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La risurrezione dei morti
(Rav Luciano Meir Caro)
La cultura e la tradizione ebraica sono state sempre aliene dall'approfondire delle tematiche che fuoriescono dalla nostra comprensione, dal razionale. C'è un versetto nel Deuteronomio che dice che le cose occulte appartengono a Dio. A noi appartiene la possibilità di approfondire le cose rivelate e il mondo che ci sta attorno è già talmente complicato da capire che è già molto se ne riusciamo ad intuire qualche cosa. Non viene negata la certezza che esista un qualcosa che noi non conosciamo, ma si preferisce non perdere tempo su ciò di cui non possiamo parlare in modo razionale.C'è un testo nelle Scritture che potrebbe aiutare a compiere una riflessione su questo tema, anche se io ho alcune titubanze. Si tratta del capitolo 37 del profeta Ezechiele, sicuramente il più bel capitolo di tutta la sua profezia e anche una delle pagine più belle della Bibbia ebraica; in esso il profeta immagina di avere una visione divina e di trovarsi in una valle molto ampia, di percorrerla e di vederla tutta cosparsa di ossa, di scheletri. Qui sente la voce di Dio che gli domanda: "Figlio dell'uomo, potranno queste ossa rivivere?" e lui: "Signore Dio, lo sai tu!". Molto spesso quando Dio parla con l'uomo, comincia da lontano, dandogli la possibilità di riflettere sull'argomento. Sono tutte lezioni per noi; quando noi vogliamo affrontare un discorso serio con qualcuno, diamogli prima il tempo di prepararsi.
Il testo costata che il profeta sente un soffio, uno spirito che soffia su queste ossa, le quali si rianimano, riprendendo il loro corpo e finalmente risorgono. L'allegoria di queste ossa viene spiegata dicendo che esse rappresentano il popolo ebraico.
Siamo nel periodo storico in cui gli Ebrei erano stati deportati in Babilonia da Nabucodonosor, nel 630 prima dell'Era volgare; gli Ebrei si sentono finiti, perché ormai hanno perso tutto: l'indipendenza, la cultura, la tradizione, i principi religiosi. La concezione che avevano di se stessi era assolutamente negativa: "Siamo un cimitero".
Il profeta, per bocca di Dio, trasmette il messaggio positivo che le ossa potranno rivivere, che non tutto è perduto, che la storia del popolo potrà ricominciare: ci sarà la resurrezione, il ritorno alla Terra.
Vi invito a rileggere questo passo, che è anche molto bello dal punto di vista letterario.
Da questo tipo di lettura ad arrivare a una lettura secondo cui qui sarebbe rappresentata un'immagine della resurrezione dei morti, secondo me corre tanta strada. Ritengo che sia arbitrario pensare a una cosa di questo genere. Non lo so! Ma questo è un mio punto di vista personale.
Sapete che esiste un concetto che va sotto il nome di polivalenza della profezia, a dire che le profezie possono essere lette in tante chiavi, riferendole a un periodo storico o a un altro, a un individuo o alla collettività; in qualche modo ognuno trova nella profezia quello che cerca; quindi può anche darsi che qui sia adombrata la possibilità che il corpo umano, dopo la morte, riprenda le sue forme.
Ritorno a quanto dicevo all'inizio. Il problema della morte. Cosa succeda dopo, noi non lo sappiamo e il testo biblico è straordinariamente ambiguo, nel senso che non esiste nemmeno una terminologia che faccia distinzione tra la parte corporale dell'essere umano e la parte spirituale. Si parla, nella Bibbia, di nefesh, che nell'ebraico moderno si traduce anima e nell'ebraico antico significa semplicemente essere vivente, essere che respira, qualunque cosa che abbia vita biologica.
Sembra che il testo sacro affronti il problema in questo modo. L'uomo è composto di varie parti: una materiale e una spirituale, ma le due sono compenetrate e non è assolutamente possibile fare una distinzione.
Qualcuno artificialmente la fa. Dio che ispira il soffio nel corpo dell'uomo, quindi ci sarebbe una parte spirituale che proviene direttamente da Dio. Ma son tutte belle parole, che ci dicono poco.
Quindi, ripeto, dal punto di vista biblico non si fa una determinazione di cosa sia l'anima separata dal corpo.
Ci sono delle idee molto vaghe qua e là, ma talmente vaghe che non è serio ricavarne qualche cosa. Qualcuno fa riferimento all'espressione biblica che indica che uno è morto e cioè: "Giacque con i suoi padri". Non si dice che è morto, quindi si vuole indicare che la sua anima si riunisce a quelli delle generazioni precedenti. Sarà così. Ma 'giacere con i padri', potrebbe anche solo significare che una persona è morta ed è stata sepolta al cimitero vicino al sepolcro del nonno.
Ci sono alcune espressioni, però, che ci fanno pensare.
Per esempio, nel libro del Deuteronomio, Dio parlando di se stesso, dice: "Io sono quello che fa morire e fa vivere. Sono quello che colpisco e guarisce". Qualcuno qui trova una riferimento a una vita post-mortem, perché Dio dice prima 'che fa morire' e dopo 'che fa vivere'. Io ci credo abbastanza poco.
Dal testo trasversale della Bibbia sembra risultare che gli antichi avessero un concetto abbastanza nebuloso di quello che succede dopo la morte. Si dice che i morti vanno nello Sheòl. Ma anche questo Sheòl non è ben identificato; sembra si tratti di un abisso dove i morti stanno tutti insieme, senza avere percezione di se stessi e ogni tanto possono essere evocati da qualcuno che ne sia capace. Ma questa evocazione li disturba. Si tratta comunque di idee molto generiche, che lasciano il tempo che trovano.
Il libro dell'Ecclesiaste - che è un libro molto contraddittorio, tanto che non sappiamo mai se le sue affermazioni sono affermazioni o domande - dice: "Chi sa se la vita dell'uomo è simile a quella dell'animale?". Cioè come muore l'uno, muore anche l'altro. Non so se l'autore voglia dire che colui che sa, capisce bene che non c'è nessuna differenza tra un essere umano e un animale, perché moriamo allo stesso modo. Oppure se voglia porre la domanda se davvero come muore l'uomo, muore anche l'animale. Poi il testo continua, presentando una frase contraddittoria: "La polvere tornerà alla polvere da dove è venuta, ma lo spirito torna a Dio" e qui con polvere è inteso l'uomo. Allora? C'è di nuovo questa distinzione: lo spirito che Dio ha collocato dentro di me, quando il mio essere non ci sarà più, torna a Dio? Ripeto: sono cose talmente vaghe, che non è serio ricavarne una dottrina elaborata. E ripeto ancora che il problema non ha mai interessato in modo particolare l'antica tradizione ebraica.
Prendo ancora una frase da Isaia: "Verrà il giorno in cui i morti si sveglieranno". Si riferisce letteralmente al risveglio dei morti a una nuova vita, oppure potrebbe voler dire che noi andiamo a risvegliare ciò che di buono le generazioni precedenti ci hanno insegnato?
Qualcosa di più rispetto al testo biblico lo troviamo nella letteratura post-biblica.
Facendo un rapidissimo salto temporale, ci spostiamo all'incirca nel periodo del secondo tempio, cioè al ritorno degli Ebrei dall'esilio babilonese, allorché ricostituiscono un'indipendenza nazionale nella loro terra e cioè nel 500 prima dell'Era volgare. Da questo momento cominciano a porsi il problema in forma più diretta: ma cosa succede dopo la morte? Il problema diventa una tematica oggetto di scontro tra due grandi filosofie.
Avrete sicuramente sentito parlare di farisei e sadducei, questi due grandi movimenti intellettuali, dei quali però non sappiamo un gran ché. C'è chi dice che i farisei rappresentassero la classe popolare e i sadducei la nobiltà, ma c'è anche chi afferma l'esatto contrario. I farisei sono stati circondati da un alone negativo, a causa di alcune espressioni del Vangelo, tanto che se uno vuole indicare una persona falsa lo chiama fariseo.
Bene, questi due movimenti di opinione erano in contrasto tra loro su tante cose. Già dal nome che i farisei si erano dati, cioè i perushìm, i separati, si capisce la connotazione elitaria, come a dire che loro erano superiori alla massa degli ignoranti. I sadducei, in ebraico zaddukìm, o si rifaceva a Zadòk, un antico sacerdote, oppure facevano risalire il loro nome all'espressioni zaddìk, giusto. Per dire: voi siete i separati, ma la giustizia l'abbiamo noi.
Questi movimenti hanno interessato la vita del popolo ebraico per 200-300 anni, hanno litigato prima su problemi di carattere ideologico, poi sono scesi a litigare su questioni terra terra, di politica e questa è stata la fine di tutto, nel senso che il loro litigio si è talmente degradato, che a un certo momento hanno dovuto chiedere l'intervento dei Romani. E i Romani sono venuti a portare la pax romana e hanno cominciato a comandare loro e il popolo ebraico ha perso la sua indipendenza.
Uno dei problemi sui quali si scontravano era proprio quello dell'esistenza della vita dopo la morte. Hanno cominciato a discutere sull'interpretazione del testo biblico: bisogna interpretarlo alla lettera oppure bisogna capire lo spirito del testo e dargli applicazione al tempo in cui vivo? Sembra che i sadducei pensassero che bisognava riconoscersi nel testo e basta. Per fare un esempio clamoroso: l'espressione "Occhio per occhio e dente per dente" va presa alla lettera, secondo loro, senza farci tanta filosofia sopra. Se uno mi cava un occhio, anch'io dovrei fargli lo stesso. I farisei, invece, erano contrari a una lettura di questo genere. Per loro l'espressione "Occhio per occhio e dente per dente" significa che ci deve essere un equilibrio tra la pena e il delitto compiuto. In un mondo dove la vendetta personale era considerata normale, interviene un giudice e cerca una giusta misura tra il delitto e la pena meritata. I farisei quindi intervenivano applicando un risarcimento pecuniario.
Gli esempi potrebbero essere tantissimi, ma arriviamo al nostro argomento della sopravvivenza dell'anima al corpo.
Erano tutti d'accordo sul fatto che c'è un qualche cosa. Quando noi moriamo, non è finito tutto, ma qualcosa permane. Dove, come, quando non lo sappiamo. La divergenza consisteva in questo: secondo i sadducei, sull'argomento non c'è nessuna traccia nel testo biblico; i farisei, invece, affermavano che trasversalmente a tutto il testo biblico si può riscontrare una dottrina sull'esistenza di qualcosa dopo la morte.
Quindi il problema comincia a prendere corpo tre secoli prima dell'Era volgare, allorché gli Ebrei ritornano da Babilonia e dobbiamo tener conto che queste civiltà, con le quali erano venuti a contatto, quali i persiani, i babilonesi, gli egiziani, erano immerse nel mondo dell'aldilà.
Col passare dei secoli, poi, anche presso gli ebrei la dottrina sull'aldilà è stata codificata. In particolare con Maimonide, nel 1200. Questo grande maestro arriva ad affermare che fa parte dei principi fondamentali della dottrina ebraica la consapevolezza, la certezza che il corpo è separato dall'anima e alla morte del corpo l'anima sopravvive e un giorno o l'altro verrà richiamata in vita. E' come se l'anima si trovasse in attesa da qualche parte, ma un giorno o l'altro sarà richiamata a una vita più vicina alla nostra. Maimonide in un certo senso si contraddice, perché dice queste cose quando parla di filosofia, poi quando parla di normativa è molto più sul vago. Comunque stabilisce, sotto la pressione di certi eventi, i famosi 13 articoli di fede, punti fondamentali della dottrina ebraica.
Dobbiamo tener conto delle contingenze storico-sociali di quel periodo; in quel momento si stava realizzando l'incontro - scontro di tre grandi mondi: il mondo ebraico, il mondo cristiano e quello mussulmano. E questo anche nel contesto delle crociate. Mentre questi tre mondi battagliano tra di loro, prendono coscienza di se stessi e degli altri. Nei primi dieci secoli dell'Era volgare il mondo era molto più semplice; infatti gli Ebrei pensavano tranquillamente di se stessi di essere i monoteisti, mentre tutti gli altri pagani. Ma la stessa cosa pensavano i cristiani, ritenendo inoltre gli Ebrei più colpevoli degli altri per non aver accolto il messaggio a loro inviato. Lo stesso per i mussulmani, che si ritenevano i perfetti. Ma il fatto è che questi tre mondi non si confrontavano tra di loro, non entravano in contatto. Sono le crociate a costringere all'incontro e allora la gente comincia a farsi delle domande e a vedere anche negli altri delle verità, della somiglianze a loro, delle differenze. Così si crearono delle problematiche anche all'interno dei diversi mondi. Gli Ebrei erano perplessi, smarriti, perché l'Ebreo medio on aveva più una concezione precisa della propria identità. Maimonide allora offre al suo popolo uno scritto che potesse aiutare in queste contingenze e abbiamo il suo "La guida dei perplessi", in cui spiega quali sono i principi della fede ebraica. Ma questa opera ha suscitato delle forti polemiche contro di lui, perché si era arrogato il diritto di stabilire i principi della fede ebraica. Nei suoi articoli di fede Maimonide afferma che Dio è fuori dal tempo, non ha limitazioni di tempo e spazio; Dio ha creato ogni cosa; ha dato degli insegnamenti all'uomo e degli insegnamenti particolari agli Ebrei attraverso Mosè; Dio sovrintende alla gestione del mondo e provvederà a giudicare il mondo. Uno degli articoli afferma anche che la Legge data da Dio a Mosè è immutabile. Finalmente arriviamo al nostro punto: alla morte del corpo non è finito tutto, ma verrà un giorno in cui i morti risorgeranno. L'ultimo articolo afferma la venuta del Messia che risolverà tutti i problemi degli Ebrei e dei non Ebrei.
Ma se un Ebreo non si riconosce in uno di questi articoli, non è meno Ebreo.
Queste cose hanno delle ripercussioni anche nella nostra preghiera quotidiana. Per esempio una delle 18 benedizioni dice che Dio mantiene le promesse a coloro che dormono nella polvere, cioè i morti e la sua promessa è il ridare la vita. Infatti la benedizione si conclude così: "Sii tu benedetto, Signore, che fai rivivere i morti".
Qualcuno interpreta questa frase dicendo che vuole significare che Dio fa guarire i malati gravissimi e non che risuscita i morti. Tant'è vero che se noi incontriamo una persona che era stata molto malata, in punto di morte e poi è guarita, dobbiamo recitare questa benedizione.
Dal Medioevo in poi è subentrato il concetto che le ossa saranno richiamate in vita, attraverso una rugiada - tal - divina. Qualcuno dice che questa rugiada è la parte liquida della luce di Dio. Ma qui entriamo nel campo minato della poesia e della mistica. La luce di Dio è la luce primordiale che Dio ha creato il primo giorno e non quella delle stelle e del sole, che noi vediamo; è una luce che vedranno solo i giusti al cospetto di Dio ed è costituita da una parte materiale, che ha una ricaduta in un liquido, che è la rugiada di Dio, vivificatrice e portatrice di vita.
La mistica ci ricama sopra. Saranno richiamati in vita tutti i morti, oppure no? Maimonide dice che saranno richiamati solo quelli che credono che la loro anima sarà richiamata in vita; se uno non ci crede, si autoesclude.
La porta privilegiata per entrare nella vita è Gerusalemme. Chi si fa seppellire a Gerusalemme, avrà un passaggio più rapido al momento della risurrezione dei morti. Tant'è vero che c'è ancora oggi un po' questa convinzione, che porta a volersi far seppellire a Gerusalemme, specialmente sul monte degli Ulivi. Nel passato delle persone hanno passato la vita in povertà, proprio per mettere da parte i soldi necessari per farsi trasportare da morti a Gerusalemme.
Il monte degli Ulivi era pieno di tombe ebraiche, ma al tempo della dominazione giordana, tutte le pietre tombali sono state tolte con grandi atti di inciviltà, anche per togliere ai defunti la possibilità di essere richiamati in vita, perché non c'erano più i nomi scritti sulle lapidi tombali.
Ma una cosa del genere è avvenuta anche da noi con l'Inquisizione, che, fra le altre cose, distruggeva le lapidi dei cimiteri ebraici; così a Bologna, così a Ferrara. Era il tentativo di liberarsi del passato degli Ebrei, pesante per i cristiani - così pensava l'Inquisizione.
Lo ripeto, perché sia ben chiaro: è una dottrina assolutamente irrazionale, che a noi fa comodo perché abbiamo paura della morte e abbiamo bisogno di consolarci dicendo che la nostra morte non è definitiva, ma solo un passaggio.
Gli ultimi filosofi ebrei affermano che questo è un problema sciocco, perché la morte è solo l'altra faccia della vita, che a noi è precluso di conoscere. Non c'è bisogno di disturbare le ossa, che devono rivivere.
Qualcuno mette in relazione questo discorso con quello dell'impurità. Nel testo biblico si parla di elementi che sfuggono alla nostra comprensione: si dice che la materia, tutto quello che esiste, compresi noi, può presentarsi in due aspetti: nell'aspetto della purità o in quello dell'impurità. Ma attenzione bene: quando dico purità o impurità non pensate a qualcosa di bello, pulito, piacevole, ecc. o viceversa a qualcosa di brutto, sporco, ecc. Sono due stati della materia, che può essere o così o cosà. Come se dicessi calda o fredda, oppure bianco o nero: semplicemente sono due situazioni, senza connotazioni etiche.
Questa cosa interessava, perché era legata alla celebrazione del culto divino a Gerusalemme. Chi si trovava a dover celebrare il culto sacrificale, cioè le preghiere, la liturgia a Gerusalemme, doveva essere in stato di purità. Per tutte le altre persone, che non avevano a che fare col culto, questa cosa era assolutamente irrilevante.
Tutto quello che esiste è puro, a meno che abbia avuto contatto con certe sostanze e la sostanza primaria che dà l'impurità è il cadavere. Il cadavere è impuro e se io tocco un cadavere, divento a mia volta impuro e tutto quello che tocco io, fa lo stesso: è il contagio. Ma anche se non avviene un contatto fisico: se io ho toccato un cadavere ed entro qua dentro, tutto quello che è nella stanza, diventa impuro. Sono cose incomprensibili per noi.
Qualcuno dice che la morte è impura in questo senso: quando muore qualcuno noi percepiamo una limitazione, una diminuzione della nostra fede in Dio, perché noi riteniamo che la morte sia un'ingiustizia. Non accettiamo questo concetto; morire è ingiusto e se Dio mi fa morire, ha fatto una cosa che non doveva fare, quindi io non l'accetto. Quindi apprezzo meno la divinità. Siamo su un terreno straordinariamente difficile da capire. La morte contiene in sé un elemento pericoloso, perché se non è vista nella giusta prospettiva, può allontanarci dalla fede in Dio.
Nella tradizione ebraica c'è una norma che proibisce di farsi cremare. Perché? Non lo so, ma qualcuno dice che il farsi cremare è una forma innaturale di tornare in polvere. E non è ecologica, perché il mio corpo può contribuire a fecondare la terra. Questo a livello razionale, ma a livello irrazionale c'è chi sostiene che la cremazione sia proibita perché la cremazione consiste in un suicidio definitivo. Perché questo? Entriamo di nuovo nella mistica. C'è una piccola parte del nostro corpo, che non sappiamo dov'è e che si chiama luz e che probabilmente è nella spina dorsale, che è indistruttibile ed è il seme che Dio adopererà per ricostruire il mio corpo sulla mia anima. Questa piccola parte materiale è indistruttibile, salvo che dal fuoco. Luz è lo stesso nome che si trova nel racconto del sogno di Giacobbe, che al risveglio grida: "Qui abita Dio e io non lo sapevo" e chiamò il nome della città Bet-El, ma il testo aggiunge che anticamente la città si chiamava Luz. C'è una mitologia, non supportata da niente, che dice che c'era questa città dove la morte non esisteva; tutti i suoi abitanti erano immortali. E se qualcuno a un certo punto si stancava di vivere così a lungo, usciva dalla città e moriva. E' una bella storiellina, ma dietro c'è qualcosa che non riesco a capire, collegato col nome. Luz: la città dell'immortalità; Luz il nome di quella città dove c'è un passaggio tra terra e cielo, come ha sognato Giacobbe; Luz il semino che abbiamo dentro di noi.
Il testo biblico ci racconta della disputa tra Giacobbe e Labano che litigano per lo stipendio. Giacobbe propone di dividere il gregge e si prende tutte le pecore maculate o striate; sembrava vantaggioso per lo suocero, perché le pecore a tinta unita erano più numerose. Ma Labano fa tosare tutte le pecore, in modo che non si riconoscesse il colore. Ma Giacobbe, che da 14 anni faceva il pastore e quindi aveva una buonissima esperienza, cerca uno stratagemma per rifarsi. Si era accorto che se prendeva le pecore femmine in determinati periodi della loro vita, quando erano in calore, e le portava agli abbeveratoi e sugli abbeveratoi c'erano dei rami intagliati a strisce, quindi di un colore irregolare, un po' chiaro e un po' scuro, queste pecore cominciavano a partorire animali maculati. Fa un po' ridere, ma le indicazioni sono tante. Qualcuno ravvisa in ciò il primo esperimento di manipolazione genetica.
Fermiamoci un attimo sui rami: si dice che Giacobbe abbia preso dei rami di abete, di castagno e di luz. Rieccolo! Qui identificato come un tipo di albero che non sappiamo cosa sia. Vedete che anche qui il luz ha a che fare con la vita, con la procreazione. Io risposte non ne ho, ma mi chiedo seriamente il perché la Bibbia mi dice queste cose.
Alla base di tutto questo discorso rimane sempre la grande sete che noi tutti abbiamo di sopravvivenza; noi non accettiamo la nostra condizione mortale. Non ci sembra giusto né vedere morire le persone che ci stanno attorno, né morire noi.
C'è una preghiera che noi recitiamo in suffragio per i defunti che va sotto il nome di 'giustificazione della Legge'. Davanti alla morte di qualcuno il mio primo impulso sarebbe quello di accusare Dio di ingiustizia, allora cerco di correggermi; non capisco, ma ritengo che il giudizio di Dio, la Legge, sia superiore al mio punto di vista.
L'ultima cosa. Ricordate la storia di Esaù e Giacobbe, i due gemelli, ma di carattere diversissimo l'uno dall'altro? La Bibbia racconta che Esaù chiede a Giacobbe la minestra di lenticchie che aveva fatto e lui chiede in cambio la primogenitura. Esaù risponde: "Io sto andando a morire e cosa me ne faccio della primogenitura?!". Cosa significa questo: "Sto andando a morire?". Il primo significato potrebbe essere che lui sta morendo di fame e l'unica cosa che gli interessa è mangiare. Oppure può significare che Esaù fa una vita tale - sempre nei campi, in mezzo ai pericoli - e quindi potrebbe facilmente capitargli di morire. Ma c'è anche un'interpretazione più profonda. Esaù si sta riferendo a qualcosa che era successo in quel giorno. Perché ci viene raccontato che Giacobbe faceva la minestra di lenticchie? Ebbene, nella tradizione ebraica le lenticchie sono un cibo che viene dato da mangiare a chi è in lutto, perché la lenticchia ha poco sapore, ma nutre; poi ha una forma particolare, è rotonda. La rotondità è simbolo di consolazione per quelli che sono sopravvissuti. Quando muore qualcuno, i sopravvissuti mangiano lenticchie o uova sode. La rotondità dice che la nostra vita è una ruota: non te la prendere troppo, perché oggi va male e domani va bene. Se muore qualcuno, qualcun altro nasce.
I nostri maestri dicono che Giacobbe stava facendo una minestra di lenticchie, perché quel giorno era morto il nonno Abramo; quindi la minestra di lenticchie non era per sé, ma per il padre Isacco, in lutto per la morte di Abramo suo padre. Se le cose stanno così, capiamo meglio quello che ha detto Esaù. Esaù avrebbe fatto questo ragionamento: io sono un disgraziato, un cacciatore, il mio fratello è un imbroglione, ma Abramo è una persona degnissima, non meritevole di morte e se Dio l'ha fatto morire, è ingiusto. E se è morto Abramo, vuol dire che non c'è vita definitiva, perché non c'è giustizia di Dio e forse non c'è Dio. In definitiva Esaù dice: la mia vita non vale niente, visto che è morto perfino uno come Abramo. E allora che importa la primogenitura?
Comunque il popolo ebraico medio ha un'idea molto nebulosa sulla vita dopo la morte. Se interrogate dieci ebrei, tutti vi diranno che c'è qualcosa, ma non sanno dire cosa.