutamente gli elementi per prendere posizione.
Il libro contiene episodi e personaggi molto famosi, tipo Sansone, eroe nazionale della lotta contro i Filistei; anche lui era un Giudice, ma nella sua vita ha fatto tutto meno che il giudice.
Lungo tutto il libro ritorna un ritornello, che ci viene riproposto quasi in ogni capitolo: "In quei tempi non c'era un re in Israele e ognuno faceva quel che gli pareva".
L'autore è sicuramente un monarchico, che rimpiange la presenza di un'autorità centrale, per cui le cose andavano male, Israele viveva una forte crisi politica.
Qualcuno dice che l'autore del libro fosse Samuele, ma io non credo assolutamente; la cosa indubbia è che sia uno sfegatato monarchico.
Tutta l'impostazione del libro è fondata sul racconto di una storia in chiave etica, cioè nell'attestare che tutti i guai che sta vivendo Israele sono causati dalla mancanza del re, ma soprattutto dal fatto che gli ebrei si stanno comportando male. Invasioni, lotte coi nemici, ecc. sono la conseguenza di un comportamento malvagio.
Tra i vari personaggi troviamo Debora, la profetessa alla quale il popolo si rivolge in occasione dell'ennesima guerra contro il nemico. Debora va a chiamare un tale che, secondo lei, era adatto a guidare la guerra e nonostante le rimostranze di lui, lo convince.
Probabilmente il popolo voleva proprio lui, perché era conosciuto per essere un mezzo bandito, abituato ad esercitare la violenza e quindi l'uomo adatto per fare guerra.
Le rimostranze di questo personaggio vertevano anche sul fatto che il popolo dava una tale importanza a Debora, la quale, in caso di vittoria, si sarebbe presa tutti gli onori e in caso di sconfitta, sarebbe sicuramente rimasta al sicuro, mentre tutta la colpa sarebbe ricaduta su di lui.
Ma le cose vanno per il meglio e Israele vince la guerra. L'episodio si conclude con la bella cantica di Debora. Notate, nel testo biblico, la particolare conformazione dello scritto: quando si tratta di poesie o cantici, la scrittura presenta degli spazi vuoti.
Un altro aspetto di cui volevo parlarvi è il fatto che già nel libro si intravedono dei tentativi di istituzione della monarchia, per es. nel caso di Ghid'on, Gedeone, al quale il popolo propone di diventare re, ma lui risponde che in realtà non hanno bisogno di un re, ma di un servo. E lui dichiara con schiettezza di non avere alcuna intenzione di mettersi al servizio di tutte le loro malefatte.
Vi invito a leggere il libro tenendo conto che non abbiamo alcuna cognizione precisa della successione cronologica reale.
Desidero fermare la vostra attenzione sulla parte finale del libro dei Giudici, che ha fatto perdere un po' la testa ai nostri critici.
Troviamo due episodi molto strani, che raccontano una serie di vicende che ci lasciano molto perplessi. Di nuovo vi invito a leggere i testi, senza però lasciarvi confondere dai vari interpreti.
Vi leggo l'incipit del cap. 18:
"In quei giorni non c'era un re in Israele e in quei giorni la tribù di Dan cercava un possesso per abitare, poiché fino a quel momento gli era capitata in sorte una proprietà in mezzo alle altre tribù di Israele".
Sapete che il popolo ebraico era diviso in tribù, cioè in gruppi che si riconoscevano in un progenitore. Giosuè aveva suddiviso la terra conquistata fra i rappresentanti delle varie tribù e la suddivisione era stata fatta in base all'ampiezza numerica delle tribù. Ma i problemi erano molti, intanto perché i vari gruppi dovevano essere d'accordo e poi in base a quali criteri si dovevano fare le suddivisioni? Per i desideri, le preferenze dei singoli gruppi? Io credo che, in qualche modo, abbiano fatto ricorso alla sorte.
Ma c'è da tenere presente un elemento fondamentale e cioè la visione etica che ha il testo biblico: che la terra appartiene a Dio ed è Lui che fa la distribuzione. Ogni popolazione ha diritto di risiedere in un territorio finché si comporta bene, ma quando si comporta male, avviene il fenomeno del rigetto: è la terra stessa che, oltre un certo limite, non sopporta la presenza di una popolazione che vive immoralmente. E' come se la terra estromettesse, sbattesse fuori, vomitasse la gente che la abita.
Questo vale anche per il popolo ebraico. Sì, gli Ebrei hanno diritto di entrare nella terra promessa, ma non fino a quando le popolazioni che abitavano lì prima di loro non abbiano oltrepassato una certa soglia di peccato.
Per questo Giosuè non conquista tutta la terra, ma solo una parte, contrariamente al programma che il popolo aveva fatto. Quindi, anche se Israele era entrato in parte nella terra di Canaan, continuarono ad abitare in mezzo ad esso dei resti delle popolazioni precedenti.
Torno al cap. 18 del libro di Giosuè. Leggiamo che la tribù di Dan non aveva avuto la sua parte di territorio e stava ancora cercando un pezzo di terra su cui installarsi. Ma questa è una grande novità, perché nei capitoli precedenti era stata detta un'altra cosa. Se ricordate, a questa tribù apparteneva Sansone e si dice che la sua tribù era stanziata nella zona limitrofa alla città di Gaza.
La famosa striscia di Gaza, i cui abitanti, al di là di valutazioni morali, che non voglio assolutamente dare, hanno sempre dato dei problemi, come avviene anche oggi. Infatti lì abitano degli arabi palestinesi, che vengono mal sopportati anche dagli altri arabi, che li considerano come dei selvaggi.
Ma lungo questa fascia di territorio, che si trova nella parte meridionale di Israele, erano stanziati i Filistei, nemici acerrimi di Israele, contro i quali si è accanita in modo particolare la tribù di Dan, sua confinante. Sansone è stato l'eroe nazionale dei Daniti, che ha combattuto tutta la vita contro i Filistei e poi è stato ammazzato.
Il testo ci dice, al di là delle righe, che la tribù di Dan a un certo momento decide di spostarsi dal territorio che le era stato affidato, perché la zona era troppo problematica a causa dei Filistei.
Tenete conto che nell'immaginario collettivo ebraico, la tribù di Dan, in base a questi dati, è stata sempre considerata come una tribù particolarmente nomade, tant'è vero che quando capita, anche oggi, di trovare dei resti di popolazioni pseudo-ebraiche nel mondo, si dice che si tratta sicuramente di discendenti dei Daniti. Per esempio i falashìm etiopici si consideravano discendenti dei Daniti; molti di loro, una volta arrivati in Israele, dichiaravano di avere un cognome danita.
Allora, in questa ricerca di un nuovo territorio, i Daniti mandano una delegazione all'estremo nord del paese per vedere se è possibile trovare una località più ricettiva. Pensate: dall'estremo sud all'estremo nord. Come se un siciliano andasse a vivere a Bolzano.
Durante questa spedizione avviene un incontro particolare con un certo Michà, della tribù di Levi, che gestiva un piccolo santuario, dove era custodita una statua, addirittura provvista di efòd e terafìm, cioè quegli strumenti sacerdotali che servivano per interrogare la volontà di Dio. Insomma, un vero e proprio santuario pagano in pieno territorio di Israele! Si comprende che la finalità di questa specie di luogo di culto era il guadagno, la sopravvivenza.
Il testo sacro si sofferma a raccontarci queste cose per attirare la nostra attenzione sulla situazione di degrado morale e religioso in cui si era ridotto Israele, nonostante fossero trascorse solo poche generazioni da Mosè.
Comunque questa delegazione di Daniti prosegue il suo cammino e trova un luogo in cui stanziarsi, proprio alle sorgenti del Giordano; il luogo si chiamava proprio Dan. Fra l'altro la parola Giordano viene da ioréd Dan, a dire che il Giordano è il fiume che scende da Dan.
Dunque la tribù di Dan o ha cambiato residenza e dall'estremo sud va a stare all'estremo nord, oppure si è divisa: una parte al sud e una al nord. Tutto questo ci interessa relativamente, ma la cosa importante è che i Daniti hanno inventato una città col nome del loro progenitore, Dan e lì hanno collocato la statuina di Michà. Oltre che di una collocazione geografica, avevano bisogno di un punto di riferimento religioso.
Passiamo al v. 30, sempre nel cap. 18, che dice così: "Ionathan, figlio di Ghershòm, figlio di Menashé, lui e o suoi figli erano sacerdoti per la tribù di Dan, fino al giorno in cui gli Ebrei furono esiliati. E posero questa statua di Michà che aveva fatto per tutto il tempo che esisteva una casa di Dio a Shilò".
Vi faccio notare il discorso dei sacerdoti: Ionathàn, Ghershòm, Menashé… e qui, nel testo biblico, la nun di Menashé non è scritta in linea con le altre lettere, ma rimane un po' per aria. Io credo che un significato ci sia. Ghershòm era figlio di Mosè. Allora viene da pensare che quella nun non centri per niente, perché se la togliamo, rimane Moshé, veramente padre di Ghershòm.
Ci pensate che roba? Addirittura il nipote di Mosè è diventato il gestore di una struttura religiosa pagana! Ma l'autore del testo non vuole dirlo così esplicitamente e allora aggiunge una nun per camuffare un po' le cose e non mancare di rispetto al grande Mosè.
Neanche avere un padre come Mosè garantisce di avere degli ottimi nipoti e viceversa il fatto di avere un padre delinquente non determina necessariamente che i figli siano dei buoni a nulla. La responsabilità è personale.
Quindi il testo vuole farci capire che davvero siamo caduti in basso, se la famiglia di Mosè è arrivata a prendere la gestione di un santuario pagano, per ricavarci da vivere. E, fra le altre cose, sappiamo che oltre i servizi religiosi e di accoglienza, questi santuari offrivano anche la prostituzione cosiddetta sacra. Insomma, un pacchetto completo.
La domanda che mi faccio io e che si fanno gli studiosi è che cosa centri questo episodio con il libro dei Giudici. Sicuramente è per offrirci una fotografia di una situazione insostenibile, perché gli Ebrei del tempo stavano scivolando verso forme di paganesimo, in contrasto con quanto la Torah aveva detto più volte. Attenzione: nella Torah c'era la proibizione assoluta di inventare luoghi di culto al di fuori di quello stabilito, a Gerusalemme e invece qui vediamo delle persone che si fanno il proprio piccolo santuario, anche andando a rubare la statua di un altro.
L'ultima parte del libro è altrettanto interessante. Si racconta di una guerra interna avvenuta nel popolo ebraico. Lo dico rapidamente, ma voi leggetelo sul testo. Un tale, un commerciante ebreo della tribù di Giuda, parte per affari, ma la sua concubina, che lo amava follemente, lo insegue all'insaputa di lui. Lui si ferma in una località al confine tra la tribù di Giuda, che era la tribù più grande e la tribù di Beniamino, la tribù più piccola e con difficoltà trova un posto per dormire, perché i beniaminiti non vogliono saperne di stranieri. Lui era convinto che avrebbe trovato pronta accoglienza e invece no. Alla fine viene accolto da un vecchio, quasi di nascosto, che lo invita ad andarsene l'indomani mattina presto, per non essere scoperto. Nel frattempo la concubina era arrivata a quel luogo, ma era già notte. Al mattino dopo lui la trova stesa sulla soglia morta, ammazzata. Questo, scandalizzato, prende la concubina e la divide in 12 parte e ne manda un pezzo per ogni tribù di Israele per dire a che punto erano arrivati. Sembra che gli abitanti di Beniamino non l'avessero preso per niente in considerazione. Allora tutte le tribù si coalizzano contro al tribù di Beniamino e si scatena una guerra molto dura, anche perché il territorio di Beniamino era alquanto impraticabile.
Pensate che addirittura le tribù decidono di sopprimere la tribù di Beniamino, giurando solennemente che i loro uomini non avrebbero mai sposato una donna di Beniamino. Poi, col passare degli anni e delle generazioni, gli odi si sopirono, ma il giramento fatto rimaneva valido. Così trovano l'escamotage di rapire le donne beniaminite che volevano sposare; un rapimento non è un matrimonio!
Ancora una volta il libro dei Giudici vuole sottolineare a quale bassezza si era arrivati.
Per motivi di onestà, devo dirvi che quando si tratterà di nominare un re, sceglieranno proprio un uomo di Beniamino. Credo che la scelta sia stata fatta perché Beniamino era la tribù più piccola, per evitare che si inorgoglissero troppo.
Sappiamo che il regno di Saul durerà poco, anche perché dietro le quinte c'era la tribù di Giuda, la più grande e prestigiosa di Israele, che voleva conquistare il potere. E infatti Davide, il secondo re, fu scelto dalla tribù di Giuda.