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MOSHÈ MAIMONIDE
(rav Luciano Caro)
Moshè ben Maimon è stata una delle figure più rappresentative della cultura ebraica, ma anche oggetto di polemica. Si sta affrontando di nuovo il problema di questo grandissimo personaggio anche per una questione di calendario, nel senso che egli è morto nel 1204 - 1205 e quindi dovremmo celebrare il centenario.
Nell'immaginario collettivo ebraico Maimonide è l'autore di due delle opere fondamentali dello scibile ebraico, anche se ne ha composte molte altre, assolutamente da non sottovalutare e in più si è dedicato a diverse attività importanti. Era un giurista, ma soprattutto un medico e un filosofo.
Le due opere fondamentali su accennate sono il "Mishné Torah", che significa "Ripetizione della Torah" e che è un grandissimo codice, forse il primo e più completo codice di normativa ebraica che sia mai stato composto; ancora oggi studiatissimo e usato nella vita quotidiana.
L'altra opera è il "Moré nevuchìm", cioè la "Guida degli smarriti"; moré significa "maestro" e i nevuchìm sono i "perplessi", gli "smarriti". Si tratta forse del più noto testo di filosofia ebraica.
E' nato a Cordova, in Spagna nel 1136, in ambiente dominato dall'islamismo. In quel tempo la dominazione era diventata una vera e propria persecuzione, per cui la sua famiglia fu costretta a lasciare la Spagna, quando lui sembra avesse 12, 13 anni. Dopo una peregrinazione per il bacino del Mediterraneo, presumibilmente hanno toccato Israele, ma poi finalmente si sono stabiliti in Egitto verso il 1160; lì Maimonide è diventato il medico di corte del sultano egiziano.
La prima opera da lui scritta è un breve trattato sulla logica, nel 1154, che dimostra già le sue capacità nel campo della filologia e filosofia.
Sembra che la famiglia vivesse dei proventi del commercio di un fratello di Moshè, che faceva il commerciante all'ingrosso di pietre preziose; questo fratello, David, è morto in un naufragio sulle coste dell'India. Con la sua morte, la famiglia si è trovata priva dei mezzi di sussistenza, perché le sue pietre preziose erano affondate con lui in fondo all'oceano.
Così Moshè ha deciso di dedicarsi alla medicina, per guadagnarsi da vivere. Ma era un medico talmente bravo e illustre e famoso, che venne richiesto a corte.
Bisogna distinguere bene tra le notizie ufficiali, confermate, da quelle di carattere leggendario. Lui stesso racconta che la sua attività di medico gli portava via non solo la giornata, ma anche buona parte della notte, perché curare il sultano significava curare anche tutti i suoi funzionari e il suo harem di centinaia di donne.
Maimonide però non era contento di questa sua attività, perché voleva dedicarsi anche ai poveri, che non potevano pagarlo. Finita la sua attività a corte, lui riceveva i poveri e questo di notte; davanti a casa sua c'era una lunga coda. La sua cura, però, non si limitava solo ai corpi, ma arrivava fino all'anima dei suoi pazienti. Lui stesso racconta che quando tornava a casa a un orario ragionevole, cioè verso mezzanotte, era sempre stanco come una bestia e affamato, perché durante il giorno non aveva avuto il tempo di provvedere ad alimentarsi.
Nonostante fosse impegnato al massimo come medico, è riuscito a comporre delle opere di cultura ebraica che sono straordinariamente pesanti, nel senso che occorre per essa una notevole preparazione. Premetto che tutte le sue opere, tranne il "Mishné Torah" sono state scritte in arabo e poi tradotte in ebraico.
Forse una delle opere più sostanziose è il "Sirài" che pare, in arabo, significhi "luce, luminosità", che è un commento alla Mishnà. Non dimentichiamo che Maimonide ha avuto una vita abbastanza tribolata, un'attività notevole e questo alla metà del 1100, quando la stampa non c'era ancora e quindi già solo il procurarsi i manoscritti per studiare era una fatica non indifferente. Accingersi a commentare la Mishnà dev'essere stata una fatica enorme; e questa è solo una delle opere minori, rispetto alle altre due fondamentali.
Successivamente scrive il "Sefer hammitzvòt", il "Libro delle mitzvòt". Mitzvà è un termine tecnico che sta a indicare uno dei 613 precetti contenuti nella Torah. Identificare quali siano esattamente questi precetti non è così semplice, perché in alcuni casi è chiarissimo che si tratti di una mitzvà, positiva (fai) o negativa (non fare), ma in altri casi è molto difficile. Maimonide è il primo che si impegna in un serio lavoro di identificazione dei precetti. Ad es. ci domandiamo: tra i precetti ce n'è uno che imponga di credere in Dio? E' obbligatorio per un ebreo credere in Dio, oppure no? Ebbene, Maimonide discute di queste cose e poi dà una risposta piuttosto ambigua, perché forse nemmeno lui era convinto di certe cose. Tutto nella Bibbia ruota attorno alla consapevolezza dell'esistenza di Dio, ma rimaniamo sempre perplessi: come fa una norma a impormi una fede? Come si può costringere un ateo a diventare credente? Rientra questa cosa nella normativa, oppure no?
Per inquadrare il personaggio, bisogna tener conto di questo fatto: siamo nel periodo delle crociate, particolarmente doloroso per gli ebrei. Sappiamo che ufficialmente, anche se non era vero, le crociate sono nate come iniziativa del mondo cristiano per andare a liberare il Santo Sepolcro, che conteneva le spoglie di Gesù, che era stato ammazzato dagli ebrei. Le crociate han significato il verificarsi di enormi disordini in Europa, perché i crociati, prima di andare a liberare il Santo Sepolcro dai musulmani, voleva vendicarsi degli ebrei, che, secondo il pensiero diffuso, erano i responsabili della morte di Gesù.
Poi c'è stato lo scontro tra la civiltà islamica e quella cristiana; in mezzo c'erano gli ebrei. Per capire bene il nostro personaggio, bisogna tener conto di questo: fino alle crociate il mondo era molto più facile di quanto sia stato dopo, perché dal punto di vista ebraico, l'umanità era divisa in due grandi categorie: gli ebrei e tutti gli altri, cioè i pagani. I cristiani pensavano all'incirca le stesse cose: ci siamo noi, i cristiani, i portatori della verità e poi ci sono tutti gli infedeli, i pagani, gli ebrei, i musulmani. Poi c'erano i musulmani che erano convinti di avere la vera verità, mentre gli altri non avevano capito niente. Le crociate, quindi, oltre a portare tutto il dramma della guerra, hanno scatenato questo processo complicatissimo di contatto fra questi tre mondi così diversi e distanti. La gente ha cominciato a porsi dei problemi di identità. Ecco perché Maimonide scrive "La guida dei perplessi"; i perplessi, gli smarriti erano gli ebrei del suo tempo, i quali, venuti a contatto con una realtà diversa da quella che loro pensavano, si domandavano: "Ma allora, ebrei, cristiani e musulmani sono tutti la stessa cosa? Dov'è la differenza?". Nel suo testo, non facile, che si presenta sotto forma di commento alla Bibbia, ma poi parla di tutt'altro, egli mette dei punti precisi sulla dottrina ebraica e su quali sono le differenziazioni tra l'ebraismo e le altre realtà. I suoi testi non sono per niente facili, ma lui stesso diceva chiaramente che preferiva scrivere qualcosa in cui lui credeva fermamente, ma non facile da capire e che su mille persone la capisce solo uno, che ci si mette a studiare, piuttosto che dire delle cose banali che le capiscono in mille, ma non profonde.
Un'altra caratteristica di questo testo. Maimonide, ebreo, nato in un ambiente di cultura islamica, entra in contatto con la cultura cristiana e personalmente era innamorato della filosofia greca aristotelica e quindi cerca di mettere d'accordo la dottrina ebraica con l'aristotelismo, fin dove è possibile. C'è un punto, in cui lui deve dichiarare che non esiste contatto tra le due diverse concezioni ed è quello della creazione; la filosofia greca sosteneva l'eternità della materia - nulla si crea, nulla si distrugge - mentre Maimonide sostiene la creazione dal nulla per opera di Dio.
La difficoltà sta anche nel fatto che non sempre le traduzioni dell'arabo riescono a darci la verità di quello che lui ci ha trasmesso.
Nell'ambito della ricerca di risposte per gli ebrei che si sentivano smarriti e avevano bisogno di sapere qual era la discriminante tra ebraismo e non ebraismo, Mosè inventa i famosi 13 articoli di fede. In essi ci riconosciamo pienamente. Dio è, fu e sarà eternamente; qualunque forma di idolatria è proibita ed aliena dalla concezione ebraica; questo Dio si è rivelato mediante l'insegnamento del testo biblico, la Torah, che Dio non cambierà mai; Dio in un certo momento provvederà a giudicare le azioni dell'uomo, punendo i malvagi e premiando i buoni, realizzando la sua giustizia; l'essere umano è costituito da due parti strettamente intrecciate: la parte fisica e mortale e la parte spirituale non mortale; verrà un giorno - non sappiamo perché né come, in cui ci sarà una sorta di resurrezione dei defunti, l'anima sarà riavvolta in una forma corporale; verrà il giorno in cui Dio manderà il Messia, qualcuno che ripristinerà l'armonia tra Dio e gli uomini.
Non ve li ho detti tutti, ma non cambia niente.
Tutti gli ebrei si sono sempre riconosciuti in queste cose, ma quando lui le ha messe per iscritto, è successo un putiferio, perché si faceva fatica ad accettare che un uomo avesse messo dei paletti da cui non si poteva uscire, per definire la dottrina ebraica. Chi era lui per poter fare questo? E se io, che sono ebreo, ma non credo in uno di quei punti, chi sei tu per giudicare che non sono dentro la cultura ebraica? Gli ebrei hanno sempre rifuggito dalle schematizzazioni. Cioè è come se dicessero: "Mi va bene quello che hai scritto, ma non mi va bene che l'hai scritto tu; o ci arrivo da solo, o non ci arrivo. Nessuno me lo deve imporre".
Nella "Guida degli smarriti" e nel suo codice, il "Mishné Torah" c'è una formulazione diversa per quanto attiene al concetto di Dio. Nel codice comincia dicendo: "Fondamento dei fondamenti e colonna delle colonne è conoscere che c'è un Dio unico creatore del mondo". Le prime quattro parole iniziano con le quattro lettere del sacro Tetragramma; un artifizio adoperato poi da molti letterati. Non parla di credere in Dio, ma conoscere! Conoscere, dal punto di vista ebraico, ha una connotazione tutta speciale. Quando dico conoscere in italiano, vuol dire apprendere qualche cosa che prima non sapevo; mentre questo verbo nell'accezione biblica significa compenetrarsi in qualche cosa. Adamo conobbe Eva, perché la compenetrò; non solo nel corpo, ma anche negli spiriti, che diventano un'unità. Questa è la conoscenza biblica: compenetrarsi in maniera totale da tutti i punti di vista. Questo intende Maimonide rispetto al nostro rapporto con Dio; questa conoscenza, che è il fondamento di tutto, è ancora più importante della fede. Bisogna entrare in questo meccanismo mentale: studiarci sopra.
Anche la mistica ebraica, la cabbalà, dice che scopo della creazione dell'uomo da parte di Dio è quello di sollecitarlo a ripenetrare dentro di Sé; Dio crea l'uomo, perché egli lo cerchi, tanto da entrargli dentro, come in un rapporto di fusione amorosa. Dio, da dove si trova, porge una catena all'uomo, quasi a sollecitarlo ad arrampicarsi, per cercare di risalire verso Dio: questa è la concezione della mistica ebraica.
Il testo biblico, in realtà, non dice una parola di come dobbiamo rapportarci verso di Lui; non ci dice: "Sei tenuto a credere in Dio", mentre invece ci dice e ci ridice come dobbiamo mangiare, vestirci, camminare. Dio si rivela come colui che si è manifestato nella storia, colui che è intervenuto modificando la situazione di Israele, che era schiavo ed è stato liberato.
Viene da chiedersi come quest'uomo trovasse il tempo di elaborare uno scritto così difficile.Maimonide, come detto, compila un codice ebraico, in cui sono contenute tutte le norme ebraiche con una logica molto accidentale, che è molto lontana dalla logica semitica. I semiti, quando si esprimono su qualunque argomento, lo fanno per esemplificazioni, per esempi, mentre noi occidentali tendiamo a dare prima la regola. Vi faccio un esempio. Sapete che la circoncisione andava fatta ai bambini di sesso maschile; i testi precedenti e anche successivi a Maimonide, scritti in chiave semitica, si esprimevano in proposito in questo modo: "La circoncisione si può fare con qualsiasi oggetto: un pezzo di pietra, di metallo, di legno". Al che uno dice: "Scusate, ma cos'è la circoncisione?". Se vado avanti a leggere, trovo tutta la casistica se si può fare sempre col vetro, ad esempio, oppure no; allora non avevo capito? Lo stesso per i metalli: sì, si usano, ma a queste precise condizioni, eccetera. Insomma, finché non ho finito tutto il capitolo, non ho ancora capito con cosa si può fare. Si dà soltanto una serie di esemplificazioni, ma la regola non viene mai espressa; sono io che la intuisco, attraverso tutti i casi e gli esempi che mi vengono offerti.
Invece Maimonide prima spiega che cos'è la circoncisione e poi dà le varie normative. E' la prima volta che veniva scritto un trattato di questo tipo, così logico e comprensibile; è l'unica sua opera scritta in ebraico, con un linguaggio classico e semplice.
L'opera consta di 14 volumoni, suddivisi in vari settori a seconda delle regole che contengono: sui matrimoni, sul sabato, sul mangiare, ecc. E' l'unica opera giuridica ebraica assolutamente completa, che noi conosciamo; nel senso che contiene tutta la normativa ebraica in tutti i settori, anche in quelli che ai tempi di Maimonide non erano più in funzione da 1200 anni. Come funziona uno stato ebraico? Cioè come si eleggono i nostri rappresentanti, quali le prerogative del parlamento, di un eventuale re? O come funziona il santuario - che era stato distrutto nel 70 dell'era volgare - come dev'esser fatto, cosa fanno i sacerdoti?
Pensate che fino ai tempi di Maimonide una cosa del genere non esisteva; quindi un povero tapino ebreo che voleva sapere come ci si doveva comportare in certe situazioni, al di fuori delle cose eclatanti, come la norma che il sabato non si lavora, che tutti conoscono. Appena si presentava un problemino un po' più complicato, come ci si muoveva? Mediante il meccanismo dei quesiti. Un ebreo, che aveva dei problemi di carattere normativo, doveva scrivere una lettera a un rabbino spiegando la cosa e chiedendo cosa doveva fare. Si doveva indirizzare la lettera o al rabbino più vicino o a quello più noto, con una connotazione specifica: che chi indirizzava la lettera, implicitamente si impegnava ad accettare la risposta, senza poterla rifiutare. Ogni rabbino, ovviamente, rispondeva a seconda della sua formazione, sensibilità, punto di vista. Questo meccanismo è andato avanti per 700 anni. Con delle piccole difficoltà, dovute a problemi di posta, per esempio; magari la risposta arriva con ritardo, quando chi pone il quesito è già morto, oppure la risposta va perduta.
Un altro grande maestro, quasi contemporaneo del Maimonide, vissuto due generazioni prima di lui in Germania, il rabbenu Ghereshòn, stabilisce dei principi, riconosciuti poi da tutto l'ebraismo del mondo, le famose pakkanòt, che sono delle disposizioni. Una di esse diceva: "E' assolutamente proibito al latore di una lettera leggerla".
Maimonide per primo tenta di sostituire questo meccanismo con il suo libro, di modo che chiunque avesse una questione di carattere normativo potesse consultarlo e trovarvi la risposta.
Ma di fronte a questa opera una buona parte dell'ebraismo del tempo è insorta, accusandolo di due grosse colpe. Mentre la legge ebraica è molto articolata e su certi argomenti ci sono pareri diversi, lui fotografa sul suo libro quello che secondo lui è la norma; a lui non interessava fornire tutte le disquisizioni, ma una certezza. La critica è che lui si sia preso l'arbitrio di decidere qual era la norma, scegliendo a suo parere quale dovesse essere la norma; ma chi era lui per decidere fra i pareri diversi che circolavano?
La seconda critica è stata che lui era responsabile di una caduta intellettuale del popolo ebraico; perché dal momento in cui si poteva accedere a una risposta in modo facile, consultando la sua opera, le persone non si sarebbero più sforzate di trovare una risposta, studiando e indagando. Come se noi dicessimo oggi che le enciclopedie sono dannose.
Placate le polemiche l'opera di Maimonide ha avuto un successo enorme, tanto che ancora oggi è consultata per lo studio.
Accenno a un'opera secondaria: Iggéret hashmàt, che vuol dire "La lettera della conversione". Faccio una precisazione: data la grande competenza del Maimonide, la sua personalità aveva ottenuto una celebrità enorme, tanto che sembra che Riccardo Cuor di Leone, venuto a conoscenza della grande capacità di quest'uomo, l'avesse invitato a diventare medico della sua corte; invito, però, da lui rifiutato.
Maimonide era diventato un rappresentante dell'ebraismo, pur non avendo nessun incarico ufficiale; così molte persone si rivolgevano a lui per tantissime questioni, anche per il fatto che viveva a corte. Esistono molte lettere inviategli con domande e quesiti vari; alcune anche dall'Italia. A un certo punto gli arriva una missiva dallo Yemen, che gli presentava una questione molto delicata; la popolazione diceva di essere sotto una forma di ricatto e persecuzione da parte delle autorità islamiche di quel paese, le quali avevano posto gli ebrei di fronte all'alternativa o di convertirsi all'islam o di essere uccisi. La stessa cose che è poi avvenuta in Spagna nel 1490.
Maimonide si è trovato in una grandissima difficoltà, perché sapeva che le persone che gli aveva mandato la lettera avrebbero accettato pienamente quello che lui avrebbe loro scritto; se avesse detto di farsi ammazzare pur di non accettare l'islam, loro l'avrebbero fatto. Una responsabilità piuttosto forte! Bisogna capire una cosa che era successa prima. Sembra che durante i viaggi nel Mediterraneo, quando lui era ancora giovane e peregrinava con la sua famiglia, durante una traversata in una nave, dei pirati musulmani avessero assaltato la nave, depredando tutti i passeggeri e costringendoli alla conversione. Sembra che tutti i passeggeri della nave per salvarsi la pelle, avessero accettato la conversione all'islam. Quando poi sono nate tutte le polemiche riguardo le opere del Maimonide, sembra che qualche benpensante ebreo l'abbia denunciato alla capitale, appunto con l'accusa che il Maimonide avrebbe dovuto essere un musulmano. Dal punto di vista della shaarìa un tale che è diventato musulmano, nel caso che respinga l'islam, viene condannato a morte. Forse quest'accusa era anche vera.
Una corte islamica non poteva non eseguire la sentenza di morte contro di lui; ma lui era il medico di corte, aveva aderenze a corte. E allora? Come sempre si è adottata la via burocratica, cercando di procrastinare continuamente il processo, con varie scuse. Probabilmente in qualche corte egiziana ci sono ancora gli incartamenti del processo a Maimonide per abiura, che non è mai stato fatto.
Quindi quando ha ricevuto quella lettera dallo Yemen, quell'argomento lo riguardava fortemente e personalmente. Lui risponde con questa opera, forse una delle meno convincenti, perché si sente che è imbarazzato, sia dalla sua vicenda personale, che dalla responsabilità che aveva.
La sua risposta è che l'islam non può essere considerato un'idolatria, ma loro devono sostenere in ogni modo la loro identità ebraica. Per fuoriuscire dal ricatto delle autorità, devono tentare tutti gli espedienti: le buone, le cattive, la corruzione, il ritardo. Se non è possibile fare diversamente, non fatevi ammazzare, ma accettate l'islam, salvo poi la prima occasione che avete di andarvene e recuperare la vostra identità ebraica. Questo è il consiglio che lui ha dato e che gli ebrei yemeniti hanno accettato.
Un'altra lettera del genere gli è arrivata da ambiente cristiano, a proposito dei battesimi forzati. Qui i problemi sono più seri, perché la religione cristiana presenta, agli occhi di un ebreo, degli elementi di idolatria. Maimonide si muove male in questi campi. Consiglia di andarsene, ma non è era così semplice.
Ha scritto anche delle opere di medicina, molto apprezzate; in alcune di esse sostiene una forma di terapia psicosomatica, avvicinandosi alle scienze moderne. Altre cose, invece, rimangono un po' più in ombra: elementi riguardanti le diete, o alcuni suoi punti di vista nei confronti dell'attività sessuale. A suo parere l'attività sessuale fa sprecare inutilmente dell'energia, per cui deve essere finalizzata alla procreazione e perciò va esplicitata il meno possibile. Definisce l'organo sessuale maschile come quell'organo che se lo lasci privo di cibo, gli passa l'appetito, mentre se gli dai da mangiare, vuole mangiare sempre di più. Una delle motivazioni della circoncisione, secondo lui, è quella di diminuire l'appetito sessuale dell'uomo, perché rende l'organo meno sensibile. Tutto questo è in contrasto con lo scritto di un maestro contemporaneo, che non sappiamo chi sia, dal titolo Igghéret hakkòdesh, "La lettera della santità"; egli dice che l'attività sessuale, indipendentemente dalla finalità procreativa, ha un valore di per sé, quindi, più la pratichiamo, meglio è. Naturalmente entro la norma. Praticare l'attività sessuale è il più altro livello nell'avvicinarsi a Dio, perché anche Dio ha un'attività sessuale. In che senso? Dio crea, quindi tutte le volte che noi facciamo un qualche cosa, che può essere collegato con la procreazione, anche indirettamente, ci avviciniamo a Dio. E' un qualche cosa che ci dà soddisfazione e questa soddisfazione è un riconoscimento della bontà di Dio, che ha creato l'attività sessuale per il bene dell'uomo e se non la pratichiamo veniamo a respingere un regalo che Dio ci ha fatto. Quando Maimonide morì, furono proclamate settimane di lutto in tutto l'Egitto, perché godeva di grandissima reputazione fra tutta la popolazione, ebraica e non.
Non sappiamo quando o come, ma fu poi trasportato in Israele; ancora oggi a Tiberiade fanno vedere la tomba del Maimonide, ma io non ci credo.
Una specie di proverbio circolava in ambiente egiziano e diceva: se Mosè Maimonide si fosse occupato di curare la luna, le avrebbe sottratto le sue macchie. Cioè era talmente bravo che poteva perfino curare la luna.
Dal suo modo di vivere, dal suo atteggiamento nei confronti del paziente, potremmo trarre un grande insegnamento anche per oggi e riflettere su quale sia veramente la funzione del medico nei confronti dei suoi pazienti.
Quindi Maimonide ci appare un personaggio gigantesco sia come giurista, che come filosofo, come medico e come rappresentante della realtà ebraica nel bacino del Meditteraneo.