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Il libro di Giuditta
(Rav Luciano Caro)
Premetto che non sono un esperto del libro di Giuditta. Vorrei inserire questo discorso in un discorso molto più ampio, sempre nel tentativo di stimolare la vostra curiosità, il vostro interesse. Il libro di Giuditta appartiene a quei libri biblici, che vanno sotto il nome di chizzonìm, che significa "libri esterni", perché sono rimasti esterni al canone dei libri sacri. La tradizione cristiana li chiama "deutero-canonici". A mio avviso questi libri sono interessantissimi, perché si collocano, nella letteratura ebraica, a cavallo tra la letteratura biblica e quella talmudica. La Bibbia ebraica si chiude circa 400 anni prima dell'Era volgare. Passano 200-300 anni in cui noi non abbiamo una produzione di opere ebraiche, salvo la redazione della mishna, del talmud e di tutta la letteratura post-biblica. Orbene, è all'interno di questi due, trecento anni di silenzio che si collocano questi libri, nati in ambiente ebraico, quasi sicuramente quasi tutti scritti in lingua ebraica. Nonostante il fatto che il contenuto di questi libri sia analogo e molto simile al contenuto dei libri accolti all'interno del canone biblico, essi ne sono rimasti esclusi. Non c'è niente in contrasto con la tradizione ebraica e questo lascia da pensare. Il problema, allora, si sposta a tutta la grande tematica della redazione del canone biblico ebraico. Siamo ai tempi di Esdra, al tempo del ritorno dall'esilio babilonese, circa 400 anni prima dell'Era volgare ed è in atto tutta una discussione su quali libri siano da ritenere sacri e quali no. Abbiamo notizie su questo, che provengono dalla letteratura talmudica. Veniva sconsigliato di leggere libri di letteratura amena, diciamo così; piuttosto si invitava a leggere la Bibbia, perché essa, da sola, era in grado di fornire tutta la conoscenza necessaria. Questo a portato a disattendere la lettura di altri testi, che pure, in quei tempi, circolavano. Credo che una delle motivazioni per cui certi libri non sono stati accolti nel canone, sia perché non si sono conservati nella loro veste ebraica originale. Quando sono stati recuperati, erano già stati tradotti o in greco o in aramico e si riteneva che un libro nons scritto in ebraico non può essere considerato sacro, perché l'ebraico è la lingua di cui Dio si è servito per creare il mondo e perciò è considerata una lingua tutta particolare, la lingua sacra per eccellenza. Questo non toglie che, nella nostra tradizione, ci sia un grande rispetto per la lingua greca. Si dice - ma sono punti di vista discutibili - che, dopo l'ebraico, la lingua più vicina alla verità è il greco. Ma nonostante questo i libri "esterni" non sono entrati nel nostro canone. Eppure sono libri molto interessanti. Ve ne cito qualcuno. Per es. la preghiera di Menashé, cioè Manasse; il libro di Tobia; la Lettera di Geremia; il Salmo 151; le aggiunte al libro di Ester; le aggiunte al libro di Daniele; il libro di Ester apocrifo ("apocrifi" è un'altra denominazione per i libri non accolti nel canone); e finalmente i quattro libri dei Maccabei. Tra tutti questi l'unico libro che si distacca un po' dagli altri, perché considerato a metà strada tra i libri sacri e quelli non sacri, è il famoso Ecclesiastico, che non chiamiamo il libro di Ben Sirà, in italiano Siracide. Non è entrato nel canone, ma i nostri maestri lo citano continuamente.
Devo aggiungere che di questi libri, di cui si conosce il testo greco, non ci è pervenuta una versione così esatta come invece è avvenuto per gli altri libri, entrati nel canone. Questo perché c'è sempre stata, da parte ebraica, un'attenzione esasperata nel conservare il testo il più vicino al testo originale. Quindi si riteneva che fosse una profanazione proporre nel testo una correzione qualsiasi, anche quando era palese la presenza di un errore originale. Il copista deve trascrivere il testo tale e quale. Per i testi non considerati sacri, c'era un po' più di libertà.
I ritrovamenti di Qumran, i manoscritti del Mar Morto, hanno offerto alcuni manoscritti di una ricchezza eccezionale, perché sono i più antichi manoscritti di testi sacri che ci siano pervenuti.
Alcuni frammenti riguardano in particolare il libro di Giuditta, che ci presentano una versione leggermente differente rispetto a quella greca. Questo significa che di questi testi circolavano varie versioni, non radicalmente differenti, ma con delle varianti. Questo ci pone il problema di quale fosse il vero testo originale.
Il libro di Giuditta ha avuto una fortuna speciale, forse perché parla di una donna con tutte le qualità possibili: bellissima, stimatissima, onestissima. Questo racconto ha stimolato la fantasia di vari interpreti di vario genere: esiste, su questo personaggio, una quantità di produzioni artistiche, letterarie, musicali, musive. Credo che tra tutti i libri deutero-canonici sia quello che ha colpito maggiormente la fantasia.
Penso che, più o meno, tutti conosciate la vicenda narrata dal libro di Giuditta. L'edizione ebraica non è quella originale, ma abbiamo la traduzione ebraica fatta su un testo greco. Si sa per certo che esisteva un originale ebraico, per es. da alcune espressioni che si trovano nel testo e che sono chiaramente una traduzione greca da un originale ebraico. Per es. si trova l'espressione "ogni carne", in ebraico kol basàr, per dire "tutti gli uomini", che è prettamente ebraica e si trova varie volte nel testo biblico ebraico. Un altro elemento: per dire un lasso di tempo viene adoperata un'espressione che traduce l'ebraico kodesh yammìm, cioè un mese di giorni. Noi diremmo semplicemente "un mese", mentre l'ebraico dice "un mese di giorni".
Molto spesso nel testo biblico, per esprimere un'azione, si usa una formula verbale, per cui l'infinito di un verbo precede il verbo stesso, ad es. "se osservare osserverete", o "ascoltare ascolterete", ecc. Ancora è frequentissimo nel libro di Giuditta che vengano adoperati, in frasi che non centrano niente, degli elementi di carattere fisico, della persona; per es. per dire "aver pietà", l'ebraico dice: "Il tuo occhio non abbia pietà" o "la superficie della terra" è "la faccia della terra" o ancora "ammazzare qualcuno" è "fare passare per la bocca della spada". L'esperto di lingua ebraica, leggendo il testo greco, si accorge che dietro c'era un testo scritto in ebraico.
Il libro di Giuditta è infarcito di nomi, che non hanno alcun aggancio con la realtà. Si racconta che siamo al tempo di un re, Nabucodonosor re di Assiria, ma in realtà era re di Babilonia e che questo re ha fatto una guerra con Arpacshad, re della Media; questo nome fa parte della genealogia dei personaggi dei primi capitoli della Genesi. Per fare questa guerra aveva convocato varie popolazioni dell'Oriente, ma ottenne una risposta fredda e perciò, dopo aver vinto la guerra, vuole vendicarsi dei popoli che non hanno voluto aiutarlo. Chiama il suo generale, Oloferne, lo mette a capo dell'esercito e lo invia a punire i popoli che non si erano voluti coalizzare con Nabucodonosor. Fra i popoli c'erano anche gli Ebrei. Arrivato in territorio ebraico, fra le altre città, assedia Betulia, come leggiamo nel libro di Giuditta. Betulia richiama il termine betulà, cioè vergine e con questo termine si intende la personificazione di Israele o di Gerusalemme. Per cui, pur non esistendo una città che si chiama Betulia, possiamo pensare che si faccia riferimento comunque a Israele o alla sua capitale. L'assedio da parte di Oloferne e del suo esercito mira a far morire di sete gli abitanti di Betulia. Dopo lunghi giorni, si riunisce il consiglio degli anziani della città e decide che se entro 5 giorni non succederà qualche cosa, avverrà la resa. A questo punto interviene Giuditta, una donna vedova, rimasta tale, nonostante molti uomini la desiderassero in sposa. Redarguisce gli anziani per la decisione presa, perché era una mancanza di fede in Dio. Lei chiede di poter realizzare un suo piano segreto e se entro quei giorni non succede nulla, allora autorizza gli anziani ad agire secondo le loro decisioni. Così avviene: Giuditta si prepara, vestendosi in grande eleganza e, con la sua ancella, esce dalla città e si fa portare davanti a Oloferne, al quale preannuncia la vittoria, come profetessa e promette anche la conquista della capitale, di Gerusalemme. Oloferne rimane convinto, sia dalle sue parole sia dalla sua bellezza. Giuditta chiede di poter parlare in privato con Oloferne, il quale, però, essendo ubriaco, dopo aver mangiato insieme a lei, non riesce a difendersi. Giuditta riesce a tagliargli la testa e portarla al campo del popolo di Israele. La testa viene appesa alle mura e l'esercito nemico viene messo in fuga con grandissima vergogna.
La fama di Giuditta crebbe ancor di più e continuò ad essere amata e stimata da tutti.
Tra i personaggi di questa vicenda compare un certo Achior, capo di una popolazione ammonita. Ammon era nato da Lot, nipote di Abramo, dal connubio delle due figlie unitesi al padre a sua insaputa, mentre era ubriaco, per mantenere la specie umana, visto che pensavano che non ci fosse rimasto più nessuno sulla terra dopo la distruzione di Sodoma e Gomorra. Ma loro pensavamo che fosse stato distrutto tutto il mondo e non solo le due città.
Da questo connubio nascono ammoniti e moabiti. Ma tutto è molto ironico, perché Ammon deriva da 'am, che vuol dire popolo, famiglia. Ma tutti nasciamo in famiglia; in questo caso di più, visto che il padre era anche nonno. Il nome della capitale della Giordania, Ammàn, viene da qui.
La stessa cosa vale per i moabiti; Moab significa "da Dio".
La Bibbia vuole farci pensare a quali cose strane succedono nella vita degli uomini. Andare a letto col proprio padre, non è ammissibile, ma loro l'hanno fatto per rispondere al primo comando di Dio: "Crescete e moltiplicatevi" e lo fanno nella maniera possibile, cioè facendo ubriacare il padre.
Per tornare ad Achior. Era andato da Oloferne e gli aveva suggerito un sistema per vincere gli Ebrei e cioè bisogna far sì che cessasse la protezione di Dio per loro. Il consiglio era quello di indurre in errore gli Ebrei, che, sbagliando, avrebbero perso la protezione di Dio. Ma Oloferne non gli credette e lui si mise dalla parte degli Ebrei. Si dice che questo Achior si sia poi convertito all'ebraismo.
Al di là della trama, per noi è difficile collocare questa vicenda in un preciso contesto storico. Anche il nome Nabucodonosor potrebbe non riferirsi a un personaggio specifico, ma voler indicare in generale un re babilonese, un re assiro o babilonese; è un po' come se si dicesse, in generale, Faraone.
Qualcuno colloca questa vicenda ai tempi del re Menashé, circa 800 anni prima dell'Era vogare; qualcun altro la colloca al tempo dei Maccabei, 150 anni prima dell'Era volgare. Qualcuno ancora la colloca al tempo dei Romani. Altri dicono che è tutto inventato e che questa storia ricalca la vicenda di Ester e la racconta in altra versione. L'eroina Giuditta è ortodossa, retta, fedele, mentre Ester non lo era affatto. Giuditta salva il suo popolo non attraverso atti di assimilazione, come ha fatto Ester, ma con atti di eroismo. Di solito, quando il popolo ebraico è in gravi difficoltà, vediamo gli uomini in preda al panico, incapaci di muoversi, mentre sono le donne a entrare in azione. Giuditta ha fatto quello che avrebbero dovuto fare gli uomini, esponendosi a un grande rischio. Vi ricordate di Giaele, per esempio, che buca la testa a un comandante nemico con un picchetto della tenda? O di Debora?
Ma lo stesso è fin dall'inizio, con Eva. Adamo fa una brutta figura, perché, se dipendeva da lui, noi saremmo ancora al giardino terrestre. Forse era una vita più comoda, ma con meno responsabilità. E' Eva a muoversi, è lei a sedurre Adamo, a sua volta sedotta dal serpente. Dal fatto che Adamo ha accettato il frutto proibito, è cambiato tutto: intanto è stato inventato il lavoro e l'uomo ha dovuto iniziare a procacciarsi il sostentamento da sé e inoltre è nata la morte. Se Adamo fosse rimasto nel paradiso, prima o poi, più o meno casualmente, avrebbe mangiato il frutto dell'albero della vita e sarebbe diventato immortale: nulla facente e inconsapevole. Quindi sarebbe stato una specie di vegetale. La moglie, spinta da desiderio di novità, di cambiamento, lo induce a fare delle cose che non avrebbe dovuto fare. Cos'ha fatto la moglie? Ha fatto delle cose partendo dalla sua iniziativa, ma tutto fa pensare che sia stato il Padre eterno a portarla in quella direzione. Si è comportato male, Dio! Perché ha detto delle cose che non erano vere: "Se mangerete il frutto, morirete!". Non era mai morto nessuno. Cosa vuol dire? Cos'han capito, loro? E poi quell'albero della conoscenza del bene e del male era nel centro del giardino; lo vedevano in tutti i momenti. Mentre l'albero della vita era disperso non sappiamo dove, quello era lì e il fuoco della loro attenzione era sempre su quell'albero. Dio gliel'ha messo come una provocazione, quasi a dire: "Mangialo, cosa aspetti!". L'uomo da se stesso si è fatto il suo destino di non essere immortale e di essere consapevole, ma Dio ha dato una buona spinta.
Ho parlato di Adamo ed Eva, ma anche nel caso di Sara, non è forse lei che decide cosa si fa o non si fa, mentre Abramo obbedisce. La stessa cosa vale per la moglie di Mosè o per le figlie di Zelofcad, di cui si parla nel libro dei Numeri. Troviamo i nostri Ebrei nel deserto, che, non essendo contenti della vita di fatica e nomade, propongono di tornare indietro, in Egitto. Se fosse dipeso dai maschi, la tendenza era quella di tornare nella schiavitù piuttosto che andare verso una terra nuova e sconosciuta. Ma mentre gli uomini hanno questi pensieri, le donne vanno da Mosè con ben altre istanze, infatti chiedono come si dovranno dividere la terra nella quale entreranno. Loro anticipano ampiamente gli uomini, pensando già alla modalità dello stanziamento.
Forse anche nella vicenda di Ester e di Giuditta possiamo ritrovare la stessa dinamica; è Ester che salva il popolo ebraico, seducendo con la sua bellezza il marito pagano; così come è Giuditta che salva il popolo con la sua bellezza, ma uccidendo il nemico, rimanendo fedele al marito morto.
Quando accadono cose gravi, c'è sempre un intervento di Dio, che però spesso si fa presente attraverso le donne.
Anche per questo aspetto il libro di Giuditta è molto. Come già accennavo, la maggior parte degli interpreti Ebrei attribuiscono questo scritto al tempo dei Maccabei, ma altri studiosi dicono che non ha, in realtà, un riferimento a un periodo storico preciso, ma si vuole presentare una tesi. Tenete conto di questo: non cercate nei libri biblici la storia, perché il concetto della storia è lontanissimo dal semita. Le storie sono belle da raccontare, ma è difficilissimo trovare un nesso tra i fati storici e quello che viene raccontato nei libri biblici. Essi infatti trasmettono delle storie in qualche modo manipolate, a scopo buono, per ricavare da queste storie una morale che vada bene anche per noi oggi. A nessuno, nei tempi antichi, interessava la descrizione di quello che è capitato, anche perché cosa sia successo davvero è difficile saperlo.