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Onora tuo padre e tua madre (Esodo 20, 12 e Deuteronomio 5, 16)
(Rav Luciano Meir Caro)
E' molto difficile definire queste "dieci parole" di Dio come dieci comandamenti, perché ci sono tanti problemi di interpretazioni del testo, ma dire che si tratta di dieci comandamenti è un po' arbitrario. Vi faccio un esempio, prendendo velocemente in esame il primo: "Io sono l'Eterno tuo Dio, che ti ha tratto fuori dalla terra di Egitto, dalla casa degli schiavi". Cosa ci comanderebbe qui, Dio? Secondo qualcuno di qui impariamo che è obbligatorio credere in Dio; ma io non sono d'accordo. Non c'è scritto: "Credi che io sono il Signore Dio". Una dichiarazione di intenti è una specie di mittente, come se Dio dicesse che Lui è quello che ci insegnerà le altre cose. Se le cose stanno così, se la prima delle dieci parole non comanda niente, allora i comandamenti sono 9. Ma non voglio entrare in questa discussione.
Un'altra delle difficoltà che troviamo e che vorrei proporvi nella chiave di lettura che abbiamo noi ebrei, è che noi abbiamo sempre fatto molta attenzione a considerare queste dieci parole con un certo riguardo. Dovete sapere che nella formulazione antichissima della liturgia ebraica pare che queste dieci parole facessero parte della preghiera mattutina. Ma sono state tolte per evitare che la gente pensi che queste sono le cose che Dio ci ha ordinato, mentre le altre no. Noi pensiamo, invece, che le dieci parole sono comandi che Dio ci ha dato, che si inseriscono, però, in una normativa molto più ampia e noi non abbiamo il diritto di fare una classifica di quello che è importante e quello che non lo è. Tutto quello che è scritto nella Bibbia è un messaggio di Dio. Ci sono delle norme che a nostro giudizio possono sembrare poco importanti, ma non sta a noi giudicare.
Per esempio la parola "Onora tuo padre e tua madre", oppure "Non rubare" risultano fondamentali, quasi scontate, che sentiamo parte di noi; oppure ci sono altre norme che indicano come dobbiamo comportarci con la natura, ma nemmeno queste sono secondarie.
I nostri maestri hanno preso il testo dei dieci comandamenti, hanno conteggiato le lettere che compongono questo messaggio e sono arrivati alla conclusione, più o meno con una certa fantasia, che queste lettere corrispondono a tutti gli insegnamenti che Dio ci ha dato, sono tutti compresi lì dentro, quindi non dobbiamo dare più importanza a uno rispetto a un altro.
Vorrei fare una parentesi, attirando la vostra attenzione sulla storia biblica di Ester. Mi viene da chiedermi come si possa riuscire ad accettare senza problemi un testo come questo tra i testi sacri, data la sua apparente leggerezza di contenuti, con una trama quasi da Mille e una notte.
In più la nostra tradizione talmudica dice che verrà un giorno in cui tutti i libri biblici cadranno in dimenticanza, meno che i cinque libri di Mosè e la storia di Ester, che rimarranno per l'eternità. Sono sempre quelle espressioni paradossali dei nostri padri, che mirano a trarci fuori dalla nostra indifferenza. Alla fin dei conti questo messaggio vuole farci capire che alla venuta dei tempi messianici, non ci sarà più bisogno dei testi biblici.
Ma possibile che rimanga il libro di Ester, che sembra così fatuo? Ciò significa che i nostri padri sono riusciti a leggere questo libro in profondità, vedendo nelle sue pagine qualcosa che potrà aiutarci anche quando avremo un'umanità completamente pacificata, grazie alla venuta del Messia.
In particolare è bene che non dimentichiamo mai la violenza esercitata da chi detiene il potere nei confronti dei più deboli, così come leggiamo nella storia di Ester.
Un'altra cosa vorrei dirvi e vorrei farlo con sentimenti di amicizia. Sappiamo che i rapporti tra la chiesa cattolica e l'ebraismo sono soggetti ad alti e bassi; è senz'altro vero che negli ultimi decenni, grazie a personalità di spicco, le cose sono molto migliorate, anche se rimane sempre del cammino da fare.
Se una sessantina di anni fa un rabbino incontrava un vescovo o viceversa, praticamente era tanto se i due si facevano un cenno di saluto, ma normalmente si sentiva molto una barriera tra i due mondi. Oggi i rapporti, invece, sono quasi quotidiani. E' significativo che si sia scelto insieme il tema delle giornate del dialogo ebraico-cristiano.
Nelle ultime settimane è stato riportato alla ribalta il problema del battesimo di alcune centinaia di bambini ebrei scampati alla shoà. E' successo o nel corso o subito dopo la II Guerra mondiale. Alla fine della guerra le autorità ebraiche si sono adoperate per recuperare questi bambini, battezzati o da Istituzioni presso le quali avevano trovato rifugio o da famiglie. Sono nati dei contrasti, perché la Chiesa quasi sempre rifiutava, nel 95% dei casi. Io capisco l'atteggiamento della Chiesa, che non poteva ritrattare il Battesimo. Ma le autorità ebraiche volevano almeno sapere i nomi di queste persone che erano state battezzate.
Ultimamente la Chiesa ha risposto nuovamente in modo molto ambiguo, affermando che il papa Pio XII aveva dato ordine di non entrare in questi argomenti e non rivelare niente.
Torniamo alle nostre riflessioni sul comandamento "Onora tuo padre e tua madre". Sapete che i comandamenti si trovano due volte: nel libro dell'Esodo, allorché vengono annunciati (Esodo 20) e nel Deuteronomio, quando Mosè ripete la cronistoria di quanto è successo al popolo (Deuteronomio 5). In questo secondo caso troviamo delle piccolissime varianti giustificate dal fatto che il testo biblico originariamente veniva trasmesso oralmente oppure qualcuno dice che sia stato Mosè stesso ad apportare delle modifiche, perché la legge si evolve.
Qualche volta dimentichiamo che il testo che abbiamo noi, quello che è riferito dalla Bibbia, non è quello originale, perché le prime tavole furono scolpite direttamente da Dio e consegnate a Mosè. E queste tavole erano un miracolo permanente, secondo la nostra tradizione. Era la scrittura stessa di Dio. noi immaginiamo due lastre di pietra, ma dalla descrizione biblica possiamo capire che fossero come dei cubi, dove il testo era traforato, e si poteva leggere attraverso le lettere e vedere quello che c'era dietro. Ma da qualunque parte si guardava la pietra, il testo appariva sempre dalla parte giusta e non al contrario, come succederebbe se noi traforassimo delle lettere su un foglio di carta.
Queste prime tavole sono state spezzate da Mosè, alla sua discesa dal Sinai. Le seconde tavole sono state scritte da Mosè. Questo può insegnarci che se le tavole fossero rimaste quelle scritte direttamente da Dio, l'umanità le avrebbe considerate troppo elevate, non accessibili. Mosè ne ha fatto una versione nuova, una redazione diversa.
Pensate a quello che dice la prima versione riguardo al sabato: "Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo…" (Esodo 20, 8), mentre nella seconda versione dice: "Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato" (Dt 5, 12).
Per quanto riguarda la quinta parola, abbiamo questi testi: "Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà" (Es 20, 12); mentre in Deuteronomio c'è un'aggiunta ulteriore: "Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà" (Dt 5, 16).
Dei genitori si parla anche nel libro del Levitico, cap. 19, e si dice, con una forma strana: "Ognuno sua madre e suo padre temerete e osserverete i miei sabati" (Lev 19, 3). Vedete la discordanza tra soggetto e verbo? E cosa centra il sabato coi genitori?
Un altro passo: "Maledetto sia l'uomo che si costruisce una statua" e più avanti: "Maledetto colui che considera con leggerezza suo padre e sua madre… maledetto sia chi percuote suo padre e sua madre" (Dt 27, 15-16).
Ai nostri maestri non piacciono le espressioni di carattere generico. Cosa vuol dire, in pratica, onorare il padre e la madre? O in che modo si traduce il timore dei genitori? Che differenza c'è tra onore e timore?
Nei comandamenti c'è questa frase: "Onora tuo padre e tua madre" e a proposito del timore troviamo: "Ognuno sua madre e suo padre temerete". Per quanto riguarda l'onore il padre è anteposto alla madre, per quanto riguarda il timore è anteposta la madre al padre.
E' casuale questo? Di solito per onore si intende un atteggiamento più affettuoso. Ognuno di noi è portato ad avere sentimenti di dolcezza per la madre, che è più tenera e dolce, normalmente e atteggiamenti di timore riverenziale per il padre. Per l'onore si sarebbe istintivamente portati a privilegiare la madre e per il timore il contrario; la Bibbia ci spinge in senso opposto.
In più quel problema che vi dicevo riguardo alla connessione del comandamento "Onora tuo padre e tua madre" col rispetto del sabato.
L'interpretazione ebraica è questa: bisogna temere i genitori e obbedire loro, ma bisogna osservare il sabato, perciò se i genitori impongono di non osservare il sabato, allora non ho più l'obbligo di obbedire loro. Questo è il limite del rispetto ai genitori. Potremmo tradurre, allora in questo modo: "Onora i genitori, ma osserva il sabato". Qualsiasi cosa i genitori dicano in contrasto con la norma di Dio, in questo non vanno seguiti.
Ma torniamo al rispetto e all'onore dovuto ai genitori. Nel concreto cosa bisogna fare? Mia mamma mi diceva che quando parlava coi suoi genitori, dava loro del lei.
La nostra normativa sostiene che si onorano i genitori fornendo loro il cibo, l'abitazione, i vestiti, le cure; insomma provvedere alle loro necessità. Ma non basta. Perché l'onore si estrinseca fornendo loro tutte queste cose, ma non con un assegno, bensì andandoli a trovare, perché hanno bisogno di vedere i figli. Un elemento indispensabile è anche la visita ai genitori; il figlio deve andare a trovare i genitori. Ovviamente se i genitori non hanno bisogno, il discorso non vale; ma se sono nel bisogno devo provvedere io di persona, facendomi loro vicino. Onore, dunque, dal nostro punto di vista, si traduce in questo modo.
E il timore che cos'è? Si temono i genitori con dei comportamenti precisi. Per es. è proibiti rispondere al posto dei genitori, oppure contraddirli. Mi spiego bene. Se un figlio si trova insieme ai genitori e qualcuno interroga loro, il figlio non deve rispondere al posto dei genitori, a meno che sia il padre o la madre ad invitare il figlio a parlare.
Non bisogna occupare il posto dei genitori, sia in senso materiale che in senso spirituale. Per es. se in casa c'è una sedia o un posto a tavola, solitamente occupato da un genitore, il figlio non può occuparlo, a meno che non sia il genitore stesso a dirlo.
Dal punto di vista spirituale vuol dire che il figlio non deve prendere il ruolo di un genitore. Per es. se un figlio eredita una ditta al padre, deve sempre fare riferimento al padre, quale fondatore della ditta.
Non contraddire i genitori, anche se dicono qualcosa di sbagliato. Faccio un esempio molto banale. Un figlio è per la strada con un genitore e qualcuno chiede che giorno è; anche se il padre risponde in modo sbagliato, il figlio non deve correggerlo. Al massimo può fare un giro di parole, per es: "Papà, ho visto sul giornale stamattina che c'era scritto che oggi è mercoledì. Che sia sbagliato il giornale?". Sembra una sciocchezza, ma è importante, perché non si possono trattare i genitori come tutte le altre persone.
Secondo la nostra normativa le disposizioni che riguardano padre e madre vanno estese anche ai nonni e ai suoceri.
Vi ricordate delle due tavole delle dieci parole?
La quinta parola è quella che riguarda i genitori. Sappiamo che nella prima tavola sono enunciati i doveri che abbiamo nei confronti di Dio, mentre nella seconda i doveri nei confronti della società. In tal modo vediamo che i genitori si trovano in una posizione privilegiata, a metà strada tra Dio e il prossimo, perché sono l'ultima categoria di comandamenti che riguardano Dio; loro non sono da considerarsi alla stregua di tutti gli altri esseri umani.
Questa disposizione che dice che è proibito percuotere i genitori, la tradizione ebraica l'ha estesa al divieto di procurare ai propri genitori una qualsiasi lesione, a meno che questa lesione sia giustificata da motivi di salute dei genitori e non ci sia un altro bravo come me che potrebbe farla al posto mio. Insomma, un chirurgo ebreo non può operare i suoi genitori normalmente, a meno che sia convinto di essere il miglior chirurgo a disposizione.
E anche nel caso in cui lo facesse, deve fare un'attenzione estrema a non tagliare un centimetro in più; si tratta di un genitore e non di un paziente come gli altri.
Ognuno di noi ha tre creatori, diciamo così; per la nostra nascita concorrono tre volontà che si uniscono: quella del padre, della madre che si uniscono a quella di Dio. I genitori, dunque, mi riportano in maniera chiara alla creazione e quindi a Dio. E' in questo senso che il quinto comandamento è posto sulla prima tavola.
I nostri maestri si sono chiesti cosa voglia dire la promessa legata al fatto di onorare il padre e la madre: "Affinché si prolunghino i tuoi giorni sulla terra e tu abbia del bene".
Alcuni maestri sostengono che il premio per chi rispetta i genitori, è un prolungamento dei giorni. Ma i nostri maestri, che sono molto realisti, ci avvisano che prendersi cura dei genitori, dei nonni o dei suoceri, è pesante, ci metta alla prova, perché vediamo che resta loro ben poco di buono e di bello nella vita. E in quel momento è importante fare attenzione che il nostro cuore non ceda alla tentazione di pensare che sarebbe meglio, per loro, morire.
Allora è importante richiamare alla mente la promessa di Dio, legata al rispetto dei genitori, quasi a dirci che se vogliamo che i nostri giorni siano prolungati, bisogna che ci impegniamo anche a prolungare quella di chi ci è vicino, come i nostri genitori. La maggior parte dei nostri maestri, invece, interpreta in modo diverso. Quando Dio ci propone lunghezza di giorni, non pensa a questa terra, ma all'altra dimensione. Avremo del bene, ma non qui. Non si tratta di ragionare come i ragionieri: ci deve essere dato il bene in cambio del bene che abbiamo fatto.
Doveri analoghi che abbiamo verso i nostri genitori, dobbiamo averli verso il nostro fratello maggiore, perché in molti casi è lui che si prende cura degli altri fratelli.
Nella nostra liturgia quotidiana non parliamo di dieci comandamenti, ma in tutte le preghiere del mattino ripetiamo una frase del Talmud, che dice così: nei nostri comportamenti quotidiani ci sono delle cose che non hanno misura. Ci sono delle disposizioni che richiedono di fare qualcosa, ma non è data la misura. Per es. la visita ai malati. Non c'è scritto quanti malati devo visitare o quante volte devo andarci. Il presupposto è che il dovere incombe sempre. Se io vado tre volte, ma la persona desidera che io vada ancora, devo farlo, è mio dovere, se lui ha piacere.
Non si può mai dire di aver fatto abbastanza. Bisogna continuare a fare il proprio dovere finché se ne ha la possibilità e la forza.
Anche il rispetto verso i genitori è una delle cose che non ha misura. Non si può mai dire che è abbastanza.
Allo stesso modo anche il cercare di portare pace tra esseri umani in disaccordo tra loro e soprattutto fra moglie e marito è una di quelle cose da fare senza misura.
Davanti a queste cose non posso far finta che non mi riguardi; mi devo dar da fare, anche a costo di dire una piccola bugia.
Dio stesso ci insegna che quando lo scopo è evitare controversie, si possono dire delle bugie. Lo dico come un paradosso. Vi ricordate di Abramo con i tre messaggeri, che vengono ad annunciare la nascita di Isacco da Sara? Dio chiede: "Perché Sara ha riso e ha dubitato dicendo: Come faccio ad avere un figlio, quando mi sono cessate le regole mestruali?". Qui Dio mente, diciamo così. Infatti Sara aveva pensato, ridendo: "Come faccio ad avere un figlio, quando mio marito è vecchio?". Ma Dio non vuole ripetere ad Abramo queste parole di Sara, che potevano sembrare offensive.
Allo stesso modo anche noi dovremmo adoperarci per evitare che due persone entrino in contrasto tra loro.
Il Talmud aggiunge che quando mettiamo in pratica queste norme su cose che non hanno misura, noi godiamo dei frutti di queste azioni in questo mondo, ma il capitale rimane integro per il mondo futuro.
Un'ultima cosa. Il testo del Deuteronomio dice che quando uno casualmente trova un nido di uccelli con dentro una femmina che cova le sue uova o si sta prendendo cura dei pulcini, deve mandare via la madre e prendersi i figli. Questo "affinché tu abbia del bene e si prolunghino i tuoi giorni". Stranissima cosa. I nostri maestri dicono che, fra l'altro, questo non è realizzabile in natura. Bisogna mandare via la madre, che sarebbe invece disposta a rimanere lì e a lasciarsi prendere anche lei pur di continuare a proteggere i suoi figli.
I nostri maestri hanno fatto una serie di osservazioni su questo versetto. Alcuni dicono che se qualcuno, davanti a questo versetto, cominciasse a parlare della misericordia di Dio, bisognerebbe farlo tacere, perché sta dicendo stupidaggini. Da questo passo non si impara la misericordia. Se così fosse, la Torah ci insegnerebbe a lasciar stare la madre e i suoi piccoli.
I maestri non hanno capito cosa voglia dire questo versetto, ma è importante notare che c'è la stessa frase ripetuta riguardo all'obbedienza al comando dell'onore verso il padre e la madre.
E' interessantissimo, perché ci sono 248 disposizioni nella Torah che non promettono un premio; mentre c'è la promessa del premio solamente in quella che riguarda i genitori e la mamma uccello coi suoi piccoli. I nostri maestri dicono che qui ci sono degli insegnamenti impliciti. Non si tratta dell'uccello, in verità, perché non si trova un fatto simile in natura. La Bibbia ci vuole spingere a farci delle domande profonde sulla Parola di Dio, affinché noi impariamo come si fa a studiare, studiare qualcosa, anche se non ha delle ripercussioni pratiche.
La Bibbia ci dà dei casi che non accadranno mai e che sono solo da studiare in maniera accademica; così ci esercitiamo a studiare.
Lo stesso vale per il testo che riguarda le malattie della pelle, per es. o delle muffe, che possono colpire stoffe, pelli, o anche i muri di casa. Mai sentito che un muro si ammala. Anche qui, dicono i maestri, c'è un caso impossibile, qualcosa che non si realizza. Questo perché impariamo a studiare delle cose che non hanno riscontro con la realtà e quindi non ci sono interessi; qui si studia solo per lo studio. Studio la Torah perché è la Torah ed è da studiarla e da amarla così com'è, senza altra utilità al di fuori del rapporto stesso con Lei.