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La statua di Micha
(Rav Luciano Meir Caro)


L'autore del libro dei Giudici utilizza, a volte, alcuni fatti e immagini ridicole, per insegnarci qualche cosa. La cosa è trasparente: l'autore è un fautore della monarchia. Siamo nel periodo della storia ebraica in cui gli ebrei sono usciti dall'Egitto, hanno occupato, anche se solo parzialmente, la terra che Dio ha loro assegnato, e vivono divisi in tribù, cioè in 12 realtà diverse, costituite tutte da ebrei, ma ognuna di esse rimane, in qualche modo, indipendente. L'autore del nostro libro afferma che tutte le incongruenze che stanno capitando, sono dovute al fatto che "in quei giorni non esisteva un re in Israele". Non essendoci, dunque, un'autorità centrale, "ognuno faceva quello che gli piaceva". Un re, invece, metterebbe a posto ogni cosa, secondo il punto di vista dell'autore, che ci fotografa un marasma politico, ma anche culturale. In quel tempo, invece del re, governavano i cosiddetti Giudici, in Israele. Ma cos'è un Giudice? La parola ebraica shofét sta a indicare una persona che riveste un'autorità, che può essere politica, militare, amministrativa. Orbene, in quel periodo, ogni tribù e ogni famiglia faceva i fatti suoi, ma quando insorgeva un problema o un pericolo da parte di una realtà esterna, veniva nominato un capo che prendesse in mano le operazioni belliche, ma alla fine della guerra questo capo tornava a casa sua e qualche volta capitava che questa persona si era guadagnata talmente tanti meriti e stima che la gente continuava ad andare da lui a chiedere consiglio.
Ci sono stati dei tentativi, a qualcuno di questi personaggi è stato perfino proposto di diventare re, ma molto intelligentemente la risposta è stata negativa.
Se leggete questo libro dei Giudici vi rendete conto veramente di quale marasma ci fosse in Israele a quei tempi. Ma io vedo la cosa in senso positivo, perché questo ci fa pensare. La tradizione ebraica, l'insegnamento dovuto a Mosè, per decenni sono stati assolutamente misconosciuti. E allora come ha fatto a tramandarsi, a conservarsi, visto che per generazioni tutto questo è rimasto del tutto lettera morta? E' un miracolo! Nonostante tutto, nonostante il caos politico e culturale e l'idolatria imperante tra gli Ebrei, il sincretismo in cui si credeva al Dio unico, ma associato anche ad altre divinità.
Proviamo a concentrarci un po' sul capitolo 17, che ci presenta una storia particolare, appunto la storia di questo tale, che si chiamava Michà e abitava tra le montagne di Efraim, cioè quella zona collinare immediatamente fuori da Gerusalemme.
Questo tale aveva rubato a sua madre una somma considerevole. Accortasi che le mancava il denaro, la donna lancia una maledizione al ladro, non sapendo che era stato suo figlio. A un certo punto lui restituisce la somma confessando il suo latrocinio, per cui la madre ritira la maledizione. Prende, però, i denari e decide di dedicarli a Dio, facendo fondere con essi una statua. Un'assurdità! Destina a Dio un qualcosa che viene usato per fare una statua, un idolo! Capiamo bene quale potesse essere la situazione di confusione a livello culturale e religioso.
Il testo parla di una statua di getto. Cioè veniva preso del metallo, veniva fuso e veniva buttato dentro una forma e il metallo assumeva quella forma. Qui non sappiamo che statua fosse quella che la madre di Micha fa fondere o cosa volesse rappresentare. Però, attenzione, il testo che ci specifica questa cosa, ci fa subito venire in mente il vitello d'oro. Anche il vitello d'oro era fatto di getto. E anche Aronne, allora, diceva che quella statua era in onore di Dio.
Torniamo a Michà. Gestiva una casa, che poteva essere una specie di locanda, in cui l'alloggiatore forniva cibo, alloggio e prostituzione, sia maschile che femminile. La cosa era frequente, allora. Contemporaneamente veniva offerta anche una forma di servizi religiosi e questo era un costume cananaico. I cananei avevano inventato la prostituzione religiosa: chi si prostituiva in onore di una divinità, faceva una cosa meritevole. I cananei avevano istituzionalizzato il negativo, cioè se un tale ruba, ammazza, si prostituisce e dedica queste cose che compie a Dio, le sue azioni non sono più negative. Tant'è vero che in queste case vigeva una sorta di extraterritorialità, per cui chi era lì, stava al sicuro. Mentre la Torah dice che si può andare a prendere un delinquente anche dentro al santuario.
Allora Michà mette la statua in questa sua specie di locanda. A noi fa un po' ridere, ma questo ci serve per capire quale fosse la situazione allora, visto che quello che fa Michà era abbastanza comune e nessuno si scandalizzava.
Il testo ci racconta anche che c'era un giovane levita, che parte da Betlemme e va verso Nord. Giunge presso la casa di Michà, che si rallegra di avere incontrato un levita. Lo invita a rimanere con lui, per svolgere il servizio religioso, in modo che, oltre alla statua, ora Michà aveva anche il sacerdote; insomma, era riuscito a crearsi un santuario proprio a modo!
Michà dà uno stipendio al giovane levita, che entra volentieri al suo servizio, contento di aver trovato lavoro.
Disse Michà: "Ora sono sicuro che l'Eterno mi farà del bene, perché un levita è diventato sacerdote presso casa mia". Era convinto di questo, era in buona fede, era sicuro di fare un'azione accetta a Dio. E nessuno gli diceva che forse era un po' fuori strada, mentre la Torah proibiva chiaramente qualsiasi forma di culto al di fuori del tempio di Gerusalemme. Tutte le altre forme sono culti pagani, reminiscenze di culti dedicati a divinità locali.
L'autore sacro interviene con una specificazione riguardante la tribù di Dan. Dice che questa tribù non aveva ricevuto in eredità un territorio nella spartizione della terra promessa, ma in realtà non era così, perché era stanziata in quella che oggi è la striscia di Gaza, ma il fatto è che a loro quel pezzo di terra non garbava. Era un territorio problematico anche allora, come oggi, in effetti, perché vi erano stanziati i Filistei e il rapporto con loro era difficile, molto conflittuale.
Le due popolazioni erano molto ostili gli uni verso gli altri. I Filistei chiamavano gli Ebrei i mutilati, mentre gli Ebrei chiamavano i Filistei incirconcisi. Ma questo era solo un aspetto esteriore.
Anche oggi Gaza è un luogo difficile, perché lì vivono dei palestinesi che rompono le scatole sia agli Ebrei che agli Egiziani e perciò sono un po' malvisti da tutti e tutti sono malvisti da loro. Sono passati 4000 da allora, ma le cose rimangono così.
Allora la tribù di Dan, stanca di avere a che fare con questa gente, manda cinque persone qualificate ad esplorare altri territori, verso Nord. Cercano di andare il più lontano possibile dalla loro terra, visto che Dan era al Sud. E' come un siciliano che, stanco di stare nella sua terra, decide di trasferirsi in Svezia.
Questa delegazione, nel suo viaggio verso il Nord, giunge alla casa di Michà e, per combinazione, sentono parlare questo ragazzo levita che era al servizio di Michà. Probabilmente lo avevano conosciuto in altra circostanza e si fanno riconoscere. Gli chiedono di consultare il Signore per chiedere se il loro viaggio avrà buon esito o no. Essendo sacerdote doveva avere un efod. Il levita dà risposta positiva da parte di Dio, ma probabilmente se l'era inventata lui. Comunque il gruppo riparte e arrivano a Lahish, una località nell'estremo nord di Israele, al confine col Libano e vedono un territorio abitato da persone pacifiche, fertile, ubertoso. Decidono di conquistare quel territorio e così ritornano dai loro mandanti per riferire tutto quello che hanno visto e per invitare a partire per la conquista. I membri della tribù di Dan decidono di partire per andare a Lahish. Nel tragitto passano per la casa di Michà e decidono di portarsi via con la violenza la statua, il levita, insomma tutto il santuario. Volevano dare una connotazione religiosa al loro nuovo stanziamento. Ovviamente Michà non è in grado di opporre resistenza e così viene spogliato del suo santuario.
I Daniti proseguono la loro marcia, arrivano a Lahish e fanno una strage. Così si stanziano al Nord. Delinquenti, assassini! Ma tutto questo può succedere perché non c'era un'autorità,  re.
Tenete conto, però, che non sappiamo se questa storia sia vera oppure no. Ci sono molte incongruenze, in effetti. Tenete conto che il fiume Giordano, Yarden in ebraico, si chiama così, perché si dice che è quel fiume che scende da Dan, cioè yoréd Dan, visto che una parte della tribù di Dan si era stanziata al Nord.
L'autore del libro chiaramente vuole dirci che questi daniti erano gentaglia, che oltre ad aver fatto delle porcherie, hanno istituito una specie di piccolo santuario del nord, durato per decenni, dopo che era stata costituita la monarchia e anche dopo che era stato costruito il grande tempio di Gerusalemme.
Io ho l'impressione che l'autore stia premendo su queste tematiche, per affermare che era necessario un re in Israele.
Alla fine del discorso il testo dice così: "Ionatàn, figlio di Ghershòm, figlio di Menashé, lui e i suoi figli furono sacerdoti per la tribù di Dan fino al giorno in cui gli ebrei furono esiliati dalla terra". Forse un qualcosa come duecento anni dopo la costruzione del santuario di Gerusalemme.
Dovete sapere che nel testo biblico massoretico, quello considerato più vicino all'originale, questi nomi richiamano personaggi a noi noti. Ghershòm è il nome di uno dei figli di Mosè, per esempio. E la parola Menashé è formata dalle consonanti mem, nun e shin. Ma nel testo massoretico la nun è scritta più in alto. Se togliamo la nun, rimane il nome Moshé. Allora noi sappiamo che Moshè aveva un figlio di nome Ghershom e questo è attestato nella Torah. Quindi siamo nella terza generazione: Ionatàn, figlio di Ghershòm, figlio di Mosè è diventato sacerdote di questa struttura pagana!! Allora il copista, lo scriba del testo, non voleva associare il nome di Mosè a una cosa del genere, spaventosamente vergognosa e così ha modificato il nome: da Moshé a Menashé. Che non si nomini Moshé in una faccenda del genere! Qual è l'insegnamento che possiamo ricavarne? Uno degli insegnamenti importanti, a mio avviso, è che qui ci viene descritta la storia degli Ebrei, che è stata molto complicata, ma non peggiore di quella degli altri popoli. Anche noi Ebrei abbiamo commesso cose nefande, come gli altri popoli!
Vi ricordate, per esempio, la storia di Iefte, sempre nel libro dei Giudici? Quest'uomo va in guerra, ma prima di partire per la guerra, fa un voto: che avrebbe sacrificato a Dio la prima persona che gli sarebbe venuta incontro, al suo ritorno dalla guerra come vincitore. Lui pensava che la prima persona ad andargli incontro sarebbe stata uno schiavo e invece gli va incontro sua figlia. Il testo non dice con chiarezza cosa sia poi successo, se lui l'abbia ammazzata o no. Ma il testo dice solo che tutti gli anni le donne di Israele solevano andare in pellegrinaggio sulla montagna, dove quella ragazza aveva trascorso alcuni mesi dopo la sentenza del voto di suo padre. Anche questa è una cosa terrificante! La Torah dice esplicitamente che qualunque voto che sia in contrasto con una norma della Torah, non è valido. Quindi pensiamo: Iefte, il grande giudice di Israele, fa un voto contrario alla Torah! E nessuno lo ha avvisato, o gli ha fatto notare l'incongruenza di quel voto assurdo. Questo vuol dire che nessuno più ricordava gli insegnamenti della Torah. Israele era diventato né più né meno come tutti gli altri popoli circostanti.
Secondo me l'insegnamento che traiamo da questi testi è una grande onestà intellettuale: i nostri eroi del passato erano persone di carne e sangue, inserite nel loro ambiente, nella loro cultura, e ne hanno fatte di tutti i colori. Non erano dei santi!
In più l'aspetto miracoloso di come abbia fatto a conservarsi la Torah dopo periodi di dimenticanza così profonda.
E poi, proprio il nipote di Mosè che fa di queste porcherie! Non si ricordava chi era suo nonno. Non dobbiamo giudicare le persone per la loro provenienza. Possono esserci dei delinquenti davvero incalliti, il cui figlio o nipote sono persone perfettamente a posto; mentre possono esserci delle persone positive al massimo grado, come Mosè, il cui nipote non ha capito niente e si svilisce fino al limite estremo. Mai giudicare le persone dall'albero genealogico; ognuno va giudicato per se stesso, per quello che ognuno fa. Analogamente pensate che nella nostra tradizione ci sono delle persone, come per esempio Siserà, di cui si parla sempre nel libro dei Giudici e che era uno dei grandi avversari degli Ebrei, così come lo era Amalek. Ci sono degli illustri maestri del tempo del Talmud che hanno origine proprio dalla famiglia di questa gente. Ma a noi non interessa da dove provengono, per valutare le persone dal punto di vista morale.
Un'altra storia molto "bella", che segue subito quella che abbiamo appena visto, nel libro dei Giudici, è quella che ci racconta della concubina di un abitante di Giuda. Questo tale parte per un viaggio con questa concubina, che non aveva voluto lasciarlo andare. Durante il viaggio si fermano nel territorio dei beniaminiti, ma non vengono accolti per la notte da nessuno, perché erano considerati stranieri. Alla fine vengono accolti da un vecchietto, ma con la raccomandazione di andarsene al mattino presto. Ma al mattino questo tale trova la sua concubina stesa sulla soglia, morta ammazzata. Il tale cerca di sapere cosa sia successo, ma i beniaminiti gli rispondono di andarsene subito, perché loro avevano violato il territorio. Il tale allora taglia il cadavere della concubina in dodici pezzi e li manda alle dodici tribù, per far vedere che cosa sono stati capaci di fare i beniaminiti. E così si solleva una guerra contro i beniaminiti. Vedete! Anche questa era una tribù bellicosa e problematica. Tutti così?! E pensate che proprio il primo re di Israele, Saul, era della tribù di Beniamino!
A me piace riferirmi ai miei avi non come a santi, ma persone normali. Anche Mosè, perché non è entrato nella terra promessa? Era un uomo pieno di doti, sì, ma anche con tutti i difetti di tutti gli uomini. O Abramo. Pensate: per salvare il patrimonio, ha mandato sua moglie a letto col faraone! Non è una cosa particolarmente santa!
Salomone, il più sapiente di tutti, ha fatto cose pazze! Figuriamoci i meno intelligenti!
Vi ho detto tutte queste cose, per sollecitarvi a riflettere.


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