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Sansone e Gedeone nel libro dei Giudici
Rav Luciano Meir Caro
Questi due personaggi sono collocati all’interno del periodo storico cosiddetto dei Giudici. E sappiamo bene che vengono chiamati giudici, ma non sono giudici, come li intendiamo noi oggi.
Ma andiamo per ordine. Forse può essere utile recuperare, almeno a grandi linee, una scansione temporale: Israele esce dall’Egitto, guidato da Mosè, il quale, alla sua morte, lascia la guida a Giosuè. Il popolo entra nella terra di Canaan, che viene gradualmente conquistata, anche se solo in maniera parziale, perché una parte della popolazione autoctona continua ad abitare in Canaan. Questo pone il problema di quale relazione debba o possa esistere tra gli indigeni e i nuovi arrivati. Un problema oltretutto complicato ulteriormente dalle popolazioni confinanti, che approfittano della situazione per trarne vantaggi di vario genere. In fondo è proprio ciò che avviene ancora oggi in Israele. Comunque, alla morte di Giosuè, non viene nominato alcun successore alla guida del popolo, ma ognuna delle 12 tribù di Israele viene governata autonomamente. In tal modo viene a costituirsi una specie di federazione, all’interno della quale i rapporti erano vari: o ci si ignorava allegramente, o si entrava in contrasto, o ci si alleava contro qualche nemico comune.
Nel caso in cui comparisse un nemico particolarmente pericoloso, occorreva nominare un comandante che prendesse le redini della campagna militare. Questa figura veniva chiamata “Giudice”, ma non nel senso attuale del termine. Si gioca un po’ sul termine ebraico shofét, appunto “giudice”, ma nel senso di colui che riceve una carica. Potremmo intenderlo come un funzionario, ma soprattutto si trattava di un condottiero.
Questo tale, al termine della campagna, poteva tornare a casa sua. Forse è rimasto il nome di giudice, perché questo tale, se aveva acquisito dei meriti, la gente continuava ad andare da lui per ricevere dei consigli.
Dal punto di vista storico, il periodo dei cosiddetti Giudici è molto confuso, tanto che rimane ancora difficile delimitarlo entro un arco di tempo preciso. Qualcuno dice che sia durato 100 anni, qualcun altro di più.
Questo anche perché il libro dei Giudici, collocato nella Bibbia ebraica tra i libri storici, subito dopo il libro di Giosuè, non offre un racconto ordinato dal punto di vista cronologico. Anche perché poteva succedere che ci fosse più di un giudice in Israele, nello stesso momento, operanti, però, in zone geografiche diverse.
L’autore del libro dei Giudici, che non conosciamo, si propone, nel suo racconto, di offrire una sua tesi e cioè che Israele viene punito da Dio, per il suo comportamento malvagio e per questo subisce invasioni successive di nemici. Se le cose non vanno bene, significa che ce lo meritiamo e la storia avrebbe la funzione di stimolarci a tornare sulla via del bene.
Un altro elemento è che non c’è dubbio che l’autore si pone questo problema: tutti i guai che Israele deve attraversare sono causati dalla mancanza di un governo centrale, ovvero dalla mancanza di un re. Se ci fosse un re, Israele potrebbe essere più unito, anche di fronte ai nemici. Nel libro ritorna spesso un ritornello, che suona più o meno così: “In quei giorni non c’era un re in Israele; ognuno faceva quello che riteneva giusto”.
Alla fine del periodo dei Giudici, finalmente viene raccontato l’inizio della monarchia, cosa ovviamente portatrice di grossi problemi; ogni tribù voleva che il re fosse scelto di mezzo ai suoi membri.
Sappiamo che poi venne scelto Saul come primo re di Israele e questa scelta è dovuta a sue motivi: uno, perché era un bell’uomo, prestante, anche se non aveva alcuna preparazione; due, perché apparteneva alla tribù più piccola, la tribù di Beniamino e questo creava meno paura nelle altre tribù.
Questa scelta, però, è stata presto scalzata, con la nomina di Davide a re e Davide proveniva dalla tribù di Giuda. Altro passaggio affatto morbido, perché Davide, inizialmente, è stato riconosciuto re solo dagli abitanti di Hebron, una città di Giuda; poi Davide, personaggio straordinario nel bene e nel male, è riuscito a trascinarsi dietro tutto il popolo.
Tra i Giudici di cui il libro scrive, ne sono nominati una quindicina; di alcuni, però, non vengono date notizie, ma solo viene presentato il nome.
Comincerei a dire qualcosa su Sansone, che è più conosciuto.
Fin dalla nascita aveva la connotazione di nazìr, cioè apparteneva a quel gruppo di persone che facevano voto di astenersi dal bere vino e dal tagliarsi i capelli. E questa scelta veniva fatta ancor prima che il testo biblico offrisse una normativa in proposito. Solo successivamente troviamo una regolamentazione su questa scelta, quando già era diffuso l’uso di fare questo voto. Il testo biblico fissa un termine di tempo, oltre il quale non si poteva continuare a vivere il voto di nazireato. E stabilisce che alla fine del periodo, il nazireo doveva tagliarsi i capelli, bere il vino e portare un sacrificio al sacerdote.
La storia di Sansone è un po’ ritagliata su altre storie simili. I suoi genitori non potevano avere figli, ma a un certo punto Dio interviene e manda un inviato celeste alla madre, promettendo un figlio per l’anno successivo. La donna chiede che al personaggio di tornare anche il giorno dopo, per paura che il marito non le crede. La cosa avviene e il giorno dopo l’inviato celeste compare anche alla presenza del marito; ad entrambi i genitori l’angelo promette la nascita del figlio e chiede che sia un nazireo, poi sparisce.
A quel tempo si riteneva che chi avesse una visione molto diretta di Dio, fosse destinato a morire; perciò i genitori di Sansone erano molto spaventati e preoccupati. La moglie, con la praticità tipica delle donne, deduce che se Dio aveva intenzione di uccidere lei e il marito, non si sarebbe manifestato a loro portando la promessa di un figlio.
E il figlio veramente nasce, che viene chiamato Sansone, Shimshon. La collocazione geografica di questo avvenimento è praticamente Gaza, la famosa striscia di Gaza. Allora si trattava di una coalizione di cinque città, in cui abitava gente di tutti i tipi: la maggior parte della popolazione era costituita da Cananei, a cui si erano aggiunti gli ebrei arrivati dall’Egitto; ma sulla parte costiera a sud, in corrispondenza della città di Gaza, abitavano i Filistei, una popolazione in contrasto con tutti. Erano chiamati popoli del mare, perché pareva venissero da Creta, per le fattezze fisiche. Lo staterello a cui hanno dato origine, per un certo periodo è stato in grado di dominare tutto Israele.
Bene, nei dintorni di Gaza abitava anche la famiglia di Manòach, il padre di Sansone. Tutta la storia di Sansone è appunto collegata al suo conflitto coi Filistei,
Una delle caratteristiche di Sansone è che, a differenza degli altri Giudici, che erano stati nominati per guidare la rivolta contro altri popoli, lui non ha avuto nessune delega da nessuno, opera in proprio, agisce contro i Filistei a livello personale e fa una quantità di atti eroici, qualche volta ridicoli.
Ma un suo lato debole era quello di non saper resistere al fascino delle donne e le sceglieva tutte tra i Filistei. Il testo biblico dice che le sceglieva filistei per avere una scusa per conoscere meglio il nemico.
Fra le donne di Sansone non c’era solo Dalila, quella più conosciuta, ma anche altre.
Bisogna tener conto che in questo periodo storico, i Filistei costituivano la forza più consistente nel territorio di Israele, al punto che si arrivò al punto di dire, come leggiamo nel libro di Samuele, che in quel periodo non si trovava, tra gli ebrei, un fabbro, perché i Filistei avevano proibito di esercitare questa professione e tutte le volte che un ebreo aveva bisogno di usare ino strumento di metallo, o doveva farlo affilare, doveva avere il permesso scritto da parte del governatore filisteo, che doveva controllare i metalli esistenti.
La potenza dei Filistei sembra derivasse dal fatto che essi avessero inventato un metodo di fusione dei metalli, che permetteva loro di ottenere le armi migliori. E per questo bloccarono tutto il mercato dei metalli.
Sappiamo che Sansone ha fatto una brutta fine, causata dal tradimento di Dalila. Questa donna sembra fosse presa da una parte dall’amore per lui, ma dall’altra dalla fedeltà al suo popolo. Ma fu lei a costringerlo, sotto la pressione di continue insistenze, a confessare dove fosse il segreto della sua forza, che appunto era celata nei capelli, ma non per questione di shampoo! La forza di Sansone derivava dalla sua obbedienza alla volontà di Dio per lui, in quanto nazireo; perciò finché non si tagliava i capelli e non beveva vino, lui era invincibile. Una volta tagliati i capelli, Sansone venne subito fatto prigioniero dai Filistei, che lo accecarono e lo misero a girare la macina. Durante il periodo di questa schiavitù, Sansone si ravvede e ritorna nella pienezza del suo rapporto con Dio come nazireo e, ricresciutigli i capelli, egli riacquista la sua forza. Grazie ad essa, riesce, in un colpo solo, a far crollare un intero edificio, uccidendo, così, con la sua stessa morte, più Filistei di quanti non ne avesse uccisi quando era in vita.
Vi consiglio di leggere i capitoli 13-16 del libro dei Giudici, così potete avere un quadro più chiaro di tutta la storia di Sansone.
Bisogna ricordare che gli Israeliti che abitavano nella striscia di Gaza, cioè i Daniti, a un certo momento, non sopportarono più di dover convivere avendo un nemico così potente al proprio fianco e decisero di trasferirsi altrove, andando ad insediarsi all’estremo Nord di Israele.
Fa pensare il fatto che ancora oggi la striscia di Gaza sia problematica, perché è abitata da una popolazione araba, di fede islamica, che però fa fatica ad andare d’accordo con tutti.
Mi soffermerei un po’ più a lungo sulla figura di Gedeone, che ci viene presentata, nel libro dei Giudici, ai capitoli 6-8.
Gedeone apparteneva alla tribù di Manasse, una delle due tribù che hanno avuto origine da Giuseppe, il quale, a differenza degli altri patriarchi ha generato due tribù e non una sola, come tutti gli altri. Da Giuseppe, infatti, sono nate le tribù di Efraim e di Manasse. E’ il solito modi di agire dell’Eterno, che ha dato a Giuseppe, allo stesso tempo, una punizione e un premio. Premio perché da lui sono nate due tribù e punizione perché così non ha conservato il suo nome, lui che si dava tante arie! La tribù di Giuseppe, infatti, non compare.
Bene. La tribù di Manasse, Menashé, era stanziata in un territorio attorno al fiume Giordano. Siamo in un periodo di grandi problemi causati dalle invasioni dei Medianiti, derivanti da Midiàn, figlio di Abramo, avuto da Keturah. Quasi a sottolineare che comunque tutti derivano dallo stesso ceppo, eppure non fanno altro che combattersi tra loro. Allora questi Medianiti, stanziatisi al di là del Giordano, a Oriente, nella parte meridionale, facevano scorribande attraversando il fiume e andando a infastidire gli Israeliti e questi Israeliti appartenevano alla tribù di Manasse. Per es. quando raccoglievano il grano, non potevano tranquillamente macinarlo sulle aie, ma dovevano nasconderlo, perché i Medianiti non venissero a portarlo via. La situazione era molto pesante. Ma, anche in questo caso, il testo dice che gli Israeliti se lo meritavano per il loro peccato.
In questa situazione nasce Gedeone. Israele, in quel periodo, viveva una fede molto leggera nei confronti del suo Dio, soprattutto perché si prostituiva con altre divinità.
Tant’è vero che nel territorio dei manassiti esisteva un santuario pagano.
Gedeone, però, che già aveva avuto una visione divina, in cui gli era stato annunciato che proprio lui avrebbe liberato Israele, volle distruggere questo santuario pagano.
E’ interessante sottolineare la particolarità di questo personaggio, che sembra quasi sfrontato anche nei confronti dell’inviato di Dio; infatti allorché riceve per la prima la visita dell’angelo, pretende un segno chiaro dal cielo e chiede che il sacrificio da lui preparato, venga bruciato da Dio stesso. E così avviene. Elemento, questo, che ci ricollega alla storia del profeta Elia, in occasione del suo sacrificio sul Monte Carmelo nella disputa con i profeti di Baal. Gedeone, però, insiste e un solo segno non gli basta. Per avere l’assicurazione che davvero la parola di Dio si realizzi, cioè che proprio lui salverà Israele, chiede un’ulteriore conferma; questa volta attraverso la rugiada che cade durante la notte. Gedeone chiede che al mattino tutto il terreno attorno sia bagnato, ma solo la sua coperta resti asciutta e così avviene; non ancora soddisfatto, chiede che avvenga il contrario e così avviene.
Finalmente Gedeone si decide a raccogliere l’esercito, per attaccare il nemico. Ma questa volta è Dio che lo mette alla prova e pone delle condizioni. Gedeone, infatti, aveva raccolto un ingente esercito, ma Dio gli dice che tutti quegli uomini sono troppi e deve rimandarli, accettando solo quelli che dirà Lui. La selezione che Dio propone è questa: posti gli uomini davanti a un torrente, Gedeone può arruolare solo quelli che per bere portano la mano alla bocca, senza inginocchiarsi e bere direttamente con la bocca dal torrente. Probabilmente il concetto era questo: se un tale si inchina anche solo per bere, vuol dire che era un movimento che lui abitualmente faceva, per prostrarsi alle divinità straniere.
Così, attraverso questa selezione particolare, rimangono, con Gedeone, solo 300 uomini, con i quali deve affrontare l’esercito medianita. In una tale condizione, Gedeone deve tirar fuori tutte le sue capacità di stratega. La prima cosa che decide di fare, è cercare informazioni sui nemici. Avvicinatosi all’accampamento medianita, sente due sentinelle che parlano degli ebrei, esprimendo la loro paura e preoccupazione. Allora pensa di sfruttare questo spavento e l’effetto sorpresa e con i suoi pochi uomini attacca il campo nemico con tre piccoli plotoni di uomini. Nelle loro mani non hanno le armi, ma delle fiaccole e delle piccole trombe, con le quali riescono a creare un tale frastuono da far credere ai medianiti di essere assaliti da un esercito immenso. Così tutti scappano e nella fuga concitata si uccidono tra loro.
Alcuni episodi interessanti della vita di Gedeone.
Gli ebrei della tribù dii Menashé propongono a Gedeone di diventare re con la possibilità di tramandare poi la carica ai suoi figli. Ma Gedeone non accetta, con grande intelligenza.
Gedeone ha dei conflitti con la tribù di Efràim, che è praticamente suo fratello, cioè l’altro figlio di Giuseppe. Ma quando gli efraimiti si accorgono che Gedeone ha vinto la guerra per conto della tribù di Menashé protestano per il fatto che lui non ha chiamato anche loro, suoi fratelli. Diplomaticamente Gedeone risponde che non era il caso e poi afferma che il loro contributo è stato comunque importante, perché li hanno sostenuti dall’esterno.
Un altro elemento è questo: mentre Gedeone inseguiva il nemico, che era in rotta, si era rivolto a una cittadina ebraica, Sukkot, chiedendo cibo, ma la risposta è stata negativa. Al ritorno dalla guerra come vincitore, Gedeone va a Sukkot per vendicarsi e chiede a un ragazzo di scrivergli i nomi dei capi della città. E quello glieli scrive. Al di là dell’episodio è interessante notare che Gedeone chieda a un ragazzo, il che fa capire che a quel tempo, 1500-1200 anni prima dell’Era volgare, si presupponeva che un ragazzino qualsiasi potesse scrivere.
Gedeone uccide, così, tantissime persone a Sukkot.
E avendo ricevuto di nuovo la proposta di diventare re, Gedeone chiede, invece, un dono di guerra, da prendere dal bottino: si fa consegnare oro e argento, coi quali fonde un efòd, una forma umana, una specie di statua, di simulacro. Il che significa che anche Gedeone seguisse in certo modo l’idolatria.
Alla sua morte Gedeone lascia 70 figli. Ma allorché viene proposto al primo dei figli di diventare re, lui accetta e di conseguenza uccide tutti i fratelli, che potevano essere dei suoi concorrenti.
E’ importante sottolineare come la gente avesse quasi l’idea fissa di avere un re, come avevano gli altri popoli.
Il periodo dei Giudici era connotato dal fatto che l’osservanza ebraica lasciava molto a desiderare. Ci si chiede come, nonostante i lunghi periodi di idolatria, in cui l’osservanza della torah era dimenticata, abbia potuto comunque tramandarsi la tradizione di Israele.
Richiamo brevemente un’altra figura di Giudice: Iefte. Anche lui, assoldato da alcune tribù per la guerra, fa un voto terribile, quello di sacrificare a Dio la prima persona che gli sarebbe venuta incontro al suo ritorno come vincitore dalla guerra. Non era la sua mente malata a pensare una cosa strana; era usuale formulare questo tipo di voti. Anche perché di solito chi andava incontro al vincitore era lo scudiero, lo schiavo.
Invece nel caso di Iefte è la figlia unica ad andargli incontro e lui non vuole retrocedere. Ma nessuno gli dice che quel tipo di voti non aveva alcun senso, perché non rispondeva alla normativa della torah.
Il racconto continua dicendo che la figlia di Iefte chiede al padre di lasciarle del tempo per andare a piangere la sua verginità. Poi no si sa come sia andata a finire: se il padre l’abbia veramente uccisa o se l’abbia solo lasciata segregata. Ma la cosa importante è che episodi come questi mettono bene in chiaro come fossero venuti meno i principi della fede di Israele. La Legge, il monoteismo, sembrano dimenticati completamente.
Il popolo ebraico stava diventando come tutti gli altri popoli che vivevano attorno a lui; aveva solo delle reminiscenze di personaggi antichi, che facevano parte della sua storia, ma errano cose che non avevano nulla a che fare con la vita di tutti i giorni.
Quindi l’autore sacro tiene a sottolineare che non solo politicamente le cose non andavano, ma che non c’era nessuno capace di dare insegnamenti sani sul comportamento da tenere.
Anche con la monarchia, con Saul, con Davide, non è che le cose siano migliorate molto.
Davide aveva l’idea fissa di poter costruire un santuario centrale e questo fa capire che ancora c’erano tanti santuari dispersi sulle varie alture di Israele. Davide voleva fondare uno stato centralizzato dal punto di vista politico e religioso. Ma Dio non ha concesso a Davide di costruire il santuario, perché il santuario è luogo di pace, mentre Davide ha passato la vita a combattere. Sarà solo suo figlio Salomone a riuscire in tale impresa, con l’aiuto di Dio.
Ci vorrà Esdra a mettere di nuovo un po’ di ordine nella vita di Israele, ristabilendo il culto nel santuario, come le leggi secondo cui comportarsi.
Il miracolo di Israele è proprio questo: che noi sopravviviamo anche quando passano lunghissimi periodi in cui ci dimentichiamo di Dio e di tutta la sua Torah.
Anche al tempo dell’ultimo re di Israele, prima della deportazione in Babilonia, quando il grande santuario era stato ricostruito da 300 anni, succede che in un anfratto del santuario ritrovano un rotolo della Torah. Lo leggono commossi e decidono che quella legge diventasse la legge del popolo di Israele. Ma viene da chiedersi come fosse possibile che non conoscessero più la Torah.
Forse durante la deportazione in Babilonia, una piccolissima parte del popolo è tornata alle tradizioni dei padri. Ma solo una piccolissima parte! Quando Ciro invita gli ebrei a tornare in patria, solo il 10% accetta di tornare; tutti gli altri vollero rimanere a Babilonia.
Ma per parlare di cose più vicine a noi. Pensiamo agli ebrei italiani, che erano rimasti nei ghetti per lungo tempo e quando poterono uscire, si immersero in una specie di situazione annacquata, in cui le tradizioni dei padri non contavano quasi più nulla. E lo stesso discorso vale per gli ebrei nelle altre zone d’Europa.
Se noi sopravviviamo come eredi delle leggi di Mosè è una specie di miracolo. Non c’è nessun popolo al mondo, tanto piccolo, tanto disperso, che abbia conservato questa forma di identità, nonostante tutto, al di là di tutto.