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Re Salomone e il tempio
(Rav Luciano Meìr Caro)

La parola tempio è una traduzione abbastanza sbagliata; infatti, in ebraico, sarebbe bet hammikdàsh, cioè "casa della santità, della consacrazione". Abbiamo detto più volte quanto sia difficile tradurre il termine kadòsh, perché dire che esso corrisponde a 'santità', ci pone in una condizione di confusione. Comunque, per noi, il termine bet hammikdàsh indica il tempio costruito da re Salomone sulla collina di Gerusalemme, che doveva diventare il luogo di culto centralizzato per tutto il popolo ebraico.
Tutto era nato dalla realtà del mishkàn, cioè quella specie di santuario portatile, che gli ebrei avevano costruito nel deserto dopo l'uscita dall'Egitto e che si sono portati appresso lungo tutto il loro peregrinare nel deserto. Poi Giosuè lo ha introdotto in terra di Israele, ma dovendo affrontare vicissitudini piuttosto pesanti, non sapendo bene dove collocarlo.




Gli ebrei a un certo punto hanno cominciato a interpretare questa struttura come casa di Dio, cioè residenza di Dio, con tutte le conseguenze negative che ne derivavano. Fino al punto, ad es. di trasportarselo dietro in occasione delle guerre, nella convinzione che Dio non avrebbe consentito mai alla sconfitta del suo popolo, che lo teneva presso di sé e alla cattura di questa casa di Dio. Invece più volte è successo che le cose non sono andate così; anzi, l'arca di Dio è stata anche catturata dai nemici.
Finalmente gli Ebrei prendono possesso della loro terra, presumibilmente dopo circa duecento anni di combattimenti e fatiche, dovute anche alla permanenza nel paese di sacche di popolazioni non ebree che rimasero lì. Poi c'è stato tutto il grosso problema della divisione del paese fra le varie tribù, cioè famiglie. Ma come si faceva ad assegnare le fette di territorio in maniera equa? Pare che abbiano deliberato di dividere il territorio a seconda delle esigenze di ogni tribù, più o meno numerose. In tutto questo periodo il tabernacolo è stato trasportato in vari posti.
Poi si inaugura il tempo della monarchia, con Saul, che ha rappresentato un certo fallimento. Poi subentra Davide, che riesce a dare una connotazione di unitarietà al popolo ebraico, anche se questo non è stato per niente facile. Il testo biblico ci dice che inizialmente Davide fu eletto re dalla sua tribù, cioè la tribù di Giuda, che si vantava di essere la più nobile e la più numerosa, mentre Saul apparteneva alla tribù di Beniamino, quella più piccola e insignificante.
In un primo tempo Davide fu re solamente della città di Hebròn; poi con molta abilità politica Davide è riuscito, con le buone o con le cattive, a farsi riconoscere re prima della sua tribù, poi di tutto Israele. E' stato lui a centralizzare il popolo, anche inventando dal nulla una capitale: scelse Gerusalemme, che era piccola, ma posizionata in un punto strategico favorevole. Gerusalemme si trovava ai confini tra la tribù di Giuda e quella di Beniamino, la più grande e la più piccola tribù di Israele; nessuno la rivendicava come propria e così lui la scelse per centralizzarvi il potere politico e il culto.
Davide voleva trasportare il tabernacolo a Gerusalemme e lì dargli una collocazione definitiva, costruendogli attorno un grande santuario, col significato di togliere questa mobilità scomoda alla tenda di Dio. Ma questo progetto non gli è riuscito: Dio stesso è intervenuto, impedendoglielo. Non era possibile che Davide, un uomo con le mani sporche di sangue, che aveva passato la vita a combattere, costruisse il santuario di Dio, che invece è il simbolo per eccellenza della pacificazione tra gli uomini e Dio. Comunque il tabernacolo venne portato a Gerusalemme e collocato sulla collina di Tziòn, cioè Sion, parola che significa 'luogo evidente', cioè un segnale, perché questa collina si vedeva dalle varie parti. Non dimenticate che Gerusalemme si chiamava in origine Iebùs, perché abitata dalla tribù dei Gebusei, che erano famosi per essere legati intimamente a quel territorio. Anche in questo caso Davide ha dimostrato un grande acume politico, perché ha conquistato questa fortezza di importanza strategica. Siamo attorno all'anno 1000 prima dell'era volgare. La tradizione dice che la conquista non fu affatto facile, perché i Gebusei non ne volevano sapere di arrendersi. Davide decise di lasciarli in vita, nonostante le regole di guerra imponessero la distruzione del nemico vinto; così diede loro un quartiere in Gerusalemme, in riconoscimento del loro attaccamento straordinario alla terra che avevano da sempre abitato. Se questo fu un atto di magnanimità di Davide, sicuramente fu anche un atto di astuzia politica, perché i Gebusei sarebbero stati sempre in prima linea nella difesa della città, tutte le volte che si sarebbe verificato un attacco da parte di altri nemici.
Così l'arca fu collocata a Gerusalemme. Ma la Bibbia ci racconta che il trasporto avvenne con notevole fatica, a causa della strada molto scoscesa: si era formata una grande carovana di gente, con carri trainati da buoi, con guardia d'onore, ecc. e a un certo punto, l'arca traballa lungo la salita; istintivamente un tale che era accanto all'arca per sostenerla, stende la mano perché non cadesse, ma all'istante rimane fulminato e muore, perché aveva toccato l'arca pur non essendo sacerdote. Davide si arrabbia con Dio, ma non riceve risposta.
Credo che le cose possano stare così. Il tabernacolo è segno di una volontà divina, ma non è una cosa sacra, nel senso che anche se cadeva, si doveva lasciar cadere. C'è una legge che dice che non lo si deve toccare; se lo tocchi, anche involontariamente, vuol dire che dentro di te sei un pagano, perché non hai tenuto conto della norma, ma del fatto che quella cosa fosse sacra. Ma in realtà non esistono le cose sacre; l'unica cosa sacra è la legge di Dio. Quello che è importante è il mettere in pratica la norma di Dio e non il rispetto eccessivo nei confronti di un oggetto, che ti rende un pagano.
Dopo questo fatto, il viaggio della carovana verso Gerusalemme prosegue e in prossimità della città, Davide, che stava danzando in segno di gioia, viene apostrofato in tono sarcastico da Mikàl, sua moglie: "Ma come?! Il re di Israele si comporta come un pagliaccio qualsiasi!?". Davide risponde per le rime, dicendo che avrebbe voluto molte altre occasioni come quella, per poter gioire in mezzo al popolo; certo, Saul, padre di Mikàl, era più dignitoso di lui, ma Dio aveva scelto proprio Davide, al posto di Saul.
Non sappiamo dove sia stato collocato il tabernacolo; probabilmente su un altura. Bisognerà aspettare fino all'avvento di Salomone al trono per vedere gli inizi della costruzione del tempio.
Salomone costruisce così questa grande cosa, che era il santuario di Gerusalemme e lo fa, portando sempre attenzione a delle norme particolari. Intanto, la norma tradizionale, già adombrata nel testo della Torah, sosteneva che per costruire un edificio degno delle mansioni sacre per le quali era pensato, non si dovevano usare strumenti metallici e quindi si cercarono delle pietre già squadrate per loro natura, il che non era una cosa facile. E si dice che durante i molti mesi della costruzione, non si sentì mai rumore di strumento metallico.
Nel primo libro dei Re ci viene offerta una lunga descrizione di come fosse fatto il santuario, ma non ne capiamo niente, come al solito. Credo che deliberatamente il testo faccia così, perché non si sia troppo legati alla materialità del luogo.
Questo santuario, che noi pensiamo fosse il luogo dove venivano fatti i sacrifici, non aveva solo questa funzione. Si trattava, infatti, di una struttura fatta da un grande recinto circondato da grandi muraglie, molto pesanti e spesse. Il muro occidentale, che ancora oggi vediamo, ne è un residuo; ma ci sono molte perplessità sul fatto che in realtà le pietre usate allora siano veramente quelle che vediamo oggi. Comunque l'importante è quello che sentiamo noi.
Pare che i lati di questa grande struttura che circondava il tutto, in alcuni punti raggiungessero la lunghezza di 600-700 metri. Ma queste mura erano costituite da una serie di edifici, che contenevano le strutture portanti di un regime statuale; era previsto che ci fossero i tribunali, una specie di parlamento, una specie di ospedale, le residenze dei sacerdoti, insomma tutte quelle cose che diventano manifestazione di uno stato che ha le sue istituzioni centralizzate. Accanto a questa c'era un'altra struttura, che doveva essere il palazzo reale. Tutto questo come una grande muraglia esterna; all'interno c'era un grande cortile e all'interno di esso c'era un altro edificio, quello dedicato al culto vero e proprio. Non entro nei particolari, perché sono tutti congetturali. Comunque al centro di questo edificio sacro c'era una stanza particolare, il sancta sanctorum, dove c'era una cassetta con le tavole della Legge e probabilmente i frammenti delle prime tavole spezzate da Mosè. Nel sancta sanctorum entrava solo il sommo sacerdote nel giorno di Kippùr  per fare delle preghiere particolari e in quell'occasione pronunciava il Nome di Dio, il famoso Tetragramma, che non sappiamo come si pronunci, in realtà. Sappiamo come è scritto, ma non come si pronunci. Sono quattro lettere strane, perché quiescenti e gutturali - ????. Lettere che fanno pensare a una radice collegata col verbo essere. Come a indicare che Dio è l'essenza, quella cosa che esiste, con un miscuglio di presente, passato, futuro. Ma è solo un'ipotesi. Mentre il sommo sacerdote pronunciava per tre volte il Nome santissimo di Dio, gli altri sacerdoti, che si trovavano all'esterno, attorno al sancta sanctorum, cantavano dei salmi, perché la gente non sentisse il Nome. Il sommo sacerdote, poi, doveva tramandare il Nome al suo successore. Per diventare sommo sacerdote bisognava avere una certa età, per cui non erano mai più di due o tre quelli che conoscevano il Nome.
Dunque il santuario era il simbolo della centralità del culto e della centralità delle istituzioni nazionali. Non dimenticate che il santuario era collocato in una parte di Gerusalemme, che si trovava al confine tra il territorio di Giuda e il territorio di Beniamino, quasi a sottolineare una extraterritorialità; nessuno poteva dire che quella era casa sua.
C'è sempre stata una problematica nel popolo ebraico tra la sua unità e la frammentazione: noi ci muoviamo entro questi due parametri. Da una parte celebriamo l'unità del popolo ebraico, ma dall'altra parte questa unità non vuol dire uniformità, perché ognuno ha la sua collocazione, le sue tradizioni, e così via. Pensate che la Torah che Dio ci ha dato, non è la legge ebraica, ma piuttosto una forma di Costituzione; le leggi se le devono fare le singole tribù. Le 12 tribù si richiamavano tutte ai patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe, ecc., ma ognuna aveva le sue identità particolari, al punto che ogni tribù poteva farsi le sue leggi. Pensate che esiste una normativa che afferma che un tale - fosse anche un grandissimo sapiente - appartenente a una tribù, ma residente nel territorio di una tribù diversa dalla sua, non aveva il diritto di parlare, di insegnare agli altri cosa dovevano fare, perché era considerato come uno straniero.
Il santuario doveva essere un po' a metà strada. Ferme restando le singole identità delle tribù, faceva come da punto di attrazione e comunione, soprattutto riguardo al culto.
I libri biblici di Giosuè e dei Giudici, che ci fotografano la situazione nei tempi precedenti al sorgere della monarchia, ci danno un'idea delle singole tribù come di entità che facevano ognuna i fatti propri, come in un regime confederale. Però questa situazione offriva dei forti limiti, perché la popolazione ebraica ha avuto sempre dei grossi problemi con l'ambiente circostante. Uno stato di cose così frammentario va molto bene in un clima di pace, ma non in mezzo a conflitti continui con l'esterno. E se succedeva che una tribù del nord venisse attaccata, era ben difficile che una tribù del sud le venisse in aiuto. E' successo, ad es. che la tribù di Dan, piuttosto combattiva, si fosse collocata in quella parte di territorio che oggi è la striscia di Gaza; una zona particolarmente difficile da gestire a causa della presenza dei Filistei. Sansone, uomo famoso di questa tribù, passa la vita a lottare contro i Filistei, passando di città in città a far guerra contro questi nemici. A un certo punto sembra che la tribù, stanca di convivere con una situazione di guerra che durava ormai da decenni, abbia deciso di emigrare e si sono spostati nell'estremo nord di Israele. Tant'è vero che il fiume Giordano ha preso questo nome proprio in riferimento a questa tribù; il nome Giordano sarebbe, in ebraico: iaréd middàn, cioè quello che scende da Dan.
Questa situazione di frammentarietà è durata fino a Davide, che è riuscito a fare di Israele un unico regno. Ma torniamo al nostro santuario di Gerusalemme.




(possibile ricostruzione del Secondo Tempio presso il Museo del Libro a Gerusalemme)


Alla morte di Davide, gli succede sul trono il figlio Salomone. Il testo sacro ci racconta che alla domanda di Dio che cosa volesse, Salomone risponde di desiderare la saggezza nel governare; ma oltre a ciò Dio gli concesse anche ricchezza, gloria e onore e saggezza. Nonostante la sua grandissima saggezza, Salomone commise molti errori.
Per la costruzione del tempio e degli altri edifici della città, il re convocò artigiani stranieri, soprattutto provenienti da Sidone, molto bravi nella lavorazione e nella produzione di legname. Questi artigiani dovevano essere pagati, ma Salomone non aveva fatto il calcolo giusto delle spese, per cui dovette ricorrere a due espedienti per compensare il deficit. Il primo espediente fu quello di aumentare le tasse e il secondo quello di pagare i suoi conti mediante la corresponsione di territori; cedette ai fenici sei località del nord.
A vantaggio di Salomone va ricordato il bellissimo capitolo del primo libro dei re, che riporta il discorso di altissima levatura morale che Salomone fece in occasione della dedicazione del santuario. La prima cosa che dice è che Dio abita nella caligine (1 Re 8, 12), cioè in un luogo che non si vede e non in quel santuario. C'è un afflato universalistico nella preghiera di Salomone, con una supplica a Dio di ascoltare ogni uomo (ebreo o straniero) che verrà a Lui ad invocarlo in qualunque necessità.
Emerge questo elemento: lo scopo per cui, secondo la nostra visione, noi Ebrei esistiamo, è lo scopo che si promette Dio, la cosa che Dio si aspetta dall'umanità,cioè il riconoscimento, da parte dell'umanità, della sua esistenza e della sua sovranità. A Dio non importa un bel niente di quello che faccio io come singolo o come membro di un popolo; a Dio interessa che il mio comportamento sia tale da portare le genti al riconoscimento della esistenza di Dio. Quando questo avverrà, allora saranno i tempi del Messia. Quando tutti, indipendentemente dalla loro collocazione religiosa, arriveranno alla conclusione che esiste una sovranità di Dio, autore di tutto quello che esiste, si sarà realizzato lo scopo per il quale l'umanità è stata fatta. Dio chiede un comportamento umano molto normale a tutti gli uomini, ma agli Ebrei chiede qualcosa in più, perché è dal comportamento degli Ebrei che Dio pensa di arrivare a portare la gente alla conoscenza di Lui. Conoscere Dio è una bella frase, che però andrebbe approfondita. L'abbiamo già detto più volte; ci sono delle correnti della cabalà che dicono che conoscenza di Dio vuol dire compenetrazione di Dio, cioè sentirsi così vicini a Dio da compenetrarsi in Lui. Quanto meno, però, riconoscere che tutto dipende da Dio, il Creatore e non dal caso; è Lui che ha il dominio sul nostro universo. Se arriviamo a questo, tutto il resto diventa secondario.
A conclusione vorrei dirvi ancora una volta: non prendete le mie parole come oro colato, ma come sollecitazione ad accostarvi al testo biblico. Non come a un testo di storia, perché la Bibbia non è storia, anche se contiene degli elementi di carattere storico.
Il santuario, poi, è stato oggetto di critica da parte di tutti i profeti, che si ribellarono non contro il santuario di per se stesso, ma contro l'idea che la gente aveva del santuario. Infatti il popolo continuava a pensare che Dio abitasse all'interno del santuario, a Gerusalemme, e siccome Dio era chiuso là dentro, era impossibile che succedesse qualcosa di male alla sua città santa. E invece il santuario è stato distrutto due volte, prima dai Babilonesi e poi dai Romani.
Qualcuno si domanda questo: il primo tempio, costruito da Salomone, fu fatto all'incirca nel 950 prima dell'era volgare ed è stato distrutto nel 586, quindi sono passati circa 300 anni. Dopo questo gli Ebrei furono deportati in Babilonia, da dove fanno ritorno 70 anni dopo. Nel 530 circa ricostruiscono il tempio, distrutto poi nel 70 dai Romani. Ovviamente c'erano profondissime differenze fra i due santuari, anche perché la seconda volta mancavano i fondi; quindi i materiali non erano più così pregiati. Invece dei legni del Libano, si usarono le pietre, per esempio. Dicono che chi vide la seconda inaugurazione del tempio, piangeva, non per la gioia, ma per la tristezza di vedere un tale squallore rispetto al fasto del primo tempio.
Oltre ai problemi di bilancio, dovevano esserci anche problemi tecnici, nel senso che il primo tempio subì una tale distruzione anche perché era di legno e quindi fu bruciato facilmente nel corso dei vari combattimenti.
Comunque il problema è questo: in tutta la storia ebraica il tempio è durato 300 anni la prima volta e 600 anni la seconda, dopo di ché non è più stato ricostruito. I nostri maestri si interrogano sempre sugli aspetti morali. In tutta la storia ebraica la presenza del santuario è stata minima rispetto alla durata della nostra esistenza; questo significa che noi possiamo sopravvivere anche senza santuario. Quello che ci ha fatto sopravvivere non è il ricordo del santuario, ma il mettere in pratica i precetti che Dio ci ha lasciato nella Torah.



(possibile ricostruzione del Tempio al tempo di Erode)

E ancora, delle domandine che si pongono i nostri maestri. Qual è la motivazione per cui Dio ha concesso la distruzione del primo e del secondo tempio? Propongono delle risposte provocatorie. Il primo tempio è stato distrutto, perché gli Ebrei continuavano a praticare una forma larvata di idolatria, cioè continuavano ad esistere le bamôt, le alture; il popolo continuava ad essere legato ai suoi idoletti locali, ai luoghi di culto locali, ecc. Al tempo del secondo tempio, invece, questa idolatria non c'era più; ma cos'è che ha fatto arrabbiare Dio? Una delle risposte propone come causa della distruzione del tempio l'odio gratuito che gli Ebrei avevano nei confronti di loro stessi. Quando c'è stata la guerra contro i Romani, gli Ebrei erano divisi su cosa fare: accettare la dominazione romana o sottomettersi? Le divisioni politiche hanno portato all'odio tra fratelli. Credo sia un problema molto attuale: quando dibattiamo su questioni politiche, dobbiamo sempre tenere presente chi siamo; cioè possiamo sì avere delle visioni diverse, ma dobbiamo comunque cercare una coesione, un accordo e non lasciarci portare all'odio reciproco. Non so se sia vero, ma si racconta che durante la guerra coi Romani, i Romani stessi erano stati chiamati ad esercitare funzioni di arbitri per le grandi controversie che c'erano all'interno del popolo ebraico. Quindi Do ha punito il suo popolo con la distruzione del secondo tempio, disdegnando la loro incapacità di convivere pacificamente come fratelli e il loro odio gratuito gli uni verso gli altri. I maestri aggiungono, su questa linea, che il tempio forse sarà ricostruito quando gli Ebrei, ma anche i non ebrei, avranno imparato a convivere assieme, pur con delle differenze.


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