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Il salmo 145
(rav Luciano Meìr Caro)
Il salmo 145 si presenta, a mio avviso, sotto un duplice aspetto. A una prima lettura, sembra che non dica niente di particolarmente nuovo o interessante. D'altra parte, invece, va sottolineato che questo salmo, nella tradizione ebraica, è considerato particolarmente importante. Vi propongo solo delle provocazioni a riflettere e ad approfondire.
Questo salmo è entrato a far parte della liturgia ebraica quotidiana: viene recitato due volte nella preghiera del mattino e una volta nella preghiera del pomeriggio e questo pressoché in tutti i riti (italiano, tedesco, spagnolo).
Possiede delle connotazioni particolari, per esempio il fatto che per la recita liturgica è stato aggiunto un versetto che non compare nel testo originale; viene posta all'inizio del salmo questa espressione: "Beati coloro che abitano nella tua casa; ancora ti canteranno lode". Questa aggiunta fa pensare che questo salmo facesse parte della liturgia del santuario di Gerusalemme, quando ancora non esisteva un formulario preciso, ma il culto divino avveniva mediante il culto sacrificale, accompagnato da alcune espressioni, pronunciate dai sacerdoti e dai leviti. Sembra addirittura che tutto il culto iniziasse proprio con questo salmo e perciò l'incipit che è stato aggiunto: "Beati coloro che abitano la tua casa" è particolarmente significativo.
Inoltre sembra che nella liturgia del santuario a Gerusalemme comparisse la recita dei dieci comandamenti e venisse ripetuta un'espressione molto concisa, ma fondamentale: "Sia il nome di Dio benedetto per tutta l'eternità". Questo sembra fosse il nucleo di ogni liturgia ebraica; poi, col tempo, sono state aggiunte altre cose, come ad es. questo salmo 145.
Devo anche aggiungere che successivamente nella liturgia del santuario è stata omessa la lettura dei dieci comandamenti, perché la gente non pensasse che i dieci comandamenti fossero più importanti di tutte le altre parti del testo biblico; invece si voleva far comprendere che tutta la Scrittura è fondamentale e non c'è una parte più importante e preziosa di un'altra.
Torniamo al salmo 145. Sicuramente, dunque, questo salmo faceva parte del nucleo della liturgia, tanto è vero che in un'espressione del Talmud si dice che chi legge questo salmo tre volte al giorno è sicuro che non incorrerà in peccato, o, secondo un'altra versione, che la sua vita continuerà nel mondo a venire. Noi continuiamo a domandarci che cos'abbia di speciale questo salmo da far meritare una forma di sopravvivenza alla mia vita fisica o da evitarmi il peccato.
Tornerei un po' indietro a fare un discorso più generale sui salmi. I salmi sono un'alta espressione della poesia ebraica attribuiti al re David, anche se non sempre sono stati redatti da lui per certo. Uno dei problemi che si pone a chiunque voglia affrontare la tematica della poesia ebraica, è il cercare di capire come essa funzioni. Vi assicuro che ancora non l'abbiamo capito. Se parliamo di poesia occidentale, sappiamo che ci sono alcune coordinate tecniche chi ci fanno capire che ci troviamo con certezza davanti a un testo poetico e non di prosa. Per la poesia ebraica le cose non sono così chiare e non abbiamo ancora capito quale sia il parametro per il quale si riconosca un testo poetico, il suo autore, ecc. Tutti i salmi sono poesie, ma nel testo biblico si trovano altri testi poetici; pensate alla cantica del mare, alla cantica di Mosè prima di morire, ecc. Però rimane il problema che non riusciamo a capire come tutto questo funzioni dal punto di vista formale.
Nella poesia ebraica c'è sicuramente l'introduzione di parole inusuali. Un altro elemento è quello della musica, che accompagnava i testi poetici; questo spiega la presenza frequente di quella parolina - séla - che in ebraico non significa niente, ma che vuole indicare la pausa musicale, come indicazione per chi doveva eseguire l'accompagnamento musicale del salmo.
Poi ci sono elementi di carattere ritmico. Sicuramente c'è un ritmo, che si può individuare solo se si conosce l'ebraico. Un altro elemento ancora è la cosiddetta allitterazione, cioè adoperare frasi che siano difficili da ripetere; erano artifici per sollecitare l'attenzione dell'ascoltatore, ma anche per favorire la memorizzazione.
Finalmente un aspetto molto caratteristico è quello del parallelismo, cioè una modalità secondo cui l'autore esprime concetti simili in due frasi diverse, con parole diverse. Per es. nel salmo 145 troviamo: "Ti esalterò, o mio Dio re e benedirò il tuo nome per sempre"; il concetto è uguale, ma espresso con parole diverse.
Questo per quanto riguarda l'aspetto uditivo, vocale. Ma ci sono anche elementi estetici, di modo che chi guardasse il testo poetico scritto, stampato, potesse ricavare anche una certa soddisfazione per la vista, indipendentemente dal contenuto.
Il salmo veniva scritto, a volte, in modo che si presentasse sotto l'aspetto di diverse figure, anche eleganti. Per la stragrande parte delle volte si tratta di triangoli, che si intersecano o sono di dimensioni diverse, altre volte appaiono dei cerchi, dei quadrati, dei trapezi o delle figure composite. Pare che questa intuizione fosse già presente nel Talmud, dove troviamo, a volte, delle espressioni che non riusciamo a capire facilmente. Si dice, per es., che la poesia ebraica è fatta di mattoni sopra altre strutture. E sembra che già allora ci si riferisse alle figure geometriche che compaiono nei salmi.
Non è facile individuare queste forme, se non si conosce bene la lingua ebraica. Uno studioso ebreo, Jakob Bezeq, si è occupato in particolare di questo studio. Ci sono, nei salmi, delle concordanze di versetti, che si incontrano; di solito c'è un versetto che fa da base e altri due che convergono. Sembra che sia una cosa molto naturale. Gli autori concordano nel dire che presumibilmente questa non fosse una scoperta della poesia ebraica, ma che si trovasse già nella poesia babilonese e poi in quella greca. Queste forme sono poi decadute e si è preferito scrivere i testi di seguito, per motivi di opportunità, perché per scrivere i testi secondo quelle forme geometriche occorrevano dei supporti - non dico cartacei, perché la carta non c'era - molto ampi, costosi e difficili da trovarsi.
Ma non ci sono più dubbi, ormai, nell'affermare che originariamente i testi venissero scritti anche in una forma estetica più elegante, che catturasse l'attenzione del lettore.
Tempo fa vi parlai del salmo 67, che senza alcun dubbio si presenta sotto la forma di un candelabro a sette braccia e questo era un artificio abbastanza comune. E sembra che quasi tutti i salmi si presentassero in una forma particolare; quelli che non riusciamo più a identificare, probabilmente sono stati modificati nel corso dei secoli, mano a mano che venivano trascritti. I copisti erano sempre attenti, ma gli errori sono sempre da tenere in conto; basta cambiare una parolina e il ritmo salta. Il salmo 145 è un salmo acrostico, cioè è congeniato in modo tale che ogni
versetto comincia con una lettera dell'alfabeto. Questo è il tipo di acrostico più comune, ma ci sono altri acrostici, in cui, invece dell'alfabeto, compaiono delle lettere all'inizio di ogni verso o di ogni parte di verso, dalle quali si riconosce una parola o il nome dell'autore.
Nel nostro salmo manca la lettera nun, cosa molto singolare, che è stata oggetto di osservazione fin dai tempi del Talmud. I nostri maestri propongono una risposta e cioè che la lettera nun evoca un qualcosa di negativo; si fa riferimento a un versetto del profeta Amos, che comincia con la nun della forma verbale naflà, cioè "è caduta" e continua dicendo: "E' caduta e non continuerà a rialzarsi la vergine di Israele". Sembra quasi una sentenza di morte per Israele. Perciò, siccome la lettera nun, nell'immaginario collettivo ebraico, rievocava questo versetto così spaventoso, si è tolto il versetto che iniziava con questa lettera anche dall'acrostico alfabetico del salmo 145. I maestri del Talmud sanno che le cose non stanno così, ma volevano solo fare uscire dall'indifferenza, proponendo una risposta inaccettabile e provocando, così, a cercarne un'altra. L'importante non è la risposta, ma è porsi la domanda.
L'espressione che ricorre più frequentemente nel salmo è kol, che significa tutto e che ha valore numerico di 20 + 30, cioè 50. E la lettera nun vale proprio 50. Allora non c'era bisogno di mettere la nun, perché già implicita in questa ripetizione del termine kol. Può essere un'altra risposta.
Questo fenomeno dell'assenza di una lettera nei salmi acrostici ricorre altre volte e quasi sempre in salmi attribuiti a Davide. Ci sarà un significato? Attenzione: quando dico salmi attribuiti a Davide, non so se davvero li abbia scritti lui. Perché, quando si trova nel titolo dei salmi: "LeDavìd", che vuol dire, in ebraico, "di Davide" o "a Davide" o "per Davide", può voler dire che Davide era l'autore del salmo, ma anche che il salmo era dedicato a lui o anche che era un salmo fatto sullo stile di quelli di Davide; e poi chi mi dice che Davide fosse solo il re Davide e non un altro?
Vi dico subito che al di fuori di tutte le ragioni che abbiamo già detto, c'è qualcuno che dice che la nun non è stata messa, perché l'autore non ce la doveva mettere, perché le lettere dell'alfabeto ebraico sono 22 e se faceva 22 versi, non c'era più omogeneità, nel senso che 21 è divisibile per tre e quindi risulta la forma a triangolo, mentre col 22 no. Bisognava sottrarre una lettera dell'alfabeto, per fare in modo che il disegno fosse coerente ed è stata scelta la nun forse perché è in posizione centrale. Un'altra spiegazione può essere quella che in un questo salmo così aulico, forse si vuol sottolineare che, a confronto della grandezza di Dio e della sua creazione, tutto quello che è umano, manca di qualcosa. Una poesia bellissima, con cui celebriamo l'immensità, l'infinità di Dio, ma affermiamo anche che nessuna opera dell'uomo è completa.
Tenete conto di un fatto caratteristico: nella versione dei Settanta il versetto con la nun è presente, quindi vuol dire che il traduttore aveva davanti un testo ebraico con la nun; se è così, tutto il discorso fatto fino adesso, cade, a meno che non sia stato il traduttore stesso ad aggiungere un versetto di suo arbitrio. Ma la stessa cosa compare anche nei manoscritti di Qumran, dove c'è il versetto con la nun, anche se in forma non precisamente uguale a quella tradotta dai Settanta. Allora c'era o non c'era?
Ancora qualche osservazione sul salmo 145. Questo salmo è un inno alla sublime grandezza di Dio ed esprime anche il mistero della condizione dell'uomo. Se fate attenzione, questo salmo può essere diviso in due parti: nella prima parte vengono espressi dei sentimenti, delle osservazioni che vanno dal basso verso l'alto: è l'uomo che pensa a Dio; nella seconda parte, invece, ci presenta una visione dall'alto verso il basso: cosa fa Dio nei confronti dell'uomo.
Al di fuori di tutto quello che abbiamo detto, c'è anche l'aspetto mistico. I maestri della cabbalà aggiungono che questo è un salmo particolarmente importante per tutta la teologia ebraica. Io ci vado molto piano su queste cose, perché non sono un esperto di cabbalà e son sempre molto spaventato nel leggere cose di cabbalà, perché si tratta di una materia particolarmente affascinante e molto spesso può portarci fuori strada. Senza entrare nei dettagli, dico solo alcune cose. I maestri si chiedono cosa voglia dire il fatto che in questo salmo c'è una molteplicità di espressioni analoghe e, in qualche modo, ripetitive e vengono ad affermare che ognuna di queste frasi, anzi ognuna di queste parole, anzi ognuna delle lettere, ha un significato molto profondo e ogni singola lettera è da considerare come "carbone ardente". Noi ci troviamo di fronte a delle locuzioni, a delle lettere che scottano, che quindi vanno considerate con grandissima attenzione. I concetti contenuti in queste frasi non possono essere scritti direttamente, ma sono intuibili solo attraverso l'illuminazione divina.
C'è poi l'interpretazione midrashica, cioè è il cercare di mettere tutto lo scibile per cercare di comprendere e spiegare il testo.
Un'altra chiave di lettura è quella del remes, che vuol dire "la cosa accennata ma non detta" - e di remes la Scrittura è traboccante - e infine c'è la chiave di lettura del sof, quella misterica: se il testo proviene da Dio, ci sono sicuramente dei significati che sfuggono all'intelligenza umana. I maestri dicono che solo chi è molto intelligente, può capire questo salmo.
Ci sono nel testo del salmo alcuni giochi di parole, ma vorrei che ve li guardaste per conto, perché non voglio entrare nei dettagli. Questi giochi di parole si trovano anche nella poesia ugaritica, pre-israelitica. Per esempio c'è molto spesso la sottolineatura della regalità di Dio. Ci sono delle espressioni che ci fanno pensare alle lettere che costituiscono la radice del termine "re", "regno", che sono la mem, la lamed e la caf. Dunque sembra che queste lettere tornino in ordine diverso, in altre parole, quasi che l'autore voglia introdurre l'aspetto della regalità di Dio in tutte le forme e gli aspetti.
Ci sono anche parole guida, come kol o il nome di Dio che appare nove volte più una: nove volte in una certa forma e una volta in forma diversa.
Ci sono tredici modalità di cui l'autore si serve per indicare il modo di esprimersi nei confronti di Dio: parlare, conversare, raccontare, lodare, encomiare, ecc. Credo che faccia apposta ad utilizzare tutto il vocabolario di cui dispone.
Un altro elemento è la domanda riguardo all'aspetto etico. Come ricaviamo, in questo salmo, l'aspetto etico? I nostri maestri dicono che quando si celebrano determinate caratteristiche di Dio, lo scopo non è tanto quello di indicare che Dio è grande, misericordioso, ecc. ma è una lezione per noi. Dire che Dio è pietoso non è una grande scoperta, ma è un invito per noi a cercare di essere come Lui. Come Dio si preoccupa di tutto il creato, anche noi siamo invitati a farlo. E la Bibbia ci pone davanti infiniti casi di questo genere, proprio perché cerchiamo di imparare da Dio come comportarci.