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I luoghi di culto ebraico
(Rav Luciano Meìr Caro)
Sembra di poter dire che l'ebraismo tradizionale rifugge da questo concetto di "luogo santo", perché non ci sono dei luoghi che presentino una maggiore valenza spirituale rispetto ad altri luoghi. Questo è anche in linea con il concetto biblico, che presenta una continua polemica nei confronti di qualsiasi forma di idolatria: noi non dobbiamo attribuire valenza di santità o sacralità a niente altro se non a Dio. Il testo biblico è abbastanza chiaro a questo riguardo; guardate il passo subito successivo al brano dei dieci comandamenti (Esodo 20) e troverete queste parole: "Non farete con me divinità d'argento e divinità d'oro; non ve ne dovete fare". Viene ribadito il divieto non solo di adorare, ma anche di costruire idoli. C'è stata una lunga disquisizione degli esegeti ebrei e non sull'espressione: "Non farete con me divinità …"; vuol dire che è proibito lavorare insieme a Dio per fare degli idoli? Oppure vuol dire che è proibito fare degli idoli da adorare insieme a Dio? Tra l'altro è di difficile comprensione anche il fatto che questo comando viene scritto subito dopo un lungo passo nel quale si vietava qualunque forma di idolatria; allora che necessità c'era di ripeterlo ancora? Ma andiamo avanti. Al versetto 24 si legge: "Farai per me un altare di terra e sopra offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione"; credo che il significato sia questo: "Se hai bisogno di un luogo per celebrare una forma di culto - gli antichi non riuscivano a concepire il culto al di fuori delle forme sacrificali - devi farti un altare di terra" e adopera l'espressione adamà che significa "terra, terriccio", quasi a sottolineare la semplicità richiesta. Continua: "In ogni luogo dove io farò ricordare il mio nome, io verrò da te e ti benedirò"; sembra che voglia dire: "Tu fatti tutti gli altari che vuoi, ma tieni conto che dovunque venga ricordato il mio nome, lì c'è la benedizione di Dio". Indipendentemente dal luogo sacro, la montagna sacra, la sinagoga, la cattedrale, la moschea, ecc. Dio è dappertutto.
Di seguito, poi, c'è una frase altrettanto problematica: "Se tu mi costruirai un altare, non devi costruirlo con pietre squadrate".La pietra squadrata si lavora con il metallo e il metallo è simbolo di guerra e non possiamo usare un simbolo di guerra in qualcosa che è deputato al culto di Dio.
Al versetto 26 è detto anche: "Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perché là non si scopra la tua nudità". Questo perché il movimento delle gambe fa in modo che le parti intime del sacerdote possano essere a portata visiva dei gradini. Non era più semplice che dicesse: "I sacerdoti si mettano le mutande, se devono fare il culto"? Cosa significa che il testo della Torà ci viene a dire che c'è qualcosa di male che le mie parti intime siano a contatto visivo con dei gradini? Non riusciamo a capirlo, probabilmente perché siamo molto lontani dalla mentalità del tempo. Comunque a Gerusalemme, nel tempio, la parte che il sacerdote doveva percorrere per salire all'altare era un piano inclinato, senza gradini. C'è una teoria che afferma che probabilmente il testo biblico ci vuole allontanare da forme di culto pagano dell'antico oriente, Egitto, Mesopotamia, ecc.; tali forme prevedevano che il sacerdote facesse certe cose da nudo. Si dice che il Faraone, quando si toglieva gli abiti regali per rivestire quelli da sacerdote per le celebrazioni, rimaneva solo con un piccolissimo perizoma. Allora non è che ci sia niente di male se una pietra, un gradino entra in contatto visivo con le mie nudità, ma questo era un richiamare dei culti pagani, aborriti da Israele. Sembra che voglia dire così, ma non ne sono sicuro.
Se si va avanti nella lettura del testo biblico, sembra di arrivare a un paradosso, perché ci sono quattro brani biblici abbastanza corposi, interrotti da un altro brano che sta nel mezzo, dove vengono date le disposizioni per la costruzione del mishkàn, cioè il tabernacolo; si tratta di una struttura portatile in legno e in stoffa, che gli ebrei hanno avuto l'incarico di costruire dopo l'uscita dall'Egitto e di trasportare nel loro viaggio, in quanto luogo dove celebravano il loro culto. Questi quattro brani di descrizione sono costituiti da circa 600 versetti, un decimo di tutto il Pentateuco. Di solito leggiamo questi brani con molto disinteresse, perché è un'elencazione di dati tecnici, dai quali non capiamo quasi niente; fra l'altro le stesse cose, quasi in maniera identica, vengono ripetute almeno due volte, ma forse anche quattro. Ci sono dei dettagli particolareggiatissimi, ma non viene mai data la visione d'insieme; quindi se volessimo realizzare noi questa struttura, potremmo fare bene tutti i singoli pezzettini, ma non avremmo idea di come si potrebbe montare. Un ritornello che si ripete spesso in questi 600 versetti è questo: "Mosè, fa' bene attenzione di constatare che la realizzazione di queste cose sia tale quale ti è stata mostrata sulla montagna". Ricordate che Mosè era rimasto sul monte Sinai 40 giorni e 40 notti e aveva ricevuto le tavole dell'Alleanza e sembra che abbia anche visto un modello del mishkàn; in seguito lui ne affiderà la costruzione a degli artigiani. Ci sono una serie di problemi spaventosi per capire queste cose. Leggiamo in Esodo 25, 3-8: "Ecco che cosa raccoglierete da loro come contributo: oro, argento e rame, tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra, pelle di montone tinta di rosso, pelle di tasso e legno di acacia, olio per il candelabro, balsami per unguenti e per l'incenso aromatico, pietre di ònice e pietre da incastonare nell'efod e nel pettorale. Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro". Notiamo questo ultimo versetto, perché Dio non dice che risiederà in quel santuario, ma che risiederà in mezzo a loro. Il Santuario non è la casa di Dio, ma la dimostrazione di qualche cosa, per dimostrarci che Dio è in mezzo a noi.
Un altro problema è questo: si tratta di gente che è uscita dall'Egitto da qualche settimana, dove erano stati schiavi per almeno 200 anni. Dove l'avevano presa tutta quella roba? Argento, oro, pelli pregiate, incensi, ecc. Io credo che sarebbe difficile anche oggi trovare tutto ciò nei supermercati. Eppure il testo ci dice che - forse è stata questa la prima ed unica volta nella storia ebraica - a questa sollecitazione di portare le offerte, tutti hanno risposto con grandissimo entusiasmo, tanto che Mosè ha dovuto fare un proclama per dire di non portare più niente, perché c'era troppa roba. Questo ci offre un'immagine del popolo ebraico tutta diversa da quella che avevamo pensato; noi immaginavamo una turba di schiavi, di gente depravata e invece non è così. Qualcuno dice che quelle cose le avevano prese dagli Egiziani prima di partire; ammesso che sia così, non è possibile che avessero presso di sé tutto quel materiale. Ad esempio le tinture erano un prodotto molto pregiato nell'antichità.
Come mai viene data la disposizione di costruire questo tabernacolo, il mishkàn; questo termine viene dalla stessa radice da cui proviene anche la parola shekinà, termine adoperato dalla mistica ebraica per indicare la presenza di Dio. Shekinà vuol dire propriamente residenza e si intende in questo senso: noi percepiamo la presenza di Dio che risiede in mezzo a noi.
Ma questo bellissimo tabernacolo, che poi è stato costruito, è stato elevato, con tutti i particolari, non è in contrasto con quello che abbiamo detto? Tutta questa struttura era costituita da pali piantati per terra, uniti da stoffe preziose e tessute con dei disegni, trapuntate con raffigurazioni e questo creava un grande recinto, che veniva innalzato quando il popolo arrivava in un luogo e poi smontato alla partenza. In mezzo a questo grande cortile c'era una struttura più piccola, sempre in legname e tela; davanti stava la menorah e dentro il tavolo dei pani di consacrazione. Vi era poi una parte ancora più interna, quella più sacra di tutte, dove veniva posta una cassetta che doveva contenere le due tavole con i comandamenti; al di sopra c'era un coperchio e sopra il coperchio i cherubini. Quindi tutta questa struttura era focalizzata sul contenitore delle tavole dei comandamenti. Dentro la tenda i sacerdoti compivano gli atti di culto, soprattutto di sacrificio e recitavano le preghiere, anche insieme al popolo.
Questo era il luogo e di preghiera per il popolo ebraico durante i quarant'anni nel deserto; arrivati poi in Israele, trasportarono questa struttura in una località di Israele. In seguito ci sono state varie vicissitudini, durate quasi 200 anni, durante i quali non si sapeva bene dove collocarla, perché qualcuno la voleva, altri no, perché era una responsabilità gestire questa realtà. A un certo momento, durante un conflitto con i Cananei, qualcuno ha avuto la bella idea di servirsi del tabernacolo a mò di carroccio, per portaselo con sé in guerra, pensando che, essendo la casa di Dio, avrebbero avuto la vittoria assicurata. Invece non solo Israele ha perso la guerra, ma la struttura è stata fatta prigioniera dai Filistei. Era una bella lezione! Quella non era la casa di Dio, un oggetto tale che potesse garantire la protezione di Dio; era una forma di idolatria, questa. Il testo biblico dice che i nemici, però, dal momento in cui hanno portato nel territorio l'arca di Dio, hanno subito varie disgrazie e così se ne sono sbarazzati, caricandolo su dei carri trainati da buoi, i quali, miracolosamente, l'hanno riportato in territorio ebraico. Andiamo avanti con la storia.
Arriviamo al periodo di Davide, il quale dà una conformazione politica al nuovo stato facendo di Gerusalemme la nuova capitale; si sceglie un posto importante strategicamente, sia dal punto di vista militare che dal punto di vista interno. Dovete sapere che gli ebrei sono sempre stati connotati da un forte senso di individualismo; fin da quei tempi erano divisi in 12 tribù, che non andavano d'accordo per niente tra di loro. Si cominciò a pensare alla necessità di unificare lo stato, ma non era facile; da qui nacque l'idea di collocare la capitale in un luogo tale che fosse come il baricentro di tutto, che non desse troppo fastidio: fu scelta Gerusalemme, perché era posta sul confine tra la tribù di Giuda, che era la più importante e quella di Beniamino, che era la più piccola. Così nessuno poteva dire che la capitale era nel suo territorio.
A livello esterno, invece, la posizione di Gerusalemme, era il baricentro geografico della terra di Israele ed era facilmente difendibile. Davide aveva anche pensato che fosse lì il luogo dove costruire un santuario, che sostituisse la struttura provvisoria del tabernacolo e che desse la garanzia di una centralità anche religiosa della capitale. Sappiamo che Dio, apparendo a Davide in sogno, gli disse che non sarebbe stato lui a costruirGli il santuario, perché era stato un uomo di guerra, ma suo figlio Salomone. E così fu. Quindi il santuario sorge attorno all'anno 1000 a.E.v. Sembra che fosse costruito con legname pregiato, che Salomone fece importare dal Libano. Per fare questo, però, il re volle anche inviare suoi uomini perché venissero istruiti nella lavorazione del legno, i quali, poi, tornarono indietro assieme a specialisti fenici, coi quali si diedero alla costruzione del santuario. Ma Salomone si accorse che i fondi non gli bastavano e così aumentò le tasse; facendo ciò, commise un grandissimo errore e cioè aumentò di molto le tasse a tutte le tribù, eccetto alla tribù di Giuda, la sua. Da qui nacque una grande ribellione, che contribuì alla divisione del regno. Al di fuori di questo c'era stato anche un altro atto di poca saggezza da parte di Salomone: non bastando nemmeno l'aumento delle tasse per pagare i debiti, ha dato in cessione ai nemici sei città di confine. Queste storie ve le racconto, perché sono molto umane e vicine alla realtà nostra; tutti quelli che hanno il denaro, si comportano così, in qualche modo. I nostri eroi, Davide, Salomone, ecc. ci vengono presentati sotto questi aspetti molto umani.
Il santuario, che venne poi costruito, pare fosse qualcosa di straordinariamente bello. Quando si parla di santuario, il Bet hamikdàsh, cioè luogo della consacrazione, bisogna intendere un grande cortile quadrangolare, coi lati di circa 1200 metri, circondato da un muro di cinta. All'interno di questo cortile entrava la gente per pregare; poi vi era un altro cortile, molto più piccolo, anch'esso cinto da recinzioni, in cui venivano offerti i sacrifici; ancora all'interno vi era un'altra struttura molto più piccola, che era una stanza, dove veniva custodita la cassetta che conteneva le tavole dei comandamenti; qui entrava solamente il sommo sacerdote, una volta all'anno, nel giorno di kippùr. Il muro grande esterno, però, era costituito da una serie di edifici, nei quali c'era di tutto, cioè la vita pulsante della nazione: i tribunali, gli ospedali, i laboratori, ecc. Quindi la distruzione del santuario voleva dire la distruzione delle strutture politiche, amministrative del paese. Nel 586 a. E. v. il santuario fu distrutto dai Babilonesi, che conquistano Gerusalemme; forse non l'hanno distrutto deliberatamente, ma sembra che sia andato a fuoco nel corso delle operazione belliche, perché era di legno. Sembra anche che il re di Babilonia non fosse interessato alla distruzione del santuario, ma che sia stato un suo ufficiale a pingere in questo senso, perché aveva capito l'importanza di quel luogo.
Dopo la distruzione, gli ebrei vengono portati in esilio in Babilonia, da dove tornano 70 anni dopo e costruiscono il secondo tempio, questa volta di pietra, anche perché i fondi era straordinariamente bassi. Le Cronache raccontano che coloro che aveva assistito all'inaugurazione del primo tempio, alla vista di questo secondo tempio così povero, piansero. Questo secondo santuario è durato fino circa all'anno 70 E. v , quando i Romani lo distrussero. Sappiamo poi che su quella spianata successivamente è successo di tutto: invasioni a non finire, costruzioni ad oltranza di luoghi di culto di altri popoli, i Romani, i bizantini, gli Arabi, i cristiani, fino alla moschea di 'Al Aqsa, che è ancora oggi attiva.
Distrutto il santuario, gli ebrei l'hanno sostituito con la sinagoga, cioè un luogo deputato per trovarsi, per poter fare assieme quelle cose che di solito si fanno assieme con serietà: una lezione, un dibattito, un concerto, una preghiera. Quindi la sinagoga nostra è una pallida reminiscenza di quello che era il santuario a Gerusalemme. Questa è la storia tracciata un po' rapidamente.
Torniamo indietro alla famosa mishkàn, che accompagnava gli ebrei nel deserto, perché tutto trae origine di lì. Ci sono delle problematiche molto ampie. Vi dicevo: in un primo momento a Mosè, che è sul Sinai, viene dato l'ordine di far fare questo, questo e quest'altro. Poi si parla anche del vitello d'oro, fatto dagli Israeliti proprio appena dopo che era stato ordinato loro di non farsi idolo alcuno. Mosè spezza le tavole e poi torna sul monte e ne riceve delle altre. Subito dopo il racconto del vitello d'oro, la Bibbia ci presenta altri due lunghissimi brani, di 7, 8, 10 capitoli, nei quali ci viene riferito, quasi con le stesse parole della prima volta, come hanno fatto a realizzare il tabernacolo. Prima dice: "Fai così, fai così…." e poi dice: "Fecero così, fecero…". Dopo la costruzione, viene presentato tutto a Mosè, il quale constata che le singole cose erano state fatte secondo le disposizioni da lui date e secondo il modello che aveva visto sulla montagna e ancora viene ripetuto tutto come prima.
Tutto questo ci lascia abbastanza perplessi. Ci sono alcune ipotesi al riguardo. Una afferma che la decisione di costruire il tabernacolo è stata immediata da parte di Dio; un'altra ipotesi afferma che invece Dio non ci pensava affatto, ma che le disposizioni per la costruzione siano state date dopo l'episodio del vitello d'oro, in quanto Dio si accorse che il popolo aveva bisogno di qualcosa di materiale, da poter toccare e guardare, per poter concepire la divinità. Così Dio è venuto loro incontro, facendo questa concessione alla materialità dell'uomo. Un'altra ipotesi dice che, in realtà, lo scopo del tabernacolo, è quella di rappresentare idealmente il monte Sinai, il luogo santo in cui gli ebrei avevano ricevuto in forma clamorosa la legge; c'era la paura che, allontanandosi geograficamente da quella zona, si dimenticasse anche il messaggio e così venne creata una struttura che potesse ricordare loro, dal punto di vista emozionale, il monte Sinai.
Qualcuno dice ancora che il tabernacolo non è altro che la rappresentazione del cosmo; se guardate i singoli elementi, potete accorgervi che sono una rappresentazione in terra di quello che c'è nella natura e poter vedere il cosmo rappresentato nel tabernacolo, porta ad incontrarsi con la sovranità di Dio. Il tabernacolo è stato fatto da esseri umani con tecniche precise, a sottolineare che l'universo non esiste per caso, ma così come il tabernacolo fatto dagli uomini è stato realizzato con uno scopo, una tecnica, un piano, allo stesso modo l'universo ha un piano, ha degli scopi, concepiti da una mente superiore.
Qualcun altro dice che il tabernacolo è una rappresentazione dell'uomo: se guardi il tabernacolo, vedi l'uomo nelle sue componenti. Ma per scoprire questi misteri, occorre accostarsi al testo.
Un ultima interpretazione - che è quella che a me piace di più, dal punto di vista filologico - dice che se si legge tutta la descrizione, sottolineando bene i termini che vengono adoperati e anche le forme verbali usate, si scopre un'analogia profondissima con il primo capitolo della Genesi. Solo per darvi un esempio: "E Dio vide che la luce era buona …" e avanti di questo passo. Sembra che Dio si accorga che le cose erano buone solo dopo che le aveva create; ma Lui non lo sapeva forse ancor prima di crearle che sarebbero state buone? Se voi guardate la descrizione finale del tabernacolo, si dice: "Gli artigiani portarono a Mosè la dimora, la tenda e tutti i suoi accessori … Mosè vide tutta l'opera e riscontrò che l'avevano eseguita come il Signore aveva ordinato. Allora Mosè li benedisse". (Esodo 39, 33-43) Vediamo che le espressioni sono perfettamente corrispondenti al racconto della Genesi. Cosa potrebbe insegnare tutto questo? Che così come Dio ha creato l'universo, secondo certe modalità, anche l'uomo è chiamato a collaborare nella creazione facendo qualcosa di analogo; Dio è creatore, anche noi dobbiamo essere creatori. Dobbiamo dedicare la nostra vita a qualcosa di valido. Il tutto, creato da Dio, adesso è nelle nostre mani e dobbiamo gestirlo con senso di responsabilità, poiché a noi è stato affidato. Uno dei passi forse più difficili per capire tutta la questione è quello sui cherubini. Cosa sono i cherubini? Il testo ebraico adopera l'espressione cheruvìm che noi traduciamo con cherubini per disperazione e dice che c'era un'arca, cioè una cassetta, che conteneva le tavole dei comandamenti, sopra c'era un coperchio, fatto di una lastra d'oro di un pezzo unico con due strutture sopra, chiamate appunto cherubini; di queste due strutture si dice che si dovevano guardare l'un l'altra e che avevano, pare, due paia di ali, messe in modo che si incontrassero tra di loro. L'interpretazione ufficiale è che si tratti di due figure umane, quasi a sottolineare che siamo noi gli angeli chiamati a custodire le tavole della Legge. L'applicazione della Legge consiste in due uomini che si guardano: io devo guardare il mio fratello, in condizioni di uguaglianza - le due figure erano uguali! - E questo potrebbe essere lo scopo degli esseri umani nella vita; il progetto di Dio per l'uomo è quello che egli stia di fronte a un altro e di guardarlo, in condizioni di parità.
Tutto questo è molto bello, però non so se corrisponde al significato del testo, perché tutto questo trae origine dall'interpretazione che queste due strutture fossero state di forma umana, ma il testo non ne parla; parla di ali, di strutture che si guardano l'un l'altra, ma non necessariamente con la faccia. Degli studi fatti a questo proposito sostengono che la parola cherùv, cheruvìm è un termine semitico, precedente l'ebraico, che non designava tanto l'angioletto (concetto, tra l'altro, tratti dall'iconografia, che è solo un'interpretazione degli autori) e nemmeno le figure umane, ma le nuvole trasportate dal vento; dunque un qualcosa che, secondo la mitologia sumerica-babilonese- non è altro che il piedistallo del trono di Dio, perché questo per loro erano le nuvole. Allora, se le cose stanno così, tutta l'interpretazione non vale più, perché non si tratta più di figure umane, ma di strutture che rappresentavano le nuvole, il cielo, in qualche modo, con questa lezione da parte di Dio: "I vostri partner contemporanei pensano che Dio sia un qualcosa che sta seduto nel cielo sulle nuvole, ma Io vi faccio vedere che ci sono le nuvole, sì, ma sopra non c'è un bel niente, perché Dio non ha trono e non ha figura". Quindi ancora una volta potrebbe essere il messaggio di non voler rappresentare la divinità.
Torno indietro un istante, ai cherubini fatti a forma umana. Se davvero sono forme umane, allora siamo in contrasto con l'insegnamento biblico, perché Dio ha detto di non fare immagini o sculture. Si tratta di un ulteriore lezione polemica che il testo biblico fa nei confronti dell'idolatria. Cos'è l'idolatria? L'idolatria consiste nell'attribuire a un qualcosa di umano, di materiale, una valenza divina: la montagna sacra, il luogo sacro, la cattedrale, il tempio. E si dice: "Lì c'è Dio" e invece non è così. Lo stesso vale per le pietre, gli amuleti e tutte queste cose fanno parte della stregoneria. Il testo biblico non parla mai di Dio, parla del divieto di adorare qualcosa al di fuori di Dio. Lo stesso capitolo della Genesi, in cui si parla della creazione dell'uomo, non ha lo scopo di insegnarci che Dio ha fatto la luna, il cielo, ecc., ma forse vuole insegnarci che tutte queste cose, alle quali la gente attribuisce valore di sacralità, sono state tutte create da una mente unica, quindi non ti venga in mente di adorare il sole, il mare, ecc. perché tutto è stato fatto da Lui.
Quindi si può riscontrare nella Bibbia tutto un insegnamento trasversale di lotta contro l'idolatria, che può riguardare delle strutture materiali, ma anche delle idee. Tante volte noi idolatriamo delle idee e attribuiamo a una certa idea, giusta o sbagliata che sia, una valenza assoluta, mentre di assoluto c'è solo Dio. Qualcuno dice, poi, che neanche alla lotta contro l'idolatria dobbiamo attribuire valore assoluto. Quindi il testo sembra voler dire che bisogna fare due figure così come Dio ha detto e comandato di fare, senza farsi domande o interpretare; quello che dice Dio, è Legge e io lo devo fare, che lo capisca o no.
Comunque resta sempre il fatto che tutto è molto difficile da comprendere, soprattutto per noi che siamo impregnati di cultura occidentale. Questo è il concetto che noi abbiamo di luogo di culto, che noi interpretiamo soprattutto come luogo di riunione. Ogni ebreo prega dove gli pare; è consigliabile il farlo in sinagoga, non perché le preghiere fatte in sinagoga siano più accette a Dio, ma perché lo stare insieme è positivo. Lo stare insieme ci dà più coesione e una maggior comprensione di quelle che sono le esigenze dell'uno nei confronti dell'altro; non si può vivere in questo mondo da soli, ma dobbiamo imparare a convivere. Questo è lo scopo del luogo di culto. Ma nessuno pensi che quella sia la casa di Dio; non esiste la casa di Dio. Sono molto significative le invettive pronunciate dal profeta Geremia contro questo concetto. Geremia apparteneva alla generazione che ha visto la distruzione del santuario ad opera dei babilonesi e lui è stato messo anche sotto processo, perché nel cortile del santuario di Gerusalemme proclamava: "ma cosa pensate: che questa sia la casa di Dio e che Dio non vi punirà solo perché c'è questo santuario è in mezzo a voi? Questa casa sarà distrutta, come Dio può distruggere tutto quello che gli pare e piace!". Per i benpensanti del tempio questa era una profanazione che meritava la galera.
Il testo biblico usa il termine miskàn per indicare il santuario, oppure, a volte, dice òhel moèd , che vuol dire tenda del convegno, perché pare che Mosè avesse, da quelle parti, il suo incontro con Dio. Quando dico tenda, è una deformazione di traduzione, perché non bisogna pensare a una tenda nel senso nostro, ma vuol dire una struttura provvisoria; tant'è vero che la parola òhel è entrata anche nelle nostre lingue attraverso il latino: aula, cioè un locale coperto, provvisorio, che può essere fatto di frasche, pelle, qualcosa da buttare via, che è solo provvisoria.