pesach - amicizia ec romagna

Vai ai contenuti

Menu principale:

L'Haggadah di Pesach
(Rav Luciano Meir Caro)


L'Haggadah è il libro di testo che noi adoperiamo in occasione della celebrazione della Pasqua ebraica, Pesach. Nell'immaginario collettivo del popolo ebraico - voi sapete che noi abbiamo un rapporto molto stretto con il tempo, con la nostra storia; noi siamo proiettati più nella dimensione temporale che in quella spaziale e ogni volta che celebriamo una ricorrenza è come se la vivessimo di nuovo in quel momento - ci sono due momenti nei quali riteniamo che ci sia stato l'intervento più forte di Dio nelle cose del mondo: la creazione dell'uomo e in particolare dell'uomo e la Pasqua, cioè l'uscita dall'Egitto.
Il fatto che noi esistiamo è per noi la prova più evidente che esiste qualcuno che ci ha creato; se non ci fosse il vasaio non ci sarebbe il vaso. Ma non voglio entrare in questioni filosofiche.
Per noi l'uscita dall'Egitto, che è un evento rimasto nel nostro stesso DNA, è legata in maniera fortissima all'altro fatto fondamentale della storia umana, che è la creazione. Perché questo? Per una serie di circostanze. Intanto l'uscita dall'Egitto è l'evento che ha determinato la nascita del popolo ebraico, perché tutto quello che era successo prima, con Abramo, Isacco, Giacobbe aveva più un carattere familiare. Dico così nel senso che non so se questi personaggi avessero o no la percezione di appartenere a una realtà speciale dal punto di vista etico e culturale; c'era una vaghissima consapevolezza della derivazione da genitori che conducevano una vita diversa, che per idee si discostavano dal paganesimo imperante nel mondo di allora.
Ma il momento in cui gli Ebrei entrano nella storia in quanto Ebrei, è stato quando Dio ha liberato Israele dalla schiavitù egiziana, una massa di straccioni, parliamoci chiaro, una massa amorfa, con una concezione di sé molto vaga e anche loro molto immersi nel paganesimo egiziano. Ma Dio interviene e libera questo popolo e dà loro una missione specifica.
Oltre questo aspetto di carattere personale, che riguarda la nostra esistenza, c'è anche un elemento di carattere universale e cioè il fatto che una massa di schiavi, non particolarmente significativa, è riuscita a ottenere la liberazione da un sistema quale quello egiziano, da un popolo così potente e organizzato come quello egiziano. E questo fatto è un qualcosa che si discosta da un qualsiasi parametro concepibile. Se qualcuno avesse affermato una tal cosa, sarebbe stato deriso da tutti.
Ma questo fatto porta ad affermare che nessuna schiavitù è eterna. C'è sempre un momento in cui il Padre eterno, per motivi suoi, di cui non deve dare spiegazione a noi, può intervenire e compiere cose che sono assolutamente al di fuori della normalità.
Questo spiega anche come mai, nella nostra tradizione liturgica, quando facciamo determinate, le facciamo in ricordo dell'uscita dall'Egitto, anche se non c'è una vera connessione. Per es. quando la sera del venerdì facciamo il pasto festivo nella vigilia dello Shabbàt, noi affermiamo di stare per accingerci a celebrare la ricorrenza del Sabato in ricordo dell'uscita dall'Egitto. Ma cosa c'entra l'uscita dall'Egitto col Sabato? E' che tutto quello che siamo noi, è collegato con l'uscita dall'Egitto.
Egitto, in ebraico Mizraim, non sappiamo che significato abbia, in realtà, ma quasi sicuramente è una deformazione di un vocabolo egiziano che indicava l'Egitto. Ma il suffisso "aim", in ebraico indica il duale, cioè qualcosa che si trova sotto duplice aspetto; quindi probabilmente la denominazione Mizraim sta ad indicare un paese diviso in due parti, come se di Egitto ce ne fossero due: forse l'Alto Egitto e il Basso Egitto. Qualcuno dice che la parola Mizraim fa venire in mente un termine che vuol dire "angustia", "ristrettezza"; allora Mizraim può diventare "duplice angustia", ma io non credo sia vero.

Ma torniamo all'evento della liberazione. Un'opera tanto grande e sorprendente, tanto clamorosa quanto l'opera della creazione, che poteva essere compiuta solo da Dio, solo per l'intervento di un'Entità superiore.
Non so cosa penseremo come Ebrei tra cento, duecento ecc. anni; nella storia ebraica abbiamo avuto altri episodi molto drammatici, pensate alla distruzione del tempio di Gerusalemme, o pensate alla Shoah. Ma queste, per quanto clamorose, non sono ancora penetrate nella nostra essenza quanto l'uscita dall'Egitto.
Quindi quando celebriamo la festa di Pesach ci mettiamo su un piano tutto speciale, favorito anche da una serie di celebrazioni.
Anticamente si faceva il sacrificio dell'agnello pasquale. Il testo biblico ci racconta che dopo le prime 9 piaghe, quando sta per scatenarsi la decima, Dio dice a Mosè di avvertire la gente di preparare un agnello e sacrificarlo con un rituale particolare.
Noi ci domandiamo cosa centri l'agnello con la liberazione. Se ci pensate bene, l'agnello in Egitto era un animale sacro e perciò il sacrificio degli agnelli è stata la prima manifestazione di autonomia e libertà da parte di questo popolo di schiavi, che ancora erano sotto il giogo egiziano. Per la prima volta fanno qualcosa di contrario, di libero. Davanti agli egiziani macellano pubblicamente quello che loro consideravano una divinità. E' stato un atto plateale di indipendenza.
Il contrassegnare le loro case col sangue degli agnelli veniva a testimoniare che quelle non erano più case degli Egiziani, ma degli Ebrei, che si stavano manifestamente ribellando, uscendo dall'idolatria egiziana. Contemporaneamente c'era anche un altro atto: quello del calendario. Dio dà le disposizione per cambiare il calendario. Proprio in un momento così cruciale come quello, quando il popolo doveva prepararsi per la fuga, vengono date le disposizioni per il calendario! Sembra tutto molto strano. Ma anche questo è un segnale importantissimo. Sì, perché lo schiavo non ha un suo calendario; il suo tempo è il tempo del padrone, la sua vita è organizzata in base alle esigenze del padrone. E il calendario degli Egiziani era un calendario pagano, nel senso che tutto era fondato sulle esondazioni del Nilo, che era considerato una divinità. Ma Dio interviene e spinge il suo popolo a liberarsi prima di tutto dalla ideologia egiziana. Basta col tempo del padrone! Vorrei che rileggeste tutti questi episodi.
Faccio una domanda, ma non so la riposta: "Perché Dio pensa di liberare questi quattro straccioni dalla schiavitù egiziana? Qual è lo scopo?". Con tanti schiavi che ci sono stati dall'inizio dell'umanità, ha voluto porre la sua attenzione proprio su quel popolo. Il testo biblico ci dice tra le righe che tutto quello che è successo aveva uno scopo: affinché si sappia che Lui, Dio, è l'Eterno. Quello che è successo doveva insegnare agli Egiziani e attraverso di loro al mondo intero, che c'è un Dio, superiore alla natura.
Ma come?, questi schiavi della gleba, osano ribellarsi a tal punto da macellare l'animale simbolo della divinità egiziana?!
Vedete quale quantità di significati ha per noi la celebrazione di Pesach?

Da secoli immemorabili, almeno da 2300 anni, noi, per celebrare questa cosa, organizziamo nelle nostre case, la prima sera di Pesach o le prime due sere, a seconda della posizione geografica in cui ci troviamo, una cerimonia che va sotto il nome di Seder. Seder vuol dire "ordine". Si tratta di un cerimoniale che prevede fare in un determinato ordine, certe cose, leggere determinati passi e, tra le altre cose, anche cenare. Una cena inframmezzata da letture e discussioni, nella quale rievochiamo l'uscita dall'Egitto con tutti i suoi significati ancestrali, storici, ma anche attuali. Ci domandiamo che significato abbia per l'uomo moderno il fatto che i nostri antenati abbiamo conquistato la loro libertà? Che senso ha la libertà per noi oggi? Ha ancora senso celebrare la liberazione, per noi che siamo "liberi"? Ma siamo liberi veramente?
E' importante tenere presente che finché nel mondo c'è un solo individuo che non è libero, non è libero nessuno.
Quindi noi compiamo degli atti, dei gesti simbolici che hanno lo scopo di far penetrare questi concetti in tutti i commensali, ma in special modo nei bambini. Per questo è stato inventato un libro, chiamato Haggadah, che vuol dire "narrazione", che è la quintessenza di un'opera didattica, nella quale rievochiamo l'uscita dall'Egitto, allo scopo di insegnare queste cose prima a noi stessi, ma ancora prima ai nostri bambini, coinvolgendoli in questa lettura e in questa drammatica rievocazione.
L'Haggadah è un'opera strana, perché ci pone una quantità di problemi, anche perché è molto antica; pensate che i primi manoscritti risalgono ad almeno 2300 anni fa.
La sera del Seder noi leggiamo questo libro, compiamo la gestualità descritta dal libro e soprattutto discutiamo. Alla cena di Pesach, infatti, si invitano commensali, non tanto per mangiare insieme, ma piuttosto per commentare, per discutere sul testo che viene letto, con una serie di domande e risposte.
Le domande le fanno i bambini, magari con diverse modalità. Ma il bambino è il protagonista della serata. Sono indotti a porre le domande in modo che siano più coinvolti e prestino più attenzione alle risposte. Se non ci sono bambini, bisogna che le domande le faccia un adulto. Non si può celebrare la sera di Pesach senza fare le domande e dare le risposte.
Pensate un po': il pane azzimo che noi mangiamo, chiamato mazzàh, ha una quantità di significati eccezionale. Nel testo biblico esso viene chiamato "cibo della povertà" o "cibo dell'afflizione". In che senso? E' il cibo che ci ricorda il cibo mangiato dagli Ebrei in Egitto, nella schiavitù, oppure è il cibo povero perché fatto solo con farina e acqua, per sottolineare che la celebrazione della libertà non va mai fatta col lusso. Perché se c'è del lusso, vuol dire che c'è qualcuno che il lusso non ce l'ha e quindi vuol dire che non siamo liberi tutti allo stesso modo. Quindi mangiamo questo pane, che ci ricorda la situazione storica del popolo in Egitto, che ci ricorda che l'alimento degli uomini deve essere un pane povero, di farina e acqua. Ma c'è un altro significato espresso dal termine "cibo di afflizione". Afflizione in ebraico è 'oni e questa radice evoca anche il verbo "rispondere". Dunque il pane della cena di Pesach è un pane che ci interroga, mangiando il quale siamo tenuti a fornire delle risposte. Le domande, soprattutto quelle formulate dai bambini, richiedono una risposta convincente, perché ai bambini non gliela diamo ad intendere. Se non offri una risposta diretta, loro non ascoltano.
Il libro dell'Haggadah è quello che, dopo la Bibbia, ha avuto il maggior numero di edizioni a stampa; dal 1475, con l'inizio della stampa, calcolando soltanto le edizioni principali, se ne conoscono circa 25.000. E non conto tutte le edizioni minori, stampate anche solo per pubblicizzare negozi.

Il testo comincia così, ponendo queste parole sulla bocca di un bambino: "Questa sera, perché è diversa dalle altre sere?". E il testo va avanti parlando del pane: Le altre sere noi mangiamo pane lievitato o non lievitato; questa sera solo pane azzimo; parlando dell'insalata: Le altre sere mangiamo vari tipi di insalata; questa sera mangiamo solo un'insalata amara; parlando di come si deve stare a tavola: I nostri genitori ci dicono che bisogna mangiare seduti educatamente; questa sera dobbiamo mangiare con una certa forma di maleducazione formale.
Attenzione: i bambini fanno queste domande ancora prima che le cose succedano, perché non si è ancora mangiato. E' paradossale.
La serata prevede delle contraddizioni. Mangiamo solo erbe amare, però intingiamo il pane azzimo in una specie di marmellata, che chiamiamo charòset, confezionata dalle nostre donne con frutti, zuccheri, ecc. che dovrebbe rappresentare la malta, il fango usato dai padri in Egitto per fare i mattoni.
Vedete la contraddizione? Mangiamo stravaccati, per affermare la libertà, però richiamiamo il lavoro dei mattoni.
Noi presupponiamo che i nostri bambini conoscano a memoria il testo biblico. Oggi non è più così nemmeno fra gli Ebrei, ma noi proponiamo dei versetti e discutiamo sul testo dell'Haggadà per stimolare i bambini a partecipare. Facciamo anche una specie di test ai bambini, che hanno lo scopo di attirare il loro interesse, la loro attenzione. E questi test sono fondati su dei numeri caratteristici. Mi spiego. Il numero che ricorre più sovente nella celebrazione del Seder è il 4. Siamo tenuti a consumare 4 bicchieri di vino, perché quando il Signore Dio si è rivolto a Mosè la prima volta, inviandolo a liberare gli Ebrei, ha usato 4 espressioni diverse, che sono sinonimi, dicendo: "Io provvederà a liberare, a redimere, a dare la liberazione, a salvare il popolo ebraico". Siccome ha realizzato tutte e 4 queste cose, noi brindiamo 4 volte a promesse di Dio mantenute e realizzate.
A seconda di come i bambini formulano le domande, noi identifichiamo 4 tipi di bambini che stanno in mezzo a noi. Si gioca su delle domande riportate nello stesso testo biblico. Quali sono i 4 tipi di bambini, dal punto di vista psicologico, del carattere? Il saggio, il malvagio, il semplice e poi c'è quello che ha la curiosità, ma non è capace di formulare la domanda.
E a seconda di come il bambino formula la domanda, noi siamo tenuti a dare la risposta adatta, personalizzata per lui, per il tipo di carattere che rivela nel fare la domanda.
Il saggio, per es. come formula la domanda? "Quali sono i significati della tradizioni, gli statuti, le leggi, i regolamenti che noi mettiamo in pratica questa sera?". Sentite com'è forbito il linguaggio? E perciò bisogna rispondere in maniera adeguata: "Noi mettiamo in pratica tutte queste leggi che ci ha dato l'Eterno …".
Il semplice chiede così: "Cos'è tutto questo? Mah zòt?". E allora si risponde in modo semplice: "Facciamo questo per ricordare una liberazione miracolosa".
Quello che non sa fare le domande, invece, va sollecitato; dobbiamo noi fare in modo che lui riesca a formularle. "Vedi qualcosa di strano in questa sera?".
E il malvagio dice: "Cos'è tutta questa congerie di tradizioni che voi mettete in pratica questa sera?". Sentite? "Voi…". E a lui si risponde: "Facciamo tutto questo in relazione a quello che l'Eterno ha fatto a me quando siamo usciti dall'Egitto". Vedete? "A me" e lui lo si lascia fuori, visto che si è auto-escluso.
Qualche volta si va nel faceto, ma altre volte non tanto nel faceto.
Un famoso maestro dice che è opportuno ricordare le 10 piaghe con tre espressioni, che non vogliono dire niente, ma sono soltanto le iniziali del nome di ognuna delle piaghe. E noi ci domandiamo che senso abbia che un grande maestro debba essere ricordato solo per questo.
Andiamo un po' più a fondo: la prima parola è formata da tre lettere, la seconda da tre e la terza da quattro. Lui voleva dire che le 10 piaghe non sono un tutto unico, ma ci sono state tre forme di interventi divino, divise le prime tre, le seconde tre e le ultime 4. Le prime sono connotate da un determinato intervento di Dio su certi aspetti della natura e, se leggete con attenzione, vedete che dopo ognuna di esse, il faraone chiama Mosè e dice di essere pentito, ma poi indurisce il suo cuore e fa marcia indietro. Nelle ultime piaghe non è più il faraone che indurisce il cuore, ma è Dio che indurisce il cuore di faraone. Insomma, il faraone si indurisce, perché Dio lo fa indurire. Dov'è la giustizia di Dio?, ci viene da dire. Il punto è che fino a un certo livello, se io decido di comportarmi bene, è una mia decisione; ma dopo un certo punto, questa mia decisione si trasforma in una forma di mia natura; anche se non volessi comportarmi bene, ormai sono orientato in quella direzione. Analogamente per la cosa contraria: se mi comporto male, fino a un certo punto è una mia decisione, ma dopo un certo punto, anche se volessi tornare indietro non posso più farlo.
Non vi dico delle verità, ma do delle proposte. Noi pensiamo che Dio ha fondato il mondo su due elementi: la misericordia e la giustizia. Un mondo che fosse fondato solo sulla misericordia, non avrebbe senso, perché saremmo tutti buoni. E se fosse fondato solo sulla giustizia, Dio dovrebbe condannarci tutti, perché ci comporteremmo in maniera indecente.
Allora Dio fa una compenetrazione fra le due cose. Sto bestemmiando, sto dicendo delle cose orribili nei confronti di Dio! Dio avrebbe inventato la legge del pentimento, alla quale Lui stesso si sottopone. Dio ha fatto in modo tale che se un essere umano si pente sinceramente del male fatto, Lui non può fare a meno di perdonarlo. Se non fosse così, la nostra strada sarebbe senza via d'uscita. Però se Dio applicasse sempre questa norma, questo sarebbe un pugno nello stomaco al concetto generale della giustizia.
I nostri maestri dicono che ci sono delle situazioni particolarissime, eclatanti, che si verificano una volta ogni mille anni, in cui un essere umano fa delle cose talmente negative che, ove si pentisse, Dio sarebbe costretto a perdonarlo e questo sarebbe un'ingiustizia palese. Ci sono degli esseri umani che arrivano a un livello di depravazione tale, per cui, se fossero perdonati sarebbe un'offesa al concetto della giustizia. Dico un nome tanto per capire: Hitler, responsabile di milioni di omicidi, di sofferenze inaudite. Se si fosse pentito e fosse stato perdonato, consentitemi: questo sarebbe contrario a ogni giustizia, divina o no. Quindi in casi straordinariamente eccezionali, che non sta a noi personalizzare, quando un tale è arrivato oltre un certo limite, Dio gli sottrae la possibilità di tornare indietro, per poterlo punire.
Torniamo al nostro racconto dell'Haggadah.
C'è un altro elemento importante. Il testo biblico dice che la nostra festa di Pasqua dura sette giorni. Il primo giorno celebra l'uscita dall'Egitto, mentre il settimo celebra l'attraversamento del Mar Rosso, due fasi della stessa vicenda, delle quali, secondo la nostra visione, l'ultima, avvenuta nel settimo giorno, è stata più importante della prima. Più che l'uscita dall'Egitto, che è stata una liberazione politica, è importante la divisione delle acque del Mare per fare passare Israele all'asciutto. I nostri maestri dicono che in occasione della traversata del Mar Rosso, la persona più umile, meno importante, ha avuto una percezione della presenza di Dio quale nemmeno i più grandi profeti hanno mai avuto. L'ultima donna del popolo ha avuto una percezione di Dio più grandiosa che il profeta Isaia, perché in quell'occasione Dio si è rivelato come non ha fatto mai in alcun altra occasione.
Torniamo alle 10 piaghe. Vi ricordate cos'hanno detto i maghi al faraone, dopo la decima piaga? "Questo è il dito di Dio". Arrivano alla conoscenza che c'è un qualcosa che sta sopra i loro stessi dei. Quando si divide il Mar Rosso, il popolo ebraico vide "la mano potente che Dio aveva adoperato sul mare". Vedete? Se 10 piaghe sono un dito, la traversata del Mare Rosso sono una mano e cioè 50 piaghe! E' un esercizio per attirare l'attenzione dei bambini la sera di Pesach. Quindi, a conti fatti, la liberazione di Israele dall'Egitto e la conseguente traversata del Mare, ha visto lo scatenarsi di ben 60 piaghe!
Non finisce mica così. Perché per ogni piaga il testo biblico adopera 4 espressioni, il che vuol dire che ogni piaga era costituita da 4 fasi e quindi, di conseguenza, le piaghe erano, in realtà, 10 X 4. E se è così, anche quelle del Mar Rosso, vanno moltiplicate e arriviamo a 240!!
Quindi coinvolgiamo i bambini in questi conteggi, diamo loro un dolcetto, facciamo delle canzoncine, la più famosa delle quali è quella mutuata da Branduardi col racconto del capretto, che vuole dire che se c'è uno che fa male a un altro, anche lui riceverà del male. L'angelo della morte interviene alla fine a punire il colpevole, ma al di sopra dell'angelo della morte interviene il Signore Dio, giudice supremo.
Un'altra canzoncina famosa è quella dei numeri:
1: l'Eterno
2: le tavole della Legge
3: i patriarchi
4: le mogli dei patriarchi
5: i libri della Torah
6: i libri della Mishnà
7: i giorni della settimana
8: i giorni in cui si fa la circoncisione
9: i mesi della partoriente
10: i comandamenti
11: le stelle che si piegano davanti a Giuseppe nel sogno che lui ha fatto
12: le tribù di Israele
13: gli attributi di Dio, quando Mosè ha avuto la visione di Dio.

E bisogna ripetere questa filastrocca senza sbagliarsi, se non si fa una penitenza.
Insomma tutta questa celebrazione serve per far apprendere anche ai bambini cos'è stata la liberazione dall'Egitto. Sembrano cose ingenue, ma non lo sono affatto.

A proposito dell'uscita dall'Egitto è opportuno passare la notte a discutere su questo evento. C'è un passo particolare che racconta di un fatto che riguardava 4 rabbini, che stavano celebrando la Pasqua e discutevano sull'uscita dall'Egitto. Tutta la notte erano rimasti a discutere. Al mattino, giunti gli allievi, li scuotono e ricordano loro che è giunto il tempo della preghiera del mattino. Subito dopo uno di questi 4 maestri dice: "Sono quasi all'età di 70 anni e non ho mai capito perché bisogna ricordarsi dell'uscita dall'Egitto di notte, finché mi è stato insegnato da un giovane maestro, il quale commentando il versetto che dice: Affinché tu, ricordi il giorno della tua uscita dalla terra d'Egitto tutti i giorni della tua vita". Come si fa a imparare da questo versetto che bisogna ricordarsi dell'uscita dall'Egitto di notte? Scatta il meccanismo che ci dice che nel testo biblico non c'è nessuna parola superflua, ogni parola ha un suo significato. Non vi sembra che quel "tutti i giorni" sia in più? Quel giovane maestro ha inteso che quelle parole volessero significare che bisogna ricordarsi dell'uscita dall'Egitto in tutte le parti dei giorni della vita, cioè giorno e notte.
E forse vuole anche dire che a volte sono i più giovani che insegnano agli anziani.
Ovviamente qualcun altro propone altre interpretazioni. "Tutti i giorni" può voler dire "tutte le forme della vita", quella terrena e quella ultraterrena. Cioè l'uscita dall'Egitto è talmente importante che dobbiamo portarcela dietro anche nell'altra vita.
Dietro tutta questa spiegazione qualcuno vede una connotazione che sfugge ai più e il segreto è che tra i 4 maestri che discutevano c'era anche rabbì Akivà, che sosteneva la necessità di ribellarsi alla dominazione romana. Quindi si dice che i 4 rabbini stessero discutendo più che della schiavitù egiziana, della dominazione romana e di come venire fuori. L'arrivo degli allievi ha fatto capire loro che le strade cominciavano a popolarsi e perciò non era più sicuro parlare di quelle cose.
E poi cosa vuol dire l'espressione di quel maestro: "Ho quasi 70 anni?". Sembra che avesse una ventina d'anni solamente, ma siccome gli era stata affidata l'organizzazione della rivolta contro i Romani, per il peso della responsabilità, gli erano venuti tutti i capelli bianchi.
Allora, sembra dire: "Quando dobbiamo discutere dell'uscita dall'Egitto?". "Tutti i giorni della vita" e cioè anche oggi, che stiamo vivendo la dominazione romana.
Un'ultima cosa che volevo dire. I nostri maestri sono molto esigenti e non perdonano niente a nessuno, soprattutto a se stessi. Dio è intervenuto per liberare Israele dall'Egitto ed è vero. Ma loro dicono che, se questa opera è stata difficile, ancora più difficile è stato fare uscire l'Egitto dagli Ebrei.
Se leggete il testo biblico vedete che il popolo ad ogni piè sospinto rimproveravano Mosè di averli fatti uscire da quella realtà, che si portavano ancora dentro. Erano imbevuti di paganesimo egiziano. Mosè si presenta al faraone per liberare Israele, ma il risultato è stato negativo. Mosè si rivolge a Dio, lamentandosi e Dio risponde: "Vedrai che faraone caccerà il popolo ebraico dalla schiavitù egiziana con mano forte e braccio disteso". Li caccerà. Guardate il linguaggio. "Mano forte" è esercitata contro di loro, perché se non fossero stati cacciati da faraone, forse gli Ebrei sarebbe ancora lì schiavi. Il duro non è stato convincere gli Egiziani a mandare via Israele, ma è stato convincere gli Ebrei ad andarsene, perché quando un tale fa lo schiavo, entra in una situazione psicologica tale, che lo tiene fermo in quella situazione, tutto sommato comoda, perché senza responsabilità. Il popolo rimprovererà a Mosè di averli portati a morire nel deserto. E c'è una frase terribile: "Ricordiamo con nostalgia i pesciolini che mangiavamo gratis in Egitto". Sono passati pochi mesi e hanno dimenticato tutto. Come? Adesso dobbiamo mangiare solo la manna?! Questo è l'animo umano. Dio ha dovuto esercitare la propria violenza sì nei confronti degli Egiziani, perché imparassero che esiste un Dio, ma anche nei confronti degli Ebrei, che non volevano uscire dall'Egitto.


Torna ai contenuti | Torna al menu