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La preghiera in famiglia e il Sabato
(Rav Luciano Caro)


Parlando di preghiera nel mondo ebraico, diciamo un qualche cosa che forse si discosta dal concetto di preghiera nel mondo occidentale e nel mondo cristiano in particolare. Noi traduciamo con il termine preghiera il termine ebraico "tefillà" (anche se non è così facile tradurre); questo indica qualunque espressione detta mediante la parola, di sentimenti nei confronti di Dio. Tutte le volte che io esprimo qualsiasi sentimento verso Dio si dice che io faccio una "tefillà".
La radice ebraica della parola fa venire in mente il concetto di giudizio: quando noi diciamo una tefillà, non è che noi preghiamo Dio, che gli chiediamo qualche cosa, è quasi come se entrassimo in conflitto con Dio, come quasi un voler giudicare Dio; l'uomo rivolge il suo pensiero a Dio molto spesso in senso critico, noi vorremmo insegnare a Dio quello che deve fare... Signore Dio ma perché non fai così, fa questo per me....come se Dio fosse al nostro servizio.
Il contenuto di questa tefillà può essere di preghiera, di richiesta, di ringraziamento, di stupore di fronte alle meraviglie del creato, di protesta perché dal nostro punto di vista    Lui non fa quello che vorremmo, qualche volta perfino di bestemmia; sì, anche questa è una tefillà, perché comunque l'uomo rivolge il suo pensiero mediante la lingua parlata a Dio.

Nella tradizione ebraica ci sono due tipi di tefillà: tefillà detta spontanea tutte le volte che l'uomo per qualsiasi necessità si rivolge a Dio per tutte quelle cose che ho detto prima (per ringraziare, per esprimere stupore, riconoscenza, per protestare); lo può fare come e quando gli pare, qualsiasi luogo è buono, qualsiasi circostanza è buona, qualsiasi umore è giusto, qualsiasi ora è giusta. Mi viene voglia di rivolgermi a Dio e lo faccio.
Poi c'è la tefillà cosi detta riflessa, obbligatoria. Ogni ebreo è tenuto a rivolgere una preghiera a Dio tre volte al giorno (rivolgere a Dio il suo pensiero) mediante la recitazione di una serie di formule antichissime scritte in lingua ebraica che vanno recitate possibilmente con concentrazione e recitate in tre diversi momenti della giornata.
Qui c'è un problema storico che non è stato ancora risolto: c'è chi dice che l'obbligatorietà di rivolgersi a Dio tre volte al giorno per manifestare i nostri sentimenti risale fino ai tempi antichissimi nelle prime pagine del testo biblico, cioè il Pentateuco. C'è chi dice che non è vero niente, che la forma antica di culto così come era prevista dal testo biblico era il sacrificio.
Anticamente c'erano i sacrifici che erano un modo da parte dell'uomo per esprimere a Dio gratitudine per quello che aveva avuto. Di solito erano immolati degli animali anche accompagnati da offerte secondarie di farina. Questa cosa può far storcere il naso: come si può pensare che Dio abbia piacere se io sacrifico un animale con spargimento di sangue? Cerchiamo di portarci alla mentalità dell'uomo antico. L'uomo semita antico non era capace di pensare a manifestare la propria riconoscenza a Dio se non mediante un'offerta. Il testo biblico viene a ridimensionare questa cosa (tutti pensavano, nel mondo pagano, che l'uomo doveva presentare dei sacrifici), a disciplinare: vanno fatti solo certi sacrifici, solo certi animali, in certe ore del giorno, in un certo luogo, in certe circostanze.
Dietro questi sacrifici c'è un elemento molto importante: gli antichissimi ebrei erano pastori, contadini. Chiedere ad un pastore di dedicare a Dio un animale era una cosa molto importante, perché era una parte del proprio capitale; sarebbe come dire all'uomo della nostra società di offrire una parte della sua ricchezza. L'essere disponibile ad offrire a Dio qualcosa per cui noi abbiamo lottato e che è il simbolo della nostra capacità.
Ecco il concetto generale: offrire a Dio qualcosa che abbiamo avuto. Dietro tutto il cerimoniale del sacrificio c'era una forma di "tassa sanitaria" e una forma di "assistenza sociale", nel senso che dell'animale che veniva sacrificato una parte veniva bruciata in onore di Dio, una parte veniva data ai sacerdoti, che celebravano il culto.
I sacerdoti facevano i medici, gli avvocati, i giudici e il pagamento avveniva per mezzo di questa forma. Una parte del sacrificio veniva data anche ai poveri.
Interessante sarebbe studiare il rapporto che c'era tra l'antico ebreo e il mondo animale, perché sicuramente aveva un rapporto più corretto di quello che abbiamo noi; gli animali erano una compagnia, un capitale.
Ad un certo momento, per circostanze che esulano da questi discorsi, i sacrifici sono stati aboliti e allora i maestri hanno detto: noi sostituiamo il sacrificio degli animali con la preghiera. In antico si offriva a Dio una parte della mia ricchezza, non potendo più fare questo, ora io offro a Dio una parte del mio tempo, ed è più o meno la stessa cosa, perché per ogni persona il tempo può essere traducibile in ricchezza.

Ogni ebreo, ogni giorno, deve dedicare una parte del suo tempo a rivolgere il suo pensiero a Dio mediante la recita di formule che siano uguali per tutti, anche per cementare la coesione del popolo.
Una preghiera mattutina che sostituisce il sacrificio antico quotidiano mattutino, una preghiera pomeridiana che sostituisce l'antico cerimoniale del sacrificio pomeridiano e una preghiera serale che sostituisce l'analoga cosa serale. Questa preghiera va fatta con una formula precisa, che i nostri maestri invitano a mantenere, perché non si può creare una discrepanza tra bravi e non bravi; la preghiera deve essere uguale per tutti, per evitare che ci sia il letterato che dice una gran preghiera e il poveraccio che non sa cosa dire. Così vogliamo manifestare la nostra uguaglianza di fronte a Dio.
Al di fuori di queste preghiere obbligatorie ci sono una serie di recitazioni che avvengono nell'ambito familiare.
Fin da quando un bambino è piccolissimo, dopo che ha imparato a chiamare mamma e papà e si rende conto del mondo circostante (2 o 3 anni), la prima cosa che gli viene insegnata nell'ambito familiare è la recitazione dello Shemà (Deuteronomio 6), che è diventato la parola d'ordine, l'atto di fede dell'ebreo: "Ascolta Israele, l'Eterno è il nostro Dio, l'eterno è unico...". Noi abbiamo il dovere di amare questo Dio e di mettere in pratica i suoi insegnamenti.
In certi momenti della giornata, in particolare al mattino appena alzati e alla sera prima di addormentarsi, si recita lo Shemà, specialmente la prima frase: "Ascolta Israele...". Questa frase noi la ripetiamo nel corso delle liturgie, in ogni circostanza, bella o brutta; con essa io proclamo l'unicità di Dio, io confido in Dio. Pensate che ogni ebreo ha il desiderio di finire la propria esistenza con la recitazione di questo passo.
Se un ebreo sente che sta per morire, desidera ripetere questa frase, perché è l'affermazione del nostro modo di pensare, della fede profonda nel Dio unico; è l'affermazione della vita familiare, la prima cosa che ci è stata insegnata. Se ci capita di assistere una persona che sta per morire e ci rendiamo conto che questa non può recitare la formula, io devo sostituire questa persona e recitarla possibilmente nel momento che questa persona sta spirando. Viene insegnata questa cosa in famiglia fin dalla nascita.
C'è inoltre tutto un mondo speciale che è quello delle " berachòt ", le benedizioni. E' tradizione ebraica che tutte le volte che noi facciamo qualcosa che ci dà soddisfazione o che è significativo per la nostra esistenza o da cui traiamo una soddisfazione di carattere materiale, prima di farlo noi dobbiamo recitare una benedizione a Dio. Ad esempio prima di mangiare: "Benedetto sii tu, o Signore, che tiri fuori il pane dalla terra"; o prima di indossare un vestito, ecc.
Questo non solo quando godiamo qualcosa di materiale, ma anche quando mettiamo in pratica un qualche cosa che riteniamo che sia un precetto divino, noi ringraziamo Dio perché vogliamo manifestare la nostra soddisfazione di avere l'opportunità di realizzare un comando divino.
La nostra giornata è scandita dalle benedizioni; ce ne sono per tutti i gusti e c'è una formula di benedizione per ogni cosa che ci capita. I nostri maestri hanno detto che un ebreo normale, nella sua vita, recita 100 benedizioni ogni giorno. Per es. alla vigilia del sabato si accendono delle luci o delle candele in casa e la donna, prima di fare questo, dice: "Ti ringrazio Dio di avermi dato la disposizione di accendere le candele", perché lei, facendo questo, trova soddisfazione. E' come se noi ringraziassimo di aver avuto l'ordine da Dio e, mettendolo in pratica, ci sentiamo portati su un piano di nobiltà spirituale.
Il problema che vorrei porre alla vostra attenzione è che molti si domandano che cosa voglia dire che noi recitiamo questa formula: "Benedetto tu o Signore, che hai fatto questa cosa...". Che arroganza è, la nostra, di benedire Dio?! Dio ha bisogno della nostra benedizione? Chi siamo noi che abbiamo l'ardire di benedire Dio? Se io fossi Dio, mi offenderei. Benedire Dio, significa dire bene. Oppure dietro a questo non c'è qualche altra cosa?

Prima di mangiare è norma che noi ci laviamo le mani, non solo per pulizia, ma anche se le abbiamo già lavate; anzi, c'è un cerimoniale particolare, quasi a sottolineare che il cibo, per noi, è una forma di culto. Mangiare è una necessità, ma lo dobbiamo fare con consapevolezza, tenendo conto delle disposizioni che Dio ci ha dato, ma tutte le volte che mangiamo noi entriamo in sintonia con Dio che ci ha dato delle disposizioni, perciò non dobbiamo mangiare come gli animali, secondo l'istinto, ma mangiare con consapevolezza, tenendo conto da dove ci viene questo cibo, che cosa possiamo mangiare o no, che il cibo è un elemento portante per consentire la nostra esistenza fisica, è la batteria che ci consente di vivere e la vita è una cosa importante, perché dobbiamo realizzare determinate cose.
Perciò prima di mangiare ci si lava le mani, come faceva l'antico sacerdote che prima di entrare nel santuario si lavava le mani, per purificarsi mediante l'acqua, che è un elemento con tanti significati. Oltre alla benedizione prima di mangiare, c'è anche quella alla fine del pasto.
Allorché nasce un bambino, si fa la circoncisione. All'età di 8 giorni, prima di intraprendere questa cosa, che è molto importante sia a livello familiare che comunitario, si recita una benedizione generica: "Ti ringrazio Signore Dio che ci hai dato l'ordine di celebrare questo rito"; poi il padre, con un'altra benedizione, ringrazia Dio di avergli dato questo piacere.
Ci sono delle benedizioni indirizzate non a manifestare il nostro piacere, ma anche quando capita qualcosa di brutto, o quando qualcuno mi comunica una brutta notizia. "Ti benedico o Eterno, che sei il giudice di verità"; come a dire: "Signore Dio, ho ricevuto una brutta notizia; per me è sbagliato, mi dà un grande fastidio, però riconosco che l'unico che è in condizione di sapere qual è la verità, la giustizia, sei Tu. Per me è sbagliato, ma se lo hai fatto tu, che sei il giudice vero, vuol dire che tu hai una logica, una giustizia che a me sfugge, che però io riconosco".
Niente in questo mondo può passare inosservato e banalizzato; tutto ciò che mi capita deve in qualche modo tener presente che noi dobbiamo rivolgere il pensiero a Dio.
Entro in un argomento che trae origine dai maestri della cabbalà (mistica ebraica). Per loro le benedizioni o le preghiere (qualunque parola rivolta a Dio) hanno una loro vita, indipendentemente dal fatto che io l'abbia pronunciata coscientemente o no. Queste parole hanno una loro vita e sono una specie di spermatozoi che riescono a penetrare dentro la divinità. Dio non è mai indifferente alle parole che l'uomo gli rivolge, hanno sempre una forza generatrice.
Passiamo al Sabato. Anch'esso, come tutte le giornate di festa, ha inizio la sera precedente. Quando si parla della creazione al cap. 1 della Genesi, si legge così: "E fu sera e fu mattina: 1° giorno"; noi interpretiamo alla lettera e iniziamo il giorno dalla sera. Perciò il nostro sabato ha inizio il venerdì sera.  Il primo pasto del sabato e di ogni giorno di festa è preceduto da un cerimoniale chiamato kiddush, cioè la "consacrazione" che noi facciamo della festa. Si recita una benedizione speciale, si beve del vino, si ringrazia Dio di averci dato il frutto della vite e di averci dato questa festa; vogliamo esprimere la grande soddisfazione di questa cena festiva, che si fa in famiglia, magari anche con gli ospiti.

Un altro cerimoniale fatto in famiglia è l'Havdalà, che significa "separazione" ed è legato al termine del sabato. Quando finisce il sabato, il cerimoniale prevede di bere del vino, di accendere un lume e prendere delle sostanze profumate (piante naturali, rosmarino); tutto questo è accompagnato dalla recita di benedizioni, che vogliono esprimere la nostra gioia di aver potuto celebrare il sabato anche questa volta. Diciamo così: "Benedetto sii tu, Dio che hai creato la luce, che hai creato il vino, che hai creato le sostanze odorose…".
Noi riteniamo che con l'entrata del sabato, entri in ognuno di noi un qualcosa che potrebbe essere chiamato anima supplementare; siamo più spirituali di quanto lo siamo gli altri giorni; se io mi metto nelle condizioni di voler celebrare questo sabato, il venerdì sera entra in me qualcosa di spirituale, superiore a quello che c'è in me negli altri giorni della settimana.
Quando finisce il sabato questa parte spirituale se ne va. Allora ci sembra quasi di svenire, di venir meno; per questo abbiamo bisogno di odorare le piante aromatiche, che col loro profumo intenso, ci aiutano a non svenire, a tenerci su.
Sabato in ebraico si dice shabbàt e significa "cessazione"; questo termine è ripreso dal cap. 2 della Genesi, dove è detto che l'Eterno creò il mondo in 6 giorni e il 7° cessò da ogni suo lavoro (2, 2). Subito dopo troviamo un versetto particolarissimo, che dice così: "…Dio si riposò da tutte le opere sue che aveva creato per fare" (v. 3).
Alcuni maestri spiegano che questo "per fare" vuol significare che l'uomo è chiamato a completare l'opera della creazione fatta da Dio, a darsi da fare; la funzione dell'uomo è di fare qualcosa in questo mondo e se non lo fa, viene meno ai suoi compiti. Tutto questo è in stretta relazione col sabato.
Noi abbiamo sei giorni lavorativi nei quale siamo tenuti a fare, a produrre qualche cosa, per risolvere i problemi che riguardano il sostentamento nostro e della nostra famiglia, della società, ma il 7° giorno dobbiamo cessare di fare, come ha fatto Dio.
Mi riferisco ai comandamenti: sei giorni lavorerai e il 7° riposerai, appunto il sabato. Il sabato ha senso solo se segue sei giorni lavorativi; c'è questa scansione del tempo: 6 lavorativi e 1 di cessazione. L'obbligo di fare qualcosa vale per tutti gli Ebrei; anche se uno è ricchissimo e non ha bisogno di lavorare, o se è malato, deve ugualmente fare qualche cosa. Non possiamo trovare scuse: l'opera della creazione non è completa se non c'è la cooperazione dell'uomo. L'uomo deve considerarsi socio dell'Eterno nell'opera della creazione: Lui hai fatto e noi dobbiamo continuare a fare e completare. E' un problema di responsabilità: Dio ci ha affidato qualche cosa e noi dobbiamo custodirlo, produrre.
Questo elemento del sabato si inserisce in un discorso importante nella considerazione della tradizione ebraica e cioè nell'elemento del tempo. Altre civiltà antiche e moderne attribuiscono un grande valore allo spazio e hanno dedicato molte energie nell'edificare delle cattedrali, dove rappresentare nello spazio la divinità.
Direi che la forma più pura del monoteismo ebraico tiene conto dello spazio, ma tiene conto della divisione soprattutto del tempo.
Torniamo un attimo al passo biblico della creazione. Sempre in Genesi 2, 3 è detto: "Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, lo consacrò", cioè gli attribuì un valore superiore a quello normale. La prima cosa che Dio santifica è il sabato, il tempo, qualcosa che è collegato con il tempo.
L'ebraismo è una religione che è protesa a santificare il tempo, forse anche un po' come forma di polemica nei confronti del mondo antico, dove si dava molta importanza allo spazio che veniva dato alla pietra, al santuario, al mausoleo, tutte cose che dal nostro punto di vista sono cose materiali, strumenti, ma la cosa superiore è la santità, qualcosa che è collegata con il tempo.
Un filosofo dice: "Noi consumiamo tempo per guadagnare spazio" ed è una cosa sbagliata. L'uomo di solito fa un qualcosa che è poco opportuno, tutto quello che è materiale e per fare queste cose ci mangiamo il tempo che potremmo e dovremmo utilizzare per cose importanti. Potremmo dire che le grandi "cattedrali" del popolo ebraico sono le feste e in particolare il sabato. Sì, il Sabato è la nostra cattedrale, una specie di santuario portatile che non può essere distrutto e che ci portiamo dentro e che celebriamo tutte le settimane a completamento di 6 giorni e, facendo questo, noi ci riportiamo alla creazione. Quindi celebrare il sabato significa riconoscere che tutto è stato creato da Dio e che Egli è il giudice supremo e il sovrano che sovrintende a tutto quello che è stato creato.
Uno dei significati del sabato è anche quello di ricostituire l'unità del genere umano, perché nel Sabato non si può lavorare; nessuno può lavorare, neppure le persone che sono al nostro servizio. Così il ricco e il povero, il padrone e lo schiavo, il datore di lavoro e l'impiegato, sono tutti uguali, in una dimensione spirituale.
Almeno un giorno alla settimana dobbiamo saper fuoriuscire dal tutto; se io studio qualche cosa per la mia professione, non lo posso fare, ma se io voglio studiare per me, per soddisfazione, lo devo fare.
C'è poi un elemento materiale nelle "proibizioni": non cucinare, non comprare il giornale, non guardare la televisione. Sono tutte cose che fanno parte della nostra vita schiavizzata, perciò dobbiamo fuoriuscire da questi elementi, da queste dimensioni.
Oggi ci sono degli accorgimenti tecnici che ci permettono di fare delle cose, di godere di alcune possibilità senza contravvenire al sabato. Per es. nel passato accendevano le luci del sabato prima del sabato, mentre oggi noi possiamo adoperare degli accorgimenti: ci sono i timer regolabili che, senza cucinare, permettono però di tenere in caldo le cose.
Tutte queste proibizioni possono sembrare molto formali, ma dietro di esse c'è un elemento didattico importante: la celebrazione di Dio creatore, di Dio sovrano e il cercare di uniformarsi a ciò che ci ha insegnato, l'unità del genere umano nell'eliminazione delle distinzioni di carattere sociale.
Per noi Ebrei la settimana mentalmente è stabilita così: la domenica, il lunedì e il martedì si vivono sotto l'influsso del sabato che è passato, il mercoledì si incomincia ad entrare psicologicamente nella preparazione e nell'attesa del prossimo sabato, il venerdì è una giornata infernale, è la vigilia, tutta impegnata a preparare tutto il necessario per mandare avanti una famiglia il sabato.
Al sabato sono riservate tutte le cose migliori che abbiamo: le posate, le tovaglie, gli alimenti migliori, il bel vestito. Tutte le cose migliori vanno per il sabato, per sottolineare questo elemento che diventa un'aspirazione continua.
Come si passa il tempo, il sabato? Cercando di fare tutte quelle cose che non si possono fare nella settimana: il mangiare meglio e più a lungo, stare con le persone, stare a tavola con i figli, con gli amici (il sabato senza ospiti vale poco).
La giornate viene passata con una preghiera pubblica più lunga, più intensa, studiando tutte quelle cose che ci fanno.
Di sabato non è proibito il lavoro fisico in assoluto, perché, per esempio, non posso suonare al campanello, ma posso bussare alla porta. Attenzione: non è una formalità sciocca! Il bussare è una operazione materiale che può fare anche un animale e di sabato sono proibiti quei lavori che dimostrano l'intelligenza dell'uomo. Suonare un campanello significa mettere in funzione tutto un meccanismo che non ci dà fatica fisica, ma è un segno del dominio dell'uomo sulla natura, un segno della produzione che io debbo fare negli altri giorni; di sabato, invece devo estraniarmi da tutto ciò che richiama quella materialità in cui sono immerso negli altri 6 giorni della settimana.
Però anche tutte quelle azioni che sono proibite di sabato decadono di fronte alla necessità di salvare una vita umana, perché la vita è la realtà più importante in assoluto e il nostro Dio è il Dio della Vita.


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