pirqè avot - amicizia ec romagna

Vai ai contenuti

Menu principale:

Il trattato Pirqé Avot
(Rav Luciano Meir Caro)


Vorrei iniziare a parlarvi del Pirqé Avot riportandovi un commento al primo paragrafo del primo capitolo.
La Mishnà, di cui il Pirqé Avot fa parte, è divisa in Trattati e uno di essi si chiama Avot ed è appunto il nostro testo, che volgiamo studiare. Poi ogni trattato - massechet - è diviso in perachim, capitoli e ogni perech è diviso in mishnaiot; da qui capiamo che la parola mishnà indica l'opera in generale, ma anche il singolo paragrafo. Allora il primo paragrafo del primo capitolo del trattato Avot suona così: "Mosè ricevette la tradizione dal Sinài e la consegnò a Giosuè, Giosuè agli anziani, gli anziani ai profeti, i profeti l'hanno consegnata agli uomini della grande assemblea. E si dicevano tre cose: "Siate cauti nell'emettere il giudizio, allevate molti allievi e fate una siepe attorno alla Torah". Cosa vuol dire questo? E' un concetto abbastanza difficile. Quando la Torah dice delle cose, che noi riteniamo particolarmente importanti, noi vi facciamo una serie di protezione, nel senso che estendiamo il divieto oltre a quanto sta scritto nel testo, per evitare di cadere nella trasgressione. Questo dicevano gli uomini della grande assemblea.
Mi piace cominciare così, perché posso attingere al commento del grande, illustrissimo maestro Ovadià da Bertinoro, la cui vita, sappiamo, è stata molto particolare. E' tanto famoso che ancora oggi arrivano a Bertinoro Ebrei da tutto il mondo e pensano di trovare una fiorentissima comunità, visto che a Bertinoro è vissuto un personaggio così importante. E invece oggi a Bertinoro c'è solo un vago ricordo di Ovadià. Comunque questo maestro, tra le tante cose importanti che ha fatto, ha scritto un commento alla Mishnà, che è ancora il più noto, il più prestigioso, il più studiato.

Allora, dicevo, Ovadià si accinge a commentare il primo passaggio dei Pirqé Avot e dice così: "In realtà tutta l'opera della Mishnà è una raccolta di norme". Invece in questo trattato di normativa non c'è proprio niente; ci sono suggerimenti, consigli, a volte lievi, a volte più profondi, c'è saggezza popolare. Dice ancora: "In realtà i suggerimenti di carattere morale non li troviamo solo nell'ebraismo, ma in tutte le culture e le realtà". Quindi non ci sarebbe niente di speciale in questo libro, perché considerazioni analoghe le possiamo trovare in tantissimi ambienti i più diversi.
Perché si è voluto cominciare con questa frase? Per insegnarci che la Torah, intesa come un corpus di norme, proviene dal Sinài, direttamente da Dio, così anche tutte le indicazioni di carattere etico, morale, anche per quanto riguarda i comportamenti banali di tutti i giorni, provengono dal Sinài allo stesso modo. Queste non sono disposizioni che rispondono a esigenze locali, ma fa tutto parte di un pacchetto globale. Quindi dobbiamo dire: noi, dal Sinài, abbiamo imparato tutto: la normativa, l'etica, la morale, il rapporto coi nostri simili da tutti i punti di vista.
Questa è la concezione che il maestro Ovadià propone; istituisce come un'unità tra le norme e qualunque cosa che non sia norme. Tutto fa parte dello stesso insegnamento ricevuto da Dio.
E io vorrei soffermarmi con voi su come si è tramandata la normativa nel corso dei secoli. Voi sapete che le fonti della normativa ebraica sono due, diciamo per semplificare: la Legge scritta, cioè la Torah, che è il pentateuco. Questo testo contiene anche norme di carattere giuridico, che sono, però, talmente generiche che, se ci fossero solo queste, non saremmo in grado di metterle in pratica.
Sottolineo questo perché mettere in pratica la Torah, dal punto di vista formale, è impossibile, perché la Torah dà delle norme genericissime, che non vogliono dir niente. L'esempio più banale che posso fare è quello di uno dei dieci comandamenti: "Onora tuo padre e tua madre". Se noi volessimo metterlo in pratica, cosa dobbiamo fare? Dal punto di vista pratico, quotidiano, come si fa a onorare il padre e la madre? E lo stesso vale per tutte le 613 norme contenute nella Torah.
Non parlo, poi, delle norme più difficili. Pensate a quella che dice di non cuocere il capretto nel latte di sua madre? Ma a chi viene in mente una cosa del genere? Oppure quella del vestito, che non può essere di lana e lino insieme.
Allora subentra la tradizione orale ad aiutarci a mettere in pratica le norme. Noi consideriamo come fondanti della nostra tradizione la Legge scritta e la Legge orale, strettamente intrecciate tra di loro. La nostra normativa scaturisce dai principi scritti nel testo e dalla interpretazione di questi principi trasmessa oralmente. Per moltissimi secoli è invalso quasi l'obbligo di non mettere per iscritto i principi trasmessi oralmente, in modo tale da far sì che questi principi fossero trasmessi, in ogni generazione, col linguaggio di quella generazione. Scriverle significa fossilizzarle, mentre le norme vanno trasmesse a ogni generazione col suo proprio linguaggio e con una strisciante, leggera evoluzione, che avviene nel corso dei tempi.
Torniamo al rispetto dei genitori. Mia madre, di benedetta memoria, quando parlava coi genitori, usava la forma di rispetto dando del voi. E questo non 70-80 fa. Se si facesse oggi, farebbe ridere. Vedete? IL principio rimane lo stesso, ma si evolve la modalità.
Allora Mosè ha ricevuto la Torah scritta, ma non solo. Durante i 40 giorni, in cui Mosè si è trattenuto sul Sinài, dopo la promulgazione del decalogo, sono serviti a Dio per dare indicazioni a Mosè su come dovevano essere applicati i principi scritti nella Torah, in quella generazione.
Mosé lo ha trasmessi a Giosué, il quale poi li ha trasmessi agli anziani (non sappiamo chi fossero; probabilmente non sono gli anziani di età); gli anziani, poi, li hanno consegnati agli uomini della grande assemblea. Cos'era questa grande assemblea? Non ne sappiamo tantissimo. Ma è stata istituita da Esdra e Neemia. Come ci suggeriscono le fonti storiche, gli ebrei erano entrati in Terra di Israele, avevano dato origine alla monarchia, c'era stata una serie di guerre, poi, a un certo punto, è scoppiato un conflitto contro i Babilonesi, che però hanno distrutto lo stato ebraico, Gerusalemme, il santuario e hanno deportato in Babilonia la maggior parte del popolo ebraico. In Babilonia gli Ebrei si sono abbastanza integrati. Ma a un certo momento i Babilonesi sono stati sostituiti e sconfitti dall'impero persiano. Ciro, re di Persia, circa 530 a.E. v., che aveva una visione diversa su come condurre la politica, rispetto ai babilonesi e agli Assiri, che volevano dominare il mondo, anche attraverso la deportazione dei loro prigionieri, dei popoli soggiogati. In tal modo miravano a far loro perdere la propria identità, ma anche contavano sul fatto che nessun popolo si ribella al governo centrale per ottenere l'indipendenza di una terra che non era sua. Secondo la visione biblica l'esilio dalla propria terra, cultura, tradizione è la punizione peggiore che può capitare a una collettività. Questo è peggio della morte. Lo dico perché tante volte noi abbiamo atteggiamenti critici nei confronti degli extra-comunitari, ma bisognerebbe vedere le cose dal loro punto di vista.
Bene, il re Ciro la pensava diversamente: voleva tenere i popoli nella propria terra, ma tenerli sottomessi attraverso i tributi. Si pagavano le tasse e si stava tranquilli, protetti, mantenendo la propria identità. E così Ciro fa tornare gli ebrei in Israele e addirittura dà loro una sovvenzione per la ricostruzione del santuario. In cambio chiede solo il pagamento delle tasse. Solo che pare che il 90% degli ebrei non si muove affatto da Babilonia. Solo il 10% parte e crea a Gerusalemme un governo semi-indipendente. Si determina, così, una situazione anomala, in cui una parte della popolazione era a Babilonia e un'altra parte a Babilonia.
Esdra, il dirigente spirituale degli ebrei e Neemia, che era il dirigente più politico, decidono che gli ebrei devono capire cosa sono, devono ritrovare la loro fisionomia.
Dico questo perché la nostra ebraicità praticamente è stata inventata da questi due personaggi. Fino a quel tempo c'erano una serie di problematiche che la gente non si poneva neanche. L'ebreo medio pensava della Torah che fosse un rotolo di origine divina, ma a dire il vero non si sa fino a che punto la mettessero in pratica, anzi, sembra che l'applicazione fosse piuttosto scarsa. C'era sì l'adorazione a un Dio unico, ma  contemporaneamente si adoravano le varie divinità più o meno paganeggianti del tempo. Insomma, un ebraismo all'acqua di rose, molto inquinato. Esdra per primo interviene - siamo circa 300 anni prima dell'Era volgare - e invita a fare una scelta precisa. "Dobbiamo decidere cosa siamo". E questo da tutti i punti di vista. Ha preso una serie di disposizioni, che interessano anche noi oggi. Ma per la maggior parte sono state disattese. Il primo esempio è quello delle donne. Gli ebrei tornati dall'esilio si erano portati dietro le mogli e i figli babilonesi; praticamente avevano dimenticato tutto, anche i loro aspetti religiosi. Quindi erano ancora più inquinati di prima. Allora Esdra invita a rinviare in Babilonia le mogli e i figli nati là. Anche il libro di Rut richiama questa realtà. Ovviamente Esdra non riesce nel suo intento; forse molti avranno riso davanti a quella proposta assurda.
L'ebreo medio pensava: nel mondo ci sono gli ebrei, che siamo noi, che crediamo in un Dio unico, poi tutti gli altri sono pagani. Ma Esdra cerca di far approfondire la consapevolezza sulla loro identità religiosa. Circolavano, allora, una serie di testi sacri, dei quali in realtà non si sapeva se veramente erano sacri oppure no. Così Esdra dice che bisogna anche decidere quali sono i testi originali della tradizione ebraica e quali no. E' precisamente allo scopo di decidere quali sono i testi sacri e quali no che viene inventata la Grande Assemblea, la knesset, cioè luogo di riunione. Esdra istituisce questa specie di parlamento o sinedrio o un consiglio fatto di saggi, scelti non si sa come, che appunto erano chiamati a determinare quali fossero i punti determinanti della tradizione ebraica. L'Assemblea è costituita da 120 membri, 10 per ognuna delle 12 tribù di Israele. Questa Assemblea opera per circa 200 anni, per determinare cosa sono gli ebrei, la lingua, i principi fondamentali e stabilire quali sono i testi sacri che appartengono al canone biblico e quali no. Per alcuni libri non c'era alcun problema, si sapeva per certo che erano di origine divina, come la Torah, i grandi profeti, come Isaia, Geremia; su Ezechiele avevano dei dubbi, per es. Insomma le discussioni erano abbastanza animate.
Alcuni testi, così, sono rimasti fuori del canone e sono andati perduti. La Mishnà diceva che leggere dei libri non sacri, è una perdita di tempo, è una distrazione inutile.
Dobbiamo mettere in chiaro che la tradizione orale era trasmessa in tanti modi diversi e quindi era necessario capire come procedere.
Sottola direzione di Esdra, dunque, è stata fatta un'opera colossale per ridefinire che cosa fosse l'ebraismo, che era molto diluito e senza applicazione pratica seria.
Quindi possiamo dire che l'ebraismo attuale è la continuazione di alcuni principi vaghi, generici, che circolavano, come la Torah, ecc. Ma, se voi pensate ai tempi passati: come vivevano l'ebraismo ai tempi di Davide, per es. che è vissuto 1000 anni prima dell'Era volgare.
Pensate ai profeti, o anche i libri di Samuele e dei Re, che rimproveravano il popolo di continuare a adorare le bamot, cioè le alture, nelle quali si celebravano riti pagani. Invece di distruggerle e eliminarle, si continuava ad usarle a scopo di culto idolatrico; nessun re è mai riuscito ad eliminarle del tutto. Si faceva finta di adorare un unico Dio, mentre in realtà si seguivano anche altri dei.
Esdra fa un lavoro gigantesco, con delle polemiche interne incredibili. Sapete quanto sia difficile per gli ebrei andare d'accordo.
Bene, questa Grande Assemblea opera fino al tempo dei Maccabei, attorno al 150 a. E. v. Sappiamo che ha ripristinato la lingua ebraica, ha definito i libri sacri e determinato chi era ebreo e chi non lo era. Fra l'altro c'era anche il problema dei sacerdoti, i cohanìm. Il santuario era stato ripristinato, ma in esso potevano officiare solo i veri sacerdoti, quelli della famiglia di Aronne, il fratello di Mosè. Ma come si poteva risalire, se veramente la catena delle generazioni riportava ad Aronne o no?
Insomma ci sono state discussioni feroci. Anche per quello che riguarda la definizione del canone. Per alcuni testi, come ad es. il Qohelet, c'è stata tanta incertezza, tanta lotta. Alla fine questo libro è entrato nel canone, ma dopo polemiche infinite, perché secondo alcuni non aveva nulla di ebraico. Lo stesso vale per il Cantico dei Cantici. Sì, un bel libro d'amore, ma sacro perché? Alla fine è stato inserito nel canone, ma con animate discussioni.
Anche il periodo dei Maccabei è stato molto complicato. Pensate che nel santuario di Gerusalemme, in un certo periodo, hanno officiato dei sacerdoti, che non erano sacerdoti, ma forse non erano nemmeno ebre. I nomi che avevano erano completamente fuori della tradizione ebraica: Giasone, Menelao. E pare che per diventare sacerdoti occorresse una specie di avallo da parte delle autorità ebraiche, ma soprattutto da parte delle autorità che detenevano il potere politico, quindi è capitato che il sommo sacerdote sia stato designato dalle autorità ellenistiche. Insomma, periodi drammatici.
La Grande Assemblea, in mezzo a tutte queste difficoltà, pone le basi di quella che deve essere la grande tradizione ebraica, inventando degli strumenti per interpretare il testo biblico. Il testo, preso così, non vuol dire molto. Ma attraverso regole ermeneutiche il testo può essere studiato. Se io mi approccio al testo biblico allo scopo di studiarlo, sono libero di studiarlo come mi pare. Mi viene soltanto chiesto di avere una onestà intellettuale; non devo cioè far dire al testo quello che non dice. Leggo un passo e a mio giudizio posso interpretarlo come voglio, con tutte le conoscenze che possiedo.
Ho la libertà di ricavare dal testo ciò che voglio, se lo approccio con onestà. Se invece lo approccio con l'intenzione di ricavarne qualcosa, sto deformando il testo biblico.
Questo in generale. Ma questo è un principio ricavato dalla Grande Assemblea. Se si vuole ricavare dal testo biblico la normativa, ognuno non può andare per conto suo, altrimenti si avrebbero tante normative quante sono le persone. Allora occorre mettere in pratica dei parametri, adoperare degli strumenti, tredici regole da mettere in pratica quando si vuole estrapolare dal testo biblico la genuina interpretazione della Legge orale per applicarla nella pratica. Queste 13 regole sono anche molto logiche.
Per es. "mai estrapolare un testo dal suo contesto", cioè non posso prendere un testo e studiarlo senza tener conto di quello che c'è prima e di quello che viene dopo.
Per es. istituendo il problema dell'analogia. Se ci sono due casi analoghi, stabilito dal testo biblico, e per uno dei due il testo biblico mi dà la soluzione, ma per l'altro no, però tra i due c'è un collegamento, per es. sul piano formale, di espressioni usate, bene, io applico al passo non spiegato quello che è stato detto per il passo spiegato.
Poi c'è l'interpretazione dal piccolo al grande. Lo dico in modo molto brutale. Se il testo biblico mi dice qual è la punizione per chi ruba una mela, ma non mi dice qual è la punizione per chi ruba un milione, cosa faccio? Si applica al milione gli stessi parametri applicati per la mela. Il testo biblico dice che chi runa qualcosa e poi si pente, questa persona deve restituire il maltolto aumentato di un quinti; se non si pente, ma viene scoperto dal tribunale, è condannato a restituire il maltolto più il 100% di quello che ha sottratto. Ha rubato una mela, ne deve restituire due della stessa quantità. Non si può dire: "ha rubato tanto, deve restituire di più".
Se ci sono due versetti in contrasto tra loro, cosa si fa? Non si applica la legge a nessun dei due, a meno che non s trovi un terzo passo che metta d'accordo le due cose. Quindi c'è una griglia di interpretazione molto precisa. Ci sono altri modi, ma non riguardano l'applicazione pratica: il valore numerico delle parole, l'acronimo, la forma delle lettere. Un maestro ha detto che per interpretare il testo biblico ci sono 70 modalità. 70 indica un altissimo numero. Ma per ricavare la normativa le regole sono 13.
Quindi viene stabilito come si deve fotografare in ogni generazione la interpretazione della legge orale, che ci porta a mettere in pratica il principio della legge scritta nella pratica quotidiana. Queste cose, nonostante sian passati secoli di guerre e conquiste (i Maccabei, poi i Romani,ecc. ).
Un'altra fase importante della trasmissione è avvenuta all'incirca nel 70 dell?Era volgare; siamo in pieno conflitto coi Romani. Ormai si capiva che le cose andavano male: assedio di Gerusalemme, distruzione dello stato ebraico, distruzione del santuario e una dispersione più generale, perché i Romani li disperdono in tutto il bacino del Mediterraneo: Africa del Nord, Roma, ecc. In questo marasma politico, quando Gerusalemme stava per cadere - siamo nel 70 dell'Era volgare - c'è stato un personaggio analogo a Esdra, che, in contrasto forse con l'establishment ha capito che lo stato era perduto, l'indipendenza stava per essere distrutta. Dunque, a Gerusalemme assediata, questo rabbì Yehudà Ha-nassì (il principe) decide di uscire dalla città, cosa impossibile per ordine dei Romani, che non scherzavano affatto negli assedi.
Rabbì Eudan si fa portare fuori da Gerusalemme dentro una bara, è riuscito a uscire, si è presentato al capo, che era Tito, lo blandisce e alla fine gli chiede solo un favore: e chiese che la sua piccola scuola potesse trasferirsi a Iavné. Questa scuola, dopo la caduta di Gerusalemme, è rimasto l'unico punto di riferimento culturale, religioso e politico per gli ebrei. C'era un gruppo di persone che si ritenevano depositarie della tradizione ebraica. Questa Iavnè, in realtà, ha salvato la tradizione ebraica e ha anche continuato a svilupparla. Poi è stata scritta la Mishnà, poi il Talmud. Questa scuoletta, che sembrava insignificante, è diventata il centro della trasmissione della cultura e della normativa ebraica. Ma attenzione. Lo stesso personaggio, più tardi, ha pensato di mettere per scritto la normativa che fino a quel momento veniva trasmessa oralmente. E questo ha suscitato uno scandalo nazionale per gli ebrei. C'era chi sosteneva che la situazione di perdita dello stato, era solo provvisoria; erano sicuri che i Romani sarebbero caduti e si sarebbe tornati alla situazione di prima. E perciò bisognava continuare a trasmettere la tradizione seguendo i parametri originali. Invece c'era anche chi sosteneva che ormai tutto era perduto, che la situazione coi Romani era insostenibile e l'esilio, la perdita di indipendenza politica, e quindi occorreva mettere per scritto le norme, altrimenti sarebbero andate perdute, o peggio ancora, ogni comunità ebraica del mondo, nel corso dei secoli, si elaborerà una tradizione propria.Questo testo della mishnà non è il primo. Qualcuno aveva puntato sulla trascrizione, ma poi si erano anche pentiti e avevano distrutto la loro opera. Temevano che, col loro scritto, la tradizione si sarebbe fossilizzata. Finalmente, dopo polemiche intensissime, è stata scritta la Mishnà. E' un'opera molto difficile da capirsi, scritta in un ebraico classico, in 6 grandi volumi, che trattano rispettivamente: il primo delle norma agricole, il secondo delle festività, il terzo delle donne, matrimonio e divorzio, il quarto diritto penale e civile, il quinto e il sesto delle norme di carattere prettamente religioso, sacrifici, leggi di purità, e così via. Il gergo è per grandi specialisti. Per es. c'è un trattato che parla del sabato, cosa si può fare e cosa no. il testo comincia così: "Regole del sabato. Le uscite del sabato sono 4, che però sono 8". Ma cos'è? Cosa sono le uscite del sabato. I rabbini capivano, ma la gente normale no. Poi prosegue e dice: "Adesso ve lo spiego. I casi sono molteplici; c'è un povero che chiede l'elemosina e si presenta e io che sono a casa mia, dovrei rispondere alle sue richieste. Se il povero mi porge la ciotola e mi chiede la minestra, se io riempio la ciotola, faccio bene o no? Ma che domande sono? Tutti i grandi maestri sanno che lo spazio in cui viviamo è diviso in tanti settori; esiste lo spazio privato. Cioè, per es. quello che è in questa stanza, appartiene al convento. Invece la strada appartiene a tutti.
Se sono sul mare e mi spingo un po' avanti, a chi appartiene quello spazio? A nessuno. Nessuno esercita una sua sovranità su questo spazio. Ma c'è uno spazio che esula da queste caratteristiche, è un altro tipo di spazio. Lo spazio che intercorre tra qua e la luna, è uno spazio,non c'è dubbio, ma lo posso chiamare privato, pubblico? No,. Ma mentre nel mare ci posso andare, nei cielo no.
Allora il problema del sabato è quando. Esiste una regola che dice che di sabato è proibito fare attraversare il confine immaginario tra uno e l'altro degli spazi, a qualsiasi oggetto che non faccia parte dell'abbigliamento personale. Ci siamo? Adesso cominciate a intuire la storia del povero e della ciotola. Se il povero allunga la mano e fa entrare in casa mia la sua ciotola, trasgredisce il sabato, perché fa entrare in casa mia un oggetto che non è di dotazione personale. Se io riempio la ciotola di minestra e faccio metter dentro la mano al povero, è sempre lui che ignora il sabato, due volte! Perché ha fatto entrare e uscire. Ma se sono io che prendo la ciotola e gliela porgo fuori, sono io che violo il sabato.
La Mishnà è stata scritta nel II sec. ed è stata, nei tre-quattro secoli successivi, commentata dai maestri nelle discussioni del Talmud. Han preso pezzo per pezzo, con discussioni infinite e senza arrivare a una conclusione. Un povero ebreo medio qualunque non può riuscire ad arrivare a capo di una comprensione pratica di tutte le norme.
Quindi la trasmissione orale è fatta attraverso di generazioni di sapienti. E la modalità adoperata è quella delle domande. Un ebreo qualsiasi, che dall'altra parte del mondo, ha dei problemi specifici, può chiedere al suo maestro la soluzione. Pone il quesito: "Come devo comportarmi?" e il rabbì ha il dovere di rispondere. Però lui ha il dovere di accettare la mia risposta. E se non gli va bene, deve cambiare maestro e non pensare di poter cambiare la testa al maestro.
Però immaginiamo che a quei tempi, vista la difficoltà di comunicazione, alcune domande potevano andare perse e lo stesso per le risposte. Però si è andati avanti così per secoli, senza un codice preciso di interpretazione delle norme.
Chiuso il Talmud, circa nel 500 della nostra era, si è fatto in seguito un primo tentativo di creare un codice, all'incirca nell'anno 1000, 1200, quando il grande Maimonide scrive il Mishné Torah, la Ripetizione della Torah, che è un codice nel quale, in un ebraico pulito, comprensibile a tutti, in 14 volumi stabilisce tutta la normativa ebraica che comprende tutto quello che era stato scritto precedentemente, in una lingua comprensibile; bastava sapere l'ebraico anche non correttamente, ma si riusciva a capire la risposta. Inoltre questo testo non entrava in discussione. E poi un altro vantaggio era che comprende tutto; Maimonide inserisce regole che ormai da secoli non erano più praticate. Pensate, le feste, le normative, il diritto penale e civile e anche il funzionamento dello Stato. Lo Stato ebraico non c'era più da 1200, ma lui spiega come dovrebbe funzionare se ancora ci fosse: le prerogative del capo del governo, da chi deve essere appoggiato, cosa può e non può fare.
Uno può prendere questo codice e trasferirlo in una realtà moderna.
Appena scritta questa roba, noi ci aspetteremmo tanti complementi e invece non vi dico lo scompiglio. Maimonide è stato accusato delle più gravi nefandezze. L'accusa più grave è stata quella di creare una generazione di ebrei imbecilli, perché fino adesso, chi voleva sapere qualcosa si metteva a studiare, a ricercare, invece così la gente perde il gusto dello studio e della dialettica. Inoltre, su determinati argomenti, sui quali i maestri delle generazioni precedenti erano in disaccordo, chi aveva dato a Maimonide l'autorizzazione di scegliere una risposta invece che un'altra e proporla come norma. Lui rispondeva che la gente aveva bisogno di sapere con chiarezza quello che deve o non deve fare. Insomma, Maimonide è stato, per molto tempo, criticatissimo e boicottato.
Un secondo tentativo è avvenuto 300 anni dopo con Iosef Caro, nel 1570 circa, scrive un codice molto più ridotto, perché non tratta cose che non hanno più a che fare con l'attualità, come i sacrifici o le leggi sullo stato, ma solo cose più pratiche e di vita quotidiana, come le preghiere, il diritto civile e penale, le feste. Si tratta del Shulkàn aruch, che vuol dire "tavola apparecchiata" ed è scritto in una lingua non così forbita come quella del Maimonide. A me sta molto a cuore Maimonide, perché crea una sintesi tra i mondi; lui vive nel periodo delle Crociate, che è stato il periodo nel quale, oltre a cose terrificanti, sono avvenute cose importanti, perché si è ripetuto quello che era avvenuto ai tempi di Esdra. Si sono incontrati o scontrati tre mondi diversi: mondo ebraico, mondo cristiano e mondo mussulmano. Fino a quel tempo gli ebrei avevano un'idea molto chiara, come nel passato, cioè pensavano: ci siamo noi e poi tutti gli altri, pagani in un modo o in un altro. I mussulmani pensavano la stessa cosa: noi siamo la vera verità e poi gli altri, che non capiscono niente. La stessa cosa pensavano i cristiani.
A questo punto, però, gli ebrei hanno cominciato a capire che non era più applicabile quella distinzione tra loro e tutti gli altri, perché oltre a loro anche altri sono monoteisti. E se siamo tutti monoteisti, qual è la differenza tra noi? Da qui nasce lo scontro e ci si rende conto che il mondo è più complesso di quello che sembra. Maimonide opera una sintesi tra mondo occidentale e mondo orientale, anche nel linguaggio. Mentre Caro adopera un linguaggio più di origine semitica. Il codice di Caro si legge con meno facilità.
Faccio un esempio. Prendo la regola della circoncisione. Maimonide scrive che è stabilita dalla Torah e si fa così e così, con certe modalità, in certi giorni, con certi strumenti, ecc. e spiega tutto per filo e per segno. Lo Shulkan aruch, invece, parla con i casi e se uno non legge tutto il trattato, non capisce. Comincia a dire: "La circoncisione si può fare con qualsiasi oggetto". Ma chi non sa cos'è la circoncisione come fa a capire? Poi dice: si può usare un oggetto di vetro, di legno, di canna, di carta. Una casistica, che si legge e solo piano piano si comprende. Dopo aver detto le cose con le quali si può fare, elenca quelle con cui non si può fare. Prima ha detto che si fa con qualsiasi oggetto, poi dice quali sì quali no. E' un meccanismo più orientale, che procede per casi. Ci sono dei principi generali, ma non possono essere adattati a tutti.
Torniamo all'esempio che ho fatto prima. Uno dei dieci comandamenti dice di non rubare, ma qual è la definizione del rubare? Furto vuol dire appropriarsi di una cosa che appartiene a un altro? E' questione di quantità? Se io passo davanti a un negozio che vende le acciughe, trovo dei barili con le acciughe che sono ricoperte con del sale. Allora io passo di lì e mi approprio di un granello di sale. Ho fatto un furto sì o no? Prendo una cosa che non è mia e appartiene a un altro. Ma il padrone del negozio, si sente proprietario delle acciughe, del barile o anche del sale. E poi ha un valore irrilevante e allora ho rubato o no? la risposta non ce l'ho.
Altro esempio. Vado per strada e vedo una signora con un capello che le è caduto sulla spalla. Io prendo il capello e lo butto via. Faccio un furto? Chi m'ha detto che la signora non ci tenesse al suo capello sulla spalla. Insomma i nostri maestri dicono che ogni caso è un caso a sé. Il principio devo averlo sempre presente, ma devo valutare quali sono le circostanze speciali che riguardano quel caso specifico, per arrivare alla conclusione.
Stabilito questo, dopo il Shulkan aruch, non c'è più stato un rinnovamento della legge ebraica, perché non esiste attualmente un corpus, un'istituzione che si senta demandata a modificare la legge ebraica. Per cui viviamo in un periodo un po' delicato. Con uno sviluppo tecnologico spaventoso, per cui ogni giorno ci si presentano problemi nuovi, la nostra legge è rimasta indietro. Anticamente c'era la Grande Assemblea, che stabiliva le norme, ma oggi no. Vi faccio un esempio. Nel campo della bioetica, dell'ingegneria. Qualche tempo fa mi è stato proposto un problema, e non sapevo come rispondere e non lo so ancora adesso. Noi non abbiamo il permesso di cancellare o distruggere il nome di Dio, fosse anche solo la parola Dio. Se quel foglio, su cui è scritta la parola o il nome Dio, non mi serve più, io non devo fare assolutamente niente per distruggerlo, perché non ho l'autorità di cancellare il nome di Dio. Lo stesso vale per un testo sacro. Lo devo riporre e attendere che si consumi da sé, con il tempo. C'è un bellissimo midrash che dice che questa distruzione avviene nel corso di secoli e millenni, e mentre si consumano queste lettere cominciano a vivere una vita indipendente, svolazzano nello spazio e poi rientrano nella penna di qualcuno che sta scrivendo,. Le lettere mon posiamo distruggerle, perché sono i mattoni della creazione. Fin qui tutto bene, ma il problema è questo. La pronuncia del nome di Dio, sotto qualunque forma, registrata nel registratore o scritta al computer, posso cancellarla? Me l'hanno chiesto e non ho saputo come rispondere. Ci ho studiato sopra, ma non sono ancora arrivato alla conclusione. Qualcuno dice che si può cancellare, perché le cose scritte elettronicamente, non sono scritte, ma sono un qualcosa di virtuale e così non cancello niente. Inoltre non si tratta di una cancellazione definitiva, perché qualcosa nel computer resta sempre.
Così come si può cancellare la registrazione, perché quelle parole sono state dette e non vanno perdute.
Qualcuno, invece, dice che non si può cancellare. Ognuno dà la sua risposta, a seconda delle sue capacità, per esempio riguardo l'elettronica. Comunque io non sono convinto, devo ancora studiarci sopra!


Torna ai contenuti | Torna al menu