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Il Talmud – prima parte
(Rav Luciano Meir Caro)
Che cos’è il Talmud? E’ un libro, tornato alla ribalta, in Italia, perché è partita una iniziativa di pubblicazione, che ha visto l’uscita del primo volume, quello chiamato “Rosh hashanà”, il Capodanno. Il successo editoriale è stato tale, che ne sono già state prodotte tre edizioni.
Vi confesso che, all’inizio, io ero alquanto perplesso davanti a questo progetto editoriale, perché mi chiedevo a chi potesse interessare una letteratura così straordinariamente specifica, quale è quella del Talmud. Chi lo legge, infatti, senza un’opportuna preparazione, difficilmente riesce a penetrare nella vera realtà del testo.
Il progetto è quello di stampare un volume all’anno, cosa che a me sembra fantasioso, perché il lavoro di traduzione di tali testi, è molto difficile e complicato.
Il Talmud non è un libro che si legge, ma un libro che si studia, si medita, e preferibilmente in compagnia di qualcuno.
Intanto la parola “talmud” significa studio.
Ma se dovessi definire il Talmud, non saprei trovare una definizione appropriata. Il Talmud è un codice, un libro di storia, un trattato di antropologia, un trattato folcloristico, un trattato di filosofia, ecc. E’ tutte queste cose, ma nessuna in particolare. E’ una specie di enciclopedia. Qualcuno ha tentato la definizione che il Talmud è letteratura, cioè in esso c’è un po’ di tutto. Tenete conto che il Talmud è il prodotto di un millennio circa di attività spirituale, intellettuale e culturale che ha coinvolto molte generazione e decine di studiosi che vi hanno partecipato, ovviamente in epoche diverse. I grandi maestri che partecipano alle discussioni riportate nel Talmud sono un qualcosa come circa 5.000 persone, di tempi e luoghi diversi, che partecipano direttamente o indirettamente.
Aggiungo anche che dopo la Mikrà, cioè il testo biblico, il Talmud è il testo più importante della letteratura ebraica, che accompagna il testo della Bibbia e lo completa, in qualche modo, lo discute, lo esamina, lo elabora. Secondo qualcuno è ancora più importante della Bibbia, perché cerca di farci penetrare negli interstizi della Bibbia, presentandoli sotto le più diverse angolazioni.
Altro elemento caratteristico di questo libro è che durante i secoli ha subito persecuzioni, simili a quelle che ha subito il popolo ebraico: è stato sequestrato, è stato bruciato, è stato vituperato, sequestrato, ne è stata proibita la lettura e la stampa. Chi lo proibiva, aveva paura di ciò che vi era scritto dentro, anche perché non lo capiva, ma soprattutto perché aveva capito che questo libro conservava l’identità culturale del popolo ebraico e quindi sopprimendo questo, si pensava di sopprimere la cultura ebraica e quindi anche le persone. Non ci sono riusciti, ma questa cosa ci è costata tante difficoltà e qualche volta anche del sangue, perché chi era trovato in possesso di questo libro senza i dovuti permessi, subiva pene anche pesanti.
Qualcuno ha definito il Talmud come l’elettrocardiogramma dell’ebraismo, che presenta onde, sussulti alti e bassi, che in relazione allo stato di salute dell’individuo si presentano in forma diversa, quindi ci sono delle accelerazioni, delle aritmie, ecc.
Per poterlo gustare andrebbe esaminato con calma, una pagina per volta e soprattutto andrebbe discusso. Perché tutto sta nella discussione. Ma cercherò di spiegarmi meglio.
Quali sono le fonti della tradizione ebraica? Abbiamo come elemento base fondamentale la Bibbia e mi riferisco, ovviamente, all’Antico Testamento, o Primo Testamento, che per noi è il Testamento, una serie di libri di ispirazione divina, che ci danno le indicazioni su come dobbiamo adoperare la vita che ci è stata donata dall’Eterno: una specie di libro di istruzioni per la vita. Attraverso gli Ebrei questo Libro è stato diffuso in tutte le realtà, non soltanto dal punto di vista religioso, ma anche culturale.
La Bibbia, però, deve essere interpretata; di per se stessa, dice poco (sto dicendo una bestemmia!), ma è una continua provocazione a sondare ognuno di noi, come se fossimo continuamente messi sotto esame. Se un tale legge la Bibbia e il suo atteggiamento è quello di chi vuole vedere come va a finire, non ha capito niente. Ogni passo lo interroga, lo provoca, induce la domanda: Tu cosa ne pensi? Cosa provoca in te questo passo? Come lo interpreti? Cosa ne ricavi?
Soprattutto noi siamo chiamati a ricavare dalla Bibbia, nella sua interpretazione, la normativa, il modo corretto di pensare e di comportarsi. Noi Ebrei siamo soliti ricercare nella Bibbia la soluzione a tutti i tipi di problemi che ci si presentano. Non solo quelli che riguardano il rituale o legale. Non sappiamo come affrontare una certa situazione? Cerchiamo nella Bibbia. Questo ci ha abituato a penetrare in tutti i testi da tutte le angolazioni.
Non è senza significato che la Bibbia inizi con la lettera Bet, scritta anche formalmente più grande rispetto alle altre lettere: “In principio Dio creò il cielo e la terra”, in ebraico suona così: Bereshit barà Elohim. Questo sta a indicare, fra le tantissime altre cose, che tutto può essere visto almeno da due angolazioni; non c’è una verità assoluta, ma la verità noi la dobbiamo perseguire, conseguire, anche faticosamente.
A un certo punto, il popolo ebraico, ha messo in pratica i dettami della Bibbia secondo gli insegnamenti dei maestri delle varie generazioni.
Il testo biblico, essendo spaventosamente generico, non potrebbe essere interpretato da noi, se non fosse stata data una interpretazione da parte dei maestri. Si tratta di principi di carattere generale, che vanno calati nella realtà.
Ma qui non ci è possibile approfondire, in questo momento. Pensate solo, per esempio, che il testo biblico afferma che di sabato non si lavora; però non c’è una definizione del lavoro! Che cosa si intende per lavoro? Oppure si dice che dobbiamo rispettare i genitori, ma non si dice come lo si faccia. Come cala tutto questo nella realtà quotidiana?
Bene, fin dagli inizi, i vari maestri nei confronti degli allievi, così come i genitori nei confronti dei figli, davano le spiegazioni su come ci si dovesse comportare. Ma queste spiegazioni andavano molto bene fino a quando gli Ebrei sono stati un popolo interamente immerso nella propria realtà geografica. Poi però le cose sono cambiate, per ragioni non volute da noi: nel I secolo dell’Era volgare, con la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dei Romani, il popolo si è disperso e si temeva che ogni comunità ebraica, in giro per il mondo, finisse per cambiare le tradizioni ebraiche. Allora si è deciso di mettere per scritto i principi generali delle interpretazioni della Torah sul piano normativo. E’ stato un lavoro molto complesso durato decenni, dal quale è scaturito il testo della Mishnà. Mishnà vuol dire ripetizione. Si tratta di 63 trattati riguardanti i vari aspetti e settori della normativa: nascita, morte, matrimoni, ecc.
Questa elaborazione è stata portata a compimento all’incirca nel III secolo dell’Era volgare (attorno al 200). Immediatamente le varie accademie di studio che esistevano nel mondo hanno iniziato a studiare il testo della Mishnà, che veniva diffusamente trascritto. Queste accademie erano prevalentemente concentrate a Gerusalemme e in Babilonia. Le discussioni attorno alla Mishnà sono andate avanti per circa 500.
Contemporaneamente le discussioni e lo studio venivano portate avanti e in Babilonia e a Gerusalemme, o meglio, nelle città limitrofe, come Tiberiade, Safed, ecc.
Il resoconto stenografico delle discussioni avvenute nelle accademie babilonesi costituisce il Talmud babilonese, mentre il resoconto stenografico delle discussioni avvenute in terra di Israele costituisce il Talmud di Gerusalemme. Sono due testi paralleli in cui veniva studiata la Mishnà nel contesto delle accademie, e qualcuno trascriveva ciò che veniva detto. Quindi chi legge il Talmud, è obbligato a sentirsi parte delle discussioni che avevano luogo nelle accademie. Quindi cercare di seguire ciò che dice l’uno, ciò che dice l’altro, in discussioni che quasi mai finiscono, ma rimangono aperte ad altri studiosi che possano elaborare altre interpretazioni o insegnamenti.
Il Talmud è un testo, quindi, che si studia!
Facciamo un esempio. Apro a caso il Talmud e leggo: “Rabbàn Gabriel mandò a dire a rabbì Iehoshua: Io decreto che tu venga da me con il tuo bastone e con i tuoi soldi nel giorno che secondo il tuo calcolo sarebbe il giorno di Kippur”. Non vi dico come va a finire. Uno deve immaginare qual è il problema, chi sono questi due, di che cosa stanno parlando. Intuite già che c’era una discussione sul calendario. Due maestri prestigiosi avevano elaborato un’interpretazione su come si formula il calendario. Uno dei due, che era presidente del grande tribunale, era in contrasto con un altro e così lo manda a chiamare dicendogli di andare da lui con tutte le sue cose nel giorno in cui secondo lui era festivo, ma non lo era secondo l’altro.
Un’altra pagina a caso: “Qualcuno obietta con questa citazione: Se l’intenzione l’ha messa chi ascolta, ma non chi fa ascoltare, oppure se l’intenzione l’ha messa chi fa ascoltare, ma non chi ha ascoltato, non è uscito dall’obbligo, se non quando l’intenzione non la mettano sia chi la sente sia chi la fa sentire”.
Uno che legge un brano del genere, non capisce assolutamente niente. Quindi bisogna ritornare alle origini e capire che cosa si sta dicendo e quali sono le varie posizioni, che sono elaborate, qualche volta, in secoli diversi. Dopo un po’ di tempo, in cui si fa esperienza di questo “navigare” nel mare del Talmud, si riesce a identificare i vari maestri, come se fossero presenti, perché ormai riconosce quali sono i pensieri e le posizioni dell’uno e dell’altro.
Quindi, principio fondamentale: il Talmud non si legge, ma si studia!
Si studia e bisogna riportarsi alla discussione che un sta leggendo.
Tra l’altro bisogna tener conto che, come in tutte le riunioni, si passa da un argomento all’altro, magari anche allo scopo di far calare la tensione, perché di solito, quando si discute, ognuno vuole affermare le sue posizioni. Allora, se capita che due persone si stanno accalorando nel trattare un determinato argomento, e non si riesce più ad andare avanti, perché ognuno ha innalzato un muro, interviene una terza persona e cambia argomento per smorzare la tensione.
Ricordo una grande discussione avvenuta riguardo al Sabato, se una certa azione era da considerare lavoro o non lavoro: i partecipanti alla discussione si sono infervorati tanto, da non riuscire più a venirne fuori. Allora è intervenuto un altro con una domanda su come si fa a distinguere quali sono gli studiosi più autorevoli, guardando il loro abbigliamento. E ha presentato la tesi che lo studioso di valore lo si distingue da quanto sono consumate le maniche delle sue camice o delle sue giacche, perché chi studia di solito sta con le braccia appoggiate al tavolo. E questo è causato da spirito maligni, un po’ antisemiti, che non vogliono che gli Ebrei studino e per questo vogliono attirare la loro attenzione sui vestiti.
Capiamo che qui siamo al delirio! Ma il meccanismo è quello dell’intervenire con altri argomenti, perché poi si possa ritornare a ciò si cui si stava discutendo prima.
Allo stesso modo si cerca di intervenire nelle discussioni, aprendo argomenti diversi, per cercare di capire quale sia la posizione di un maestro o di un altro. Si partecipa, cercando di essere presenti e di tirar fuori il proprio punto di vista. Capite quale sia, dunque, l’atteggiamento di fondo nell’accostarsi al Talmud e quanto una tale lettura sia diversa da quella che noi solitamente pensiamo.
Il Talmud Babilonese, che è quello più classico e anche che più a lungo è durato nel tempo, ed è anche il più corposo e più studiato, offre le discussioni solo su poco più della metà dei trattati del Talmud stesso. Tanto si è discusso, che non c’è stato tempo di discutere su tutti gli argomenti!
Quando il Talmud si è chiuso – quello Babilonese circa nel 490 e quello di Gerusalemme circa 100 anni prima, è cominciato un lavorio molto profondo da parte di studiosi, per metterlo per scritto. Ma lo si voleva scrivere in un modo che potesse coinvolgere il più possibile i lettori. Quindi si è scelta una lingua molto particolare, stramba, per scrivere il Talmud; una lingua che non esiste, perché in quel tempo gli Ebrei parlavano un dialetto composito, in parte simile all’aramaico, ma anche con espressioni in greco e altra lingue. Quindi l’interpretazione delle parole risultava molto difficile, ma hanno voluto lasciarlo così proprio per stimolare la ricerca.
Faccio un esempio che riguarda la mia vita personale. Durante gli studi rabbinici, che ho compiuto a Gerusalemme, in un anno scolastico, abbiamo studiato, praticamente tre ore al giorno, con un insegnante molto bravo, che ancora adesso mi capita di sognare!, un solo trattato e di questo trattato due pagine e mezzo! Sì!
E come avviene lo studio? L’insegnante dapprima legge un brano insieme allo studente, dà alcune indicazioni di carattere generale e poi invita l’allievo a studiare per conto suo, oppure insieme a un compagno. Dopo alcuni giorni di studio fatto in questo modo, gli allievi sono invitati a riferire al maestro quanto hanno capito del testo studiato.
Vi assicuro che di queste due pagine che abbiamo letto, io e i miei compagni, non abbiamo capito quasi nulla. Bisogna anche dire che il testo originale del Talmud non ha punteggiatura, non ci sono punti, virgole, punti esclamativi, ecc. Perciò è anche facile confondere una risposta con una domanda e non riesci più ad andare avanti; devi ricominciare tutto daccapo e riaffrontare tutto il testo.
Vi assicuro che questo metodo di studio è una ginnastica molto utile per imparare a studiare.
Ecco questo è il Talmud: in esso c’è di tutto.
Gli studiosi dei secoli successivi alla stesura del Talmud, hanno poi suddiviso il materiale e lo hanno selezionato. Tutto quello che riguarda l’interpretazione giuridica della norma, va sotto il nome di Halakà, è normativa ed è fissato, stabilito secondo certi parametri.
Tutto quello che invece è racconto, discussioni, appunti, consigli, insegnamenti, ecc. va sotto il nome di Haggadà, che significa narrazione, chiacchierata. Ma nel testo originale era tutto intrecciato e quindi era molto difficile comprendere e distinguere. Quindi un primo problema è quello della lingua, poi quello di capire di cosa stanno parlando e chi sta parlando e infine a quale conclusione siano o non siano arrivati.
Molto spesso le discussioni si concludono con un’espressione, che è diventata gergale nell’ebraico, ma che non vuol dir niente: Teiku. Pare che sia un acronimo, che significa: Il Tisbita risolverà i problemi e le questioni. Chi è il Tisbita? E’ il profeta Elia, del quale si dice che sarà il precursore della venuta del Messia e siccome lui sa tutto, quando verrà, potremo chiedergli tutto.
Ma questa espressione è un invito a studiare, a cercare la soluzione da soli.
Vi posso dire che il Talmud Babilonese è composto da 5894 pagine, che non sono in realtà così, ma più di 10.000, perché ogni pagina è costituita da un lato A e un lato B, il davanti e il di dietro.
Il primo manoscritto completo e noto del Talmud babilonese risale al 1289, mentre la prima edizione a stampa è del 1520 probabilmente stampata a Venezia.
Nel corso dei secoli il Talmud è stato considerato, in alcuni momenti, come un testo pericolo per la Chiesa, perché si riteneva, erroneamente, che contenesse affermazioni negative sul cristianesimo, cosa ormai certamente smentita e riconosciuta da tutti per falsa.
In un primo tempo è stato decretato, da parte delle autorità ecclesiastiche, che il Talmud dovesse essere bruciato; per la prima volta questo decreto fu emanato a Roma nel 1553, se non sbaglio. Tutte le copie furono sequestrate agli Ebrei e portate in piazze e bruciate, con grande festa del popolino. Questo avvenne un po’ dappertutto in Italia. Successivamente è stato stabilito che il Talmud e altri libri ebraici si potevano tenere, solo se erano stati sottoposti a censura da parte di censori, pagati dalle Comunità ebraiche. A volte questi censori erano persone ignoranti, che non capivano quello che leggevano. Se questi tali decretavano che il libro non conteneva nulla di pericoloso, ponevano il nulla osta sul libro, che così poteva essere tenuto in casa. Ma se si veniva trovati in possesso di un libro ebraico senza autorizzazione del censore, si era sottoposti a punizioni e multe.
Per ricavare la normativa dalla Torah, bisogna ricorrere a delle regole, che siano però condivise, perch senza regole, ognuno va per conto suo. Per es. bisogna essere d’accordo, per es. su che cosa è lavoro e cosa no. Tagliare la carne di sabato è un lavoro? Strappare la carta è un lavoro? Non c’è una definizione di che cosa sia il lavoro-
I maestri del Talmud hanno elaborato una specie di griglia di norme che aiuta ad arrivare a ricavare la norma dal testo biblico. Prima di accingermi alla lettura di un passo biblico, io mi devo domandare che cosa ne voglio ricavare, che cosa voglio sapere quando leggo un testo. Intendo ricavare la normativa, cioè le cose che sono obbligato a fare nella mia quotidianità? Allora, devo seguire queste regole. Invece, se voglio studiare un passo da un’altra angolazione (storica, filologica, geografica, antropologica, ecc.), io sono ampiamente libero di interpretare come voglio io, ma devo essere nella buona fede, con grande onestà intellettuale. Ovvero, non posso accostarmi a un testo biblico per trovare quello che piace a me!
Qualcuno dice che le regole per ricavare la normativa da un testo biblico fossero 13, elaborate dai maestri.
Vi do un piccolo esempio.
Un passo normativo non può essere scollegato dal proprio contesto; devo capire dove un versetto è inserito; devo tener conto del passo, del paragrafo, del capitolo in cui esso si trova. L’esempio è classico è quello dei dieci comandamenti, di cui noi abbiamo una lettura diversa a seconda del nostro atteggiamento. I dieci comandamenti sono dieci parole di Dio, date a Israele e scritte su due tavole, la prima delle quali contiene i comandamenti che riguardano il nostro rapporto con Dio, mentre la seconda i comandamenti che regolano i rapporti tra gli uomini.
La seconda tavola inizia col comando: Non uccidere! E poi: Non commettere atti impuri, non fare falsa testimonianza, non desiderare. I nostri maestri di chiedono cosa ci vuol dire il testo quando ci dà una regola generale e poi i particolari, oppure cosa ci vuol dire quando ci dà i particolari, senza darci la regola generale. Che differenza c’è?
Quando dice: Non desiderare la casa del tuo compagno, l’asino, il bue, la moglie e tutto quello che appartiene al tuo compagno, come devo interpretarlo? Perché non ha detto semplicemente: Non desiderare nulla di ciò che appartiene al tuo compagno? Era più che sufficiente! Parla del bue, parla della moglie, della casa e perché non mi parla della macchina? Sì, la macchina non esisteva, ma poteva parlarmi di qualunque altra cosa! Perché mi dà quegli esempi e non altri? E perché mette la regola in fondo, dicendo: “Nulla di quello che appartiene al tuo compagno”? Altre volte, invece, ci sono i particolari e non la regola generale; altre volte c’è solo la regola generale e non i particolari, come quando è detto: “Non lavorare il sabato!” , ma senza specificare quali sono i lavori.
Noi interpretiamo quel “Non rubare” come una cosa diversa dal non rubare normalmente inteso. L’espressione ebraica lignòv – sto dicendo il Talmud, eh! – ha tanti significati; sì, può voler dire rubare, ma più in specifico vuol dire “sottrarre a qualcuno qualcosa di importante”. L’interpretazione che diamo noi non è non rubare, ma piuttosto sottrarre la libertà al prossimo. Adoperando quelle regole che vi ho detto prima. Vi faccio un esempio, preso dal Talmud. E vorrei che partecipaste alla discussione, non per darmi ragione, ma cercando di guardare la questione da angolazioni diverse. Se prendiamo una persona qualsiasi, qual è, secondo voi, la cosa più importante per lei? La vita, la dignità, la salute… E’ meglio la salute o la dignità? E la famiglia non centra niente? Preferireste rinunciare alla salute o ai figli? Tutta teoria, poi bisogna vedere sul campo!
Il Talmud dice questo, dando una gradazione: non portare via all’altro la vita, la vita familiare, la libertà personale, la dignità (non testimoniare il falso) e finalmente gli oggetti che gli appartengono.
Non sono entrato in discussioni che riguardano la mistica e ci sono anche queste, nel Talmud! Cose molto difficili! Per esempio, se guardiamo al primo capitolo della Genesi, che cosa vuole insegnarci? Come possiamo immaginarci questo Dio, che ha creato il sole, la luna e tutto il resto? Come si muove questo Dio? Ci vengono date delle indicazioni senza risposte definite, perché il Talmud non è mai stato chiuso all’onestà; siamo invitati a non fermarci mai nella ricerca.
Come anche siamo invitati ad avere sempre rispetto per chi ha idee contrarie alle nostre, anche se queste idee non sono accettate dalla maggioranza. Io devo comunque riconoscenza a chi ha idee diverse, perché, se non altro, mi ha aiutato ad approfondire meglio le mie idee.
C’è un racconto abbastanza noto, che forse ho già detto a qualcuno di voi, anch’esso riportato nel Talmud. Un gruppo di studiosi stanno discutendo sul significato della parola cognata o cognato. Sapete che a Scrittura dice che se un tale muore senza lasciare figli, il fratello deve sposare la vedova del morto, affinché, se nasce un figlio, questi deve essere considerato figlio del morto. Sembra facile! Ma cosa vuol dire cognato o cognata e fratello? E poi, come si fa ad essere così sicuri che quel tale non aveva figli? Come facciamo a essere così drastici? Potrebbe essere che avesse dei figli, senza saperlo nemmeno lui!
Dunque i maestri stanno discutendo animatamente su questa questione e, racconta sempre il Talmud, a un certo punto, uno del gruppo afferma di avere lui la ragione, perché ha avuto un maestro migliore di quello degli altri. Un altro dice che invece il suo maestro è migliore. Continuano a discutere così, finché a un certo momento, uno si alza e suggerisce di interrogare direttamente il Padre Eterno “in persona” (ho bestemmiato!), perché è Lui che ha elaborato il testo biblico. Ma un altro interviene e dice. No, c’è un versetto biblico, che dice: La Legge non è nel cielo. E se non è nel cielo, vuol dire che è qui; Dio ce l’ha data e ora tocca a noi capire, elaborare le risposte. Allora, continuando la discussione, uno invita gli altri a guardare fuori dalla finestra e lancia una specie di sfida: se le piante, che si vedono dalla finestra, create da Dio si muovono, allora vuol dire che Dio è dalla mia parte. Tutti si voltano e vedono che le piante si muovono. Ma l’altro dice: E’ irrilevante che le piante di muovano! E invita a guardare il ruscello, che si vede dall’altra finestra e dice: Se il ruscello cambia di corso, vuol dire che Dio è dalla mia parte. Tutti si voltano e il ruscello cambia di corso.
La conclusione è che non ci importa il parere di Dio, perché siamo noi che dobbiamo trovare una soluzione, con la nostra intelligenza.
A questo punto cambia la sceneggiatura e si vede Dio assiso sul trono celeste attorniato dagli angeli; un angelo dice: Maestà, hai commesso una scorrettezza nei confronti degli uomini, perché hai dato ragione a entrambi, prima a uno e poi all’altro. Dio risponde: Hai ragione anche tu!
Quasi come se Dio stesso partecipasse alla discussione. E concludendo, sorridendo, Dio dice: I miei figli mi hanno vinto! Gli uomini sono più bravi di me, perché vogliono trovare le soluzioni anche senza l’aiuto paterno.
Comunque, gli uni e gli altri pronunciano parole del Dio vivente. Cioè, sono in buona fede, perché quello che dicono ha un valore religioso, anche se si trovano in contrasto tra di loro.
Ciò che Dio ci chiede è proprio la sete di voler cercare le cose che riguardano Lui; la sete di approfondire, a partire da angolature sempre di diverse, cercando una verità ulteriore. Io studio, arrivo a una cera conclusione, ma sono sicuro che, se ascolterò altri pareri, potrò fare ancora altri passi in avanti.
Volevo sottolineare un aspetto particolare che riguarda questa edizione italiana del Talmud e cioè che questa traduzione è certamente una delle migliori. Ci sono anche traduzioni inglesi e tedesche, ma questa italiana, che è la più recente, è davvero degna di nota. E’ stata fatta da uno staff di grandissimi pensatori, ebrei e non ebrei, anche adoperando gli strumenti informatici che oggi la tecnica ci mette a disposizione.
Tenete conto, leggendo i passi del Talmud, che non si tratta di verità assolute, ma di discussioni che riguardano diversi argomenti e problemi. Per esempio, prendiamo il tema dei sogni.
Cosa sono i sogni? Se ne parla lungamente. Nel libro della Genesi, per esempio, ci sono diversi personaggi che sognano e non una volta sola: Giuseppe, il Faraone, Giacobbe, ecc.
Dal libro dell’Esodo in poi c’è una specie di disprezzo nei confronti dei sogni. Ma come? Prima erano così importanti e ora sembrano solo qualcosa di vago.
I sogni sono il luogo in cui Dio cerca di trasmettere all’uomo il suo messaggio, in un mondo pre… pre qualche cosa. Quando è stata elaborata la normativa, i comandamenti, si fuoriesce dal mondo dei sogni. Con la normativa non abbiamo più bisogno di sognare, perché sappiamo come dobbiamo comportarci.
Uno dei nostri maestri afferma che un sogno non interpretato è come una lettera non letta. Notate l’analogia con affermazioni della psicanalisi. I sogni sono messaggi che ci provengono dalla nostra interiorità e se non lo interpretiamo, è come se fossimo carenti di qualche cosa.
Un sogno, sia buono sia cattivo, non si verifica in tutti i suoi particolari; comunque un sogno cattivo è preferibile a uno buono. Ci sarebbe da discutere! Se uno fa un brutto sogno e viene turbato da questo sogno, può considerarlo come un presagio, che Dio sta per fare qualcosa di poco simpatico e il sogno vuole avvisarti. Il disagio che percepisci nel sogno, è già una punizione per i tuoi peccati e perciò può essere che Dio ti perdona, perché hai già soddisfatto con la pena del sogno cattivo.
Invece, se fai un sogno buono, tu ti bei di quanto hai sognato, ti inorgoglisci nei confronti di te stesso e non ti soffermi più a fare un’indagine su te stesso, sul tuo comportamento e così finisci per cadere nel peccato e attirarti delle punizioni.
Chi vede un sogno e ha l’animo depresso, può trasformarlo in buono in presenza di tre testimoni. E’ una prassi, che in alcune comunità si usa ancora. Se faccio un sogno cattivo, può essere un segno, un’indicazione, che Dio ce l’ha con me, perché me lo merito e quindi cosa posso fare? Ne parlo a tre persone, le quali, come se fossero un tribunale, decretano: Ti auguriamo che queste cose cattive nei tuoi confronti si trasformino in cose buone.
Non so se avete capito! Cioè il parlare con qualcuno dei propri sogni è già cercare di capire che cosa abbiamo nell’interno e il fatto che qualcuno parli con noi e ci faccia degli auguri, può migliorare la situazione. Il valore del parlare con qualcuno e ascoltare quanto ci viene detto.
Un altro maestro racconta che a Gerusalemme c’erano 24 persone capaci di interpretare i sogni. Una volta, avendo fatto un sogno, andò a interpretarli tutti quanti, ma la loro interpretazione era diversa, ognuno dava la sua. Tutti i sogni seguono la bocca dell’interprete. Un tale interpreta in un certo modo e tu ci credi, ma quella è la sua interpretazione e non è detto che sia quella vera. La conclusione dei maestri: lascia stare gli interpreti dei sogni, che sono tutti fattucchieri!
Ancora. Un uomo buono non può fare sogni buoni e un uomo cattivo non può fare sogni cattivi. Chiunque rimane sette giorni senza sognare, è chiamato malvagio, perché chi non elabora dentro di sé è cattivo.
Un altro tema di cui si parla molto nel Talmud è quello delle malattie, che vengono trattate spesso in forma molto ironica. Per esempio: per una febbre, bevi una bottiglia d’acqua. Per una febbre terzana, si sottoponga al salasso. Per una febbre quartana, mangi carne rossa cotta su brace ardente e beva vino annacquato. Penso ci sia molto ironia qui! Cioè, come se volessero dire: Non pensare di cavartela così!
Ancora: Ogni qualvolta che un malato ricorda il proprio nome in un incantesimo, deve designarsi come figlio di sua madre e non come figlio di suo padre. Se un malato cerca qualcuno che preghi per lui, deve dare la sua identità come derivante dalla madre, perché la madre è quella che ci dà gli impulsi più sostanziosi. Tanto più che non sempre si è sicuri di chi sia nostro padre.
Noi abbiamo l’obbligo di visitare i malati e ci sono delle regole che mi dicono come devo fare la visita: non devo andare in certe ore, ma in altre; non devo parlare mai male dei medici e dei paramedici, perché il malato conta su di loro; e subito dopo la visita, devo pregare per il malato. Tutte le preghiere fatte per un malato, Dio le ascolta in modo particolare. E chi va a trovare un malato secondo queste connotazioni normative, questi gli sottrae un sessantesimo della malattia. Se in sessanta persone andiamo a trovare un malato, gli portiamo via tutta la malattia!
Proseguo, sempre riguardo al malato: Sei cose sono un sintomo favorevole per il malato: lo starnuto, la traspirazione, andar di corpo, l’emissione seminale, il sonno e il sogno. Questo detto seriamente; seguono poi altre sei cose espresse in forma ironica: Sei cose guariscono il malato dalla sua malattia: il cavolo, la bietola, il decotto di semi secchi, il taglio, l’utero e il lobo maggiore del fegato. Alcuni aggiungono anche i piccoli pesci. Ma il tutto finisce con una risata, perché queste sono le cose che dicono le fattucchiere.
Mangiare carne di bue, carne grassa, pollame è allo stesso modo qualcosa che aiuta a guarire; altri aggiungono le noci e i cocomeri.
Vedete, qui abbiamo una fotografia di come pensava la gente.
Ci sono anche considerazioni sui vari popoli.
Insomma, il Talmud è un mare, nel quale si può anche affogare, se non si hanno gli strumenti adatti.
Il mio consiglio è cercare di leggerlo almeno in due, per aver qualcuno con cui confrontarsi e non una volta sola, perché se non si capisce nulla la prima volta, la seconda volta magari si capisce qualcosa in più.