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Le 12 tribù di Israele e i loro simboli e vessilli
(Rav Luciano Meìr Caro)


Quando si parla di tribù di Israele si intendono i discendenti dei figli di Giacobbe che hanno dato origine a dei gruppi familiari, ognuno con le sue particolarità e identità. Ma come sono andate le cose?
Partiamo da Abramo, che ha generato due figli: Ismaele e Isacco; il primo ha dato origine agli Ismaeliti, mentre il secondo ha continuato la tradizione paterna.
Isacco a sua volta ha avuto due figli: Giacobbe e Esaù. Esaù ha dato origine alla popolazione degli Idumei, stanziatasi a sud della terra di Israele.
Giacobbe, invece, ha avuto 12 figli, ognuno dei quali è diventato capostipite di un gruppo di famiglie, che hanno mantenuto nel tempo una loro identità precisa, tant'è vero che ognuna di queste tribù aveva la sua bandiera, il suo territorio, forse il suo inno nazionale.
Una premessa che non mi stanco mai di fare è che noi queste cose le apprendiamo dal testo biblico, che non vuole essere un libro di storia, ma ci presenta argomenti, episodi, narrazioni, che si ripromettono soprattutto di farci ragionare, di stimolare il nostro approfondimento e di offrirci insegnamenti. Quindi sarebbe una forma di orgoglio mettermi nella posizione di chi vuole insegnarvi che cosa sia capitato nella storia. Qui abbiamo alcuni riferimenti biblici dai quali cercheremo di trarre il sunto.

Quando noi Ebrei parliamo della nostra storia antica, di avvenimenti come la torre di Babele, Abramo, Isacco, ecc., noi riteniamo che queste cose vadano viste in quest'ottica: le azioni (maassé avôt) che ci sono raccontate a proposito dei patriarchi sono soltanto un segno per i figli. Cioè quando ci viene raccontato qualcosa che riguarda Abramo, non so se veramente ad Abramo è capitata quella cosa, ma quell'episodio dovrebbe darci un'indicazione su come dobbiamo comportarci noi, oppure un'indicazione su che cosa ci succederà, quasi ad individuare una catena delle generazioni, catena nella quale ci sono delle cose che si ripetono. E se vogliamo avere una visione chiara dobbiamo rifarci alla nostra storia precedente. Dobbiamo andare avanti, ma senza mai dimenticare le nostre origini.
I 12 figli di Giacobbe sono nati in forma strana, perché mentre Giacobbe aveva deciso di sposare la donna che amava, Rachele, si è trovato con quattro mogli; Labano, infatti, suo zio materno, presso il quale si era rifugiato, con inganno gli ha prima dato in sposa la figlia Lea e con essa la schiava e solo successivamente la seconda figlia, quella che Giacobbe amava, anch'essa con la sua schiava.
Fra le due sorelle c'era uno strano rapporto di amore e odio, fatto di gelosie e invidie, di rivalità e gare, perché ognuna voleva essere la prima per Giacobbe. Mentre Lea era molto feconda, Rachele inizialmente rimase sterile per lungo tempo: Lea aveva già partorito 4 figli a Giacobbe, mentre Rachele nessuno e così dà la sua schiava al marito, perché possa avere figli da lei. Bilà, schiava di Rachele, partorisce e così si creano altre gelosie; anche Lea, che nel frattempo aveva smesso di partorire, dà la sua schiava Zilpà a Giacobbe e così nascono altri figli.
Il racconto fa un po' sorridere, ma sembra volerci dire che Giacobbe stia scontando i peccati commessi in passato. Lui, amante della vita tranquilla, si trova in casa con quattro mogli, delle quali due sono sorelle e due sono schiave delle sorelle; immaginatevi il conflitto, sia tra le mogli che tra le schiave. C'era come una classifica tra le mogli e questo si ripercuoteva sui figli, che si vantavano di appartenere all'una o all'altra moglie più importante, o perché era la donna più amata, o perché era la donna più feconda. Immaginatevi i figli dirsi fra loro: "Tu sta' zitto, che sei figlio di una schiava, mentre io sono figlio della dona prediletta!".
Oltre questo elemento, che contiene un profondo dramma umano, che si scontra con la realtà quotidiana, c'è anche l'elemento di Giacobbe, che diventa quasi un oggetto di scambio fra le mogli, a seconda di chi aveva il diritto di averlo a dormire con sé la notte. Un giorno era prenotata Rachele, il giorno dopo Lia, poi la schiava e poi l'altra e così via. E ogni tanto le quattro donne si scambiavano dei favori, pur di avere una possibilità in più di dormire con Giacobbe.
A un certo momento si racconta che Ruben, il primogenito di Lea, quindi il primogenito biologico, era andato nei campi e aveva trovato dei fiori particolari - dudaìm - che non sappiamo di preciso cosa siano; li porta alla madre, ma Rachele, vedendoli, ne chiede un po'. Lea non vuole e dice: "Mi hai già portato via il marito, mi vuoi portare via i fiori di mio figlio?". E così avviene il cambio: Lea cede i fiori pur di poter andare a letto con Giacobbe, anche se sarebbe stato il turno di Rachele. Cosa ci vuole insegnare questa cosa, non lo so. Bisognerebbe intanto capire cosa sono questi fiori; si traduce con mandragole, ma non si è certi. La radice è quella di 'amore' e quindi si collegano a una pianta afrodisiaca, a qualcosa che sollecitava l'amore, il concepimento. Non lo so. Ma credo che mentre leggiamo queste cose, noi dobbiamo avere l'ottica di cercare di capire e penetrare nel testo, ma anche l'ottica dell'ironia verso noi stessi. Come a dirci che noi viviamo in una società dove ci sono delle idee preconcette, che non sempre corrispondono alla verità. Uno degli insegnamenti che ne ricaviamo, è che Ruben perderà la primogenitura, con tutti i diritti annessi; ad es. il primogenito, alla morte del padre, diventava il capofamiglia, con diritto di vita e di morte sulla famiglia. E poi aveva anche delle prerogative di carattere economico rispetto agli altri fratelli.
Poi ci verrà raccontato che Ruben perderà la primogenitura perché è andato a letto con la concubina di suo padre. Credo che questa storia si ricolleghi a tutta la storia precedente; infatti si riconosce in tutto il testo biblico una posizione negativa nei confronti dei primogeniti. Mentre nella società di allora era proprio il primogenito ad essere tenuto in massima considerazione, nella Bibbia no, quasi a sottolineare che non è tanto importante la primogenitura sul piano biologico, ma su quello del comportamento. Guardate: Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Ruben, Mosè, Davìd… nessuno è primogenito. Ma possibile? C'è quasi una forma di contrarietà nei confronti dei primogeniti. L'unico primogenito che mantiene la sua primogenitura è Adamo, forse perché non c'era concorrenza.
Dal punto di vista del padre e delle madri, ovviamente, questi dodici figli sono tutti uguali, ma tra di loro c'è un certo contrasto, che ritroveremo pari pari nei secoli successivi.
Nella Genesi leggiamo che Dio, vedendo che Lea non era amata, la rende fertile ed essa comincia a partorire; mentre Rachele è provvisoriamente sterile. Il primo figlio, dunque, è Reuvén. Questo nome ha un significato importante, come tutti i nomi, che venivano dati per sottolineare un avvenimento particolare che riguardava la persona. Reuvén è formato da reù e ben, cioè "vedete un figlio!"; è Lea che si gloriava di aver partorito un figlio, mentre sua sorella no, pur essendo la donna amata. Dopo Reuvén nasce Shimon, Simone; dalla radice 'ascoltare', perché - dice - "Dio ha ascoltato le mie preghiere". Il terzo lo chiama Levì, da una radice che vuol dire 'accompagnamento': adesso mio marito si accompagnerà maggiormente con me, visto che gli ho dato già tre figli. Finalmente nasce Yehudà, Giuda, da una radice che vuol dire 'ringraziare': adesso devo ringraziare. Finalmente si decide a ringraziare Dio!
Dopo questo c'è un episodio molto brutto. Rachele, vedendo che non partoriva, si rivolge a Giacobbe e dice: "Dammi dei figli, se no io muoio!". Ma Giacobbe si accende di ira e le dice: "Sono io al posto di Dio, che ti ha impedito di avere figli?". Invece di consolarla, la respinge, sottolineando che è Dio a impedirle di avere figli. Sottinteso che lui i figli li ha; è lei che non li ha e quindi significa che Dio la sta punendo per qualcosa.
Così Rachele dà a Giacobbe la schiava Bilà, dalla quale nasce Dan, dalla radice din, 'giudicare': "Dio mi ha giudicato". Poi nasce Naftalì, da una radice che significa 'combattere', come a dire: "Io ho avuto dei contrasti con mia sorella".
A questo punto succede che Lea, che aveva smesso di aver figli, prende la sua schiava e la dà al marito. Nascono altri figli, fino al numero di dodici. Leggete voi il racconto, io non mi dilungo.
Ma possibile che nascessero solo maschi? Il testo riporta la nascita anche di una figlia, Dina, ma solo una su dodici? Probabilmente di figlie ne sono nate tante, ma non vengono nominate, perché non hanno una ripercussione sul piano familiare. Vengono citate solo quelle figlie, che poi hanno una parte importante nella storia successiva.
Continuando il racconto delle nascite, arriviamo finalmente al lieto evento per Rachele, che riesce ad avere un figlio: Ioséf Giuseppe e lo chiama così, perché in ebraico questo nome significa "aggiunta". Rachele, infatti, alla nascita di Giuseppe, prega Dio che le aggiunga un altro figlio. Il che si avvera con la nascita di Beniamino, che riceve questo nome nella circostanza tragica della morte di Rachele proprio nel partorire questo figlio. Lei lo chiama Ben-onì, cioè "il figlio del mio lutto"; ma Giacobbe cambia il nome, deformandolo in Ben-iamìn, che significa "figlio della destra".
Allora abbiamo i figli di Lea, i due figli di Rachele Ioséf e Beniamino e i figli delle schiave. Bene, ognuno di questi figli dà origine a una famiglia. Il testo successivo della Genesi ci racconta i contrasti tra questi fratelli, in particolare il contrasto forte con Giuseppe, che era un personaggio straordinario, di intelligenza superiore agli altri e particolarmente lieto, ma anche antipatico, perché ostenta la sua intelligenza. Giuseppe, poi ha un modo di parlare con tutti - il padre, i fratelli, chi viene in contatto con lui - tale che il suo interlocutore, dopo qualche secondo che lui ha finito di parlare, si accorge di essere un cretino. Se voi notate, la storia di questo Giuseppe è sempre così. Perfino con la moglie del faraone, in Egitto, la quale si innamora di lui, lo schiavo straniero e gli ordina: "Vieni a letto con me", considerando lo schiavo appunto come un oggetto; siccome le piace, lui deve soddisfarla. Ma lui le risponde dandole della cretina e questo succede più volte, tant'è vero che lei poi si arrabbia e si vendica. Ma questo succede molte altre volte, con tutti. Un altro esempio l'abbiamo quando Giuseppe, appena uscito dalla prigione, viene condotto davanti al faraone per interpretargli i sogni e convince il faraone di aver bisogno proprio di un uomo come Giuseppe, che sembra l'unico a capir qualcosa in mezzo a tanti imbecilli.
Tutto questo preambolo che vi sto facendo, serve per arrivare alla conclusione. Quando Giacobbe si accinge a dare la benedizione ai suoi figli sul letto di morte, in realtà non è assolutamente una benedizione. Il testo dice che Giacobbe, chiamando a sé i suoi figli, annuncia loro: "Io vi annuncerò quello che vi succederà nel lontano futuro". Pare che volesse dire qualcosa, ma finisce per rimproverare aspramente ognuno di loro. In queste pseudo-benedizioni succede una cosa importante: tutti i figli hanno diritto a dare origine a una tribù, fatta eccezione per Giuseppe. La tribù di Giuseppe non esiste; esistono, invece due tribù per i suoi due figli: Manasse ed Efràim. Questa cosa sembra allo stesso tempo un premio, perché solo lui ha due tribù, ma anche una punizione perché solo lui non è ricordato, mentre compare il nome di tutti i suoi fratelli.
Ma questo avviene spesso nel testo biblico; contestualmente le persone hanno un premio e una punizione. Giuseppe si è sempre dato un sacco di arie, perciò è giusto che il suo nome scompaia.
Tutto questo, poi, ha delle ripercussioni sul futuro e parlo di secoli dopo. Infatti avremo dei contrasti tra le varie tribù di Israele, in particolare in relazione al contrasto che c'era tra i vari fratelli. Questo contrasto è in particolare il contrasto tra i discendenti di Ioséf e i discendenti delle altre tribù.
Mi voglio fermare su un altro argomento, sempre in relazione a quanto stiamo dicendo. Gli Ebrei escono dall'Egitto e cominciano a intraprendere il loro viaggio verso la terra promessa, con la traversata del mar Rosso, il monte Sinài, la manna e le quaglie, ecc., ma a un certo punto c'è qualcosa che ci lascia abbastanza perplessi. Se voi leggete il primo capitolo del libro dei Numeri, c'è una lunga descrizione, che sembra quasi inutile. Dice che Mosè, all'inizio della partenza ufficiale dal monte Sinài verso la terra promessa, quindi a distanza di due mesi dall'uscita dall'Egitto, dovette fare una specie di censimento o schedatura di tutto il popolo, ognuno secondo la propria famiglia e la propria bandiera. Ci vengono dati una serie di numeri, che non riusciamo a interpretare come si deve; ci viene detto chi era il rappresentante di ogni tribù; e si dà una connotazione di come dovevano essere schierate le tribù nel viaggio verso la terra promessa e si immagina che ci sia nella parte centrale della carovana il famoso tabernacolo, portato dai leviti e a fianco, davanti e dietro le varie tribù schierate secondo un determinato ordine, ognuno secondo la loro origine paterna e ognuno secondo i loro vessilli.
La domanda che io mi pongo e penso anche molti studiosi è questa: si tratta di gente uscita dall'Egitto e incamminata verso una realtà nuova; allora come mai il testo biblico sottolinea queste divisioni? Noi ci aspetteremmo che si sottolineasse, al contrario, l'unità del popolo ebraico.
Il testo non ci dice come erano fatte le bandiere, ma nella tradizione successiva si fa riferimento alle famose pseudo-benedizioni che aveva dato Giacobbe. Per es., parlando di Zevulùn, si dice che stava sulle rive del mare e allora, in relazione a questo, la bandiera di Zevulùn è immaginata con una nave. Di Ashér è detto che abiterà in una terra molto fertile e allora nel suo vessillo si trova un bell'albero.
Studiando la storia successiva, vedremo che questa suddivisione delle tribù darà origine a una specie di confederazione; ma gli Ebrei delle generazioni successive, come si può constatare dalla nostra storia, non hanno capito bene il messaggio, perché invece di dare vita a una confederazione unitaria, hanno pensato bene di litigare una tribù contro l'altra.
Uno dei problemi che si è posto, nel momento in cui Giosuè ha introdotto il popolo nella terra promessa, è stato quella della divisione della terra tra le varie tribù. Il testo non dice quali considerazioni siano state adottate per distribuire il popolo geograficamente; intervengono poi i maestri, che dicono che fosse Giosuè a proporre di assegnare un certo pezzo di terra a una tribù; se gli altri stavano buoni, veniva dato, se invece sorgevano dei contrasti, perché anche un'altra tribù ambiva a quello stesso territorio, si ricorreva alla sorte, che veniva considerata come volontà di Dio.
E' ovvio che si tenesse conto anche della consistenza numerica della tribù.
Ritorno alla domanda di prima. Perché sottolineare questa individualità delle tribù e mai la loro unitarietà? Si parla di varie bandiere, ma non di una bandiera nazionale. Qual era la bandiera nazionale? Io credo che si possa dire che era il tabernacolo che stava in mezzo a loro. C'è una costituzione che costituisce il principio generale per tutte le tribù, ma poi ogni tribù deve sviluppare una normativa che sia lo specchio delle proprie esigenze ed individualità. Questa forma di individualismo è rimasta fino ad oggi tra noi Ebrei, direi in maniera paurosa. C'è qualcosa che ci unisce, ma ci sono tante cose che ci dividono. Vi faccio un esempio scherzoso, ma che non è scherzoso. La comunità di Ferrara e quella di Bologna sono due comunità sorelle, che sono anche vicine geograficamente; ma c'è una rivalità tra queste due comunità che non vi immaginate. I ferraresi dicono che i bolognesi sono dei trogloditi, mentre i veri Ebrei sono loro, portatori della civiltà, della cultura, ecc., mentre i bolognesi snobbano gli altri, dicendo che sono solo quattro gatti e non bisogna dar loro retta.
Una cosa simile avviene con gli Ebrei di Roma. Abbiamo tantissime cose in comune, ma l'individualità non si tocca. Credo che questo sia un insegnamento che ci vuol dare la Torah: l'omologazione è negativa. Sto dicendo una cosa che può sembrar paradossale. Siamo tutti uguali, siamo tutti cittadini del mondo; ma cosa vuol dire? Non siamo tutti uguali. Abbiamo una cosa che ci unisce, cioè la Legge di Dio, la quale, però, non è una legge, ma una costituzione. Ma nell'ambito di ogni singola realtà, noi dobbiamo imparare a tradurre nella pratica questa legge secondo le nostre esigenze, la nostra tradizione, le nostre connotazioni.
Credo che ci sia anche questo elemento: quando gli Ebrei erano schiavi in Egitto, erano omologati, tutti schiavi, una massa uniforma di gente che non aveva individualità. Credo che fosse la politica del faraone: dobbiamo spogliarli della loro personalità; sono delle macchine da lavoro. Come hanno fatto i nazisti nei campi di sterminio: bisogna sottrarre loro la personalità. Tutti uguali, dei numeri. Viene la Torah, che invece dice: no, non siamo dei numeri, ma siamo individualità ben precise. Successivamente interviene la normativa ebraica che dice che, ove riconoscessimo una tribù - il che oggi non esiste più, perché non sappiamo più riconoscere da quale tribù proveniamo - dobbiamo adattare la normativa alle esigenze personali. Vi dico un elemento giuridico, per farvi capire come funzionino le cose. Un grandissimo saggio, che appartenga a una tribù e va ad abitare nel territorio di un'altra tribù, non ha diritto di insegnare niente, perché è portatore di una tradizione diversa. Ripeto: adesso non esistono più le tribù. Ma, sempre secondo la normativa, quando arriveranno i tempi messianici, si ricostituiranno le tribù; in un qualche modo, più o meno miracoloso, potremo ritrovare le nostre origini e ritornerà tutto come prima. Stavo parlando del territorio dove si stanziarono le tribù, cioè Israele; dunque, questo territorio è inferiore, come superficie, a una regione media dell'Italia. Ma questo territorio, per quanto piccolo, è diviso in 12 parti e ogni parte ha le sue proprie caratteristiche. Tutto questo è molto interessante e forse è quello che il testo biblico ci propone: niente omologazione, perché è negativa. Quando diciamo che siamo tutti uguali, diciamo una sciocchezza, perché non è vero. Se mi parlate di diritti e doveri, allora sì, ma per quanto attiene alla nostra identità, no: c'è la nostra tribù, la nostra famiglia, poi ci sono io, che sono io e che nell'ambito della normativa generale ho la mia personalità che ho il dovere e il diritto di portare avanti.
Credo che sia questo l'insegnamento che la Torah vuole darci, se no non ci spiegheremmo come mai all'uscita dall'Egitto si sottolinea questa distinzione in tribù.
L'unica tribù della quale è rimasta una certa percezione è la tribù di Levi, perché fin dai tempi del tabernacolo aveva ricevuto dei compiti specifici riguardanti la celebrazione del culto e quindi hanno mantenuto il loro cognome fino ad oggi. Lasciatemi dire: ho qualche perplessità sul fatto che tutti quelli che si chiamano Levi vengano di lì.
La stessa cosa vale per i sacerdoti, che sono una famiglia nell'ambito della tribù di Levi. Ma nessuno di noi può risalire oltre le tre, quattro generazioni. Almeno è rarissimo.


Ancora un elemento che vi voglio dire. Una delle tribù che fanno più pensare è la tribù di Dan. Vi ricordate? Dan è uno dei figli di Bilà, schiava di Rachele. Questa tribù ci pone alcune problematiche di carattere storico, perché, quando gli Ebrei sono arrivati in terra di Israele e sono stati distribuiti in quella terra da Giosuè, troviamo questa gente stanziata nel territorio che oggi corrisponde grossomodo alla striscia di Gaza, che è sempre stato un territorio problematico. Qui abitavano i Filistei, che hanno dato il nome alla Palestina. Questi Filistei erano una popolazione stramba, che nessuno sa da dove venisse ed erano in contrasto con tutti: con gli Egiziani, i Sumeri, i Cananei, e con gli Ebrei. Quindi della gente molto combattiva, che si era stanziata nella parte sud di Israele sul Mar Mediterraneo e aveva dato origine a una confederazione di cinque città, una delle quali era Gaza.
La tribù di Dan ha ricevuto in eredità questa zona calda e problematica, allora come oggi. Gli abitanti di quella terra avevano dei problemi interni, tra di loro, nei confronti di Israele e nei confronti dell'Egitto. Anche i Filistei erano un elemento estraneo che hanno dominato quella zona per 400-500 anni e pare avessero una lingua diversa dagli altri, una cultura diversa e c'è questo elemento che leggiamo tra le righe del testo: che loro non praticavano la circoncisione, mentre tutti gli altri popoli della zona sì. Israele ha vissuto un lungo conflitto con questa gente, risolto poi da Davide alla sua salita al trono. Ma è rimasto talmente forte il ricordo di tutto quello che era successo coi Filistei, che hanno dato il nome di Filistea- Palestina a tutta la terra, anche se loro erano stanziati, in realtà, solo in una piccolissima striscia. Torniamo alla tribù di Dan: dapprima la troviamo stanziata nella terra dei Filistei e poi all'improvviso la troviamo da tutt'altra parte, all'estremo nord, al confine con il libano. Tant'è vero che se pensate al fiume Giordano, il suo nome è costituito da due parole: iaréd e Dan, che significa "quello che scende da Dan". Da alcuni elementi si deduce che questi famosi daniti, ai quali apparteneva anche Sansone, a un certo momento non ce l'hanno più fatta a sopportare le popolazioni filistee presso le quali vivevano e così hanno deciso di allontanarsi, emigrando all'estremità opposta. Ci sono delle storie eccezionalmente interessanti che riguardano questo trasferimento, nel libro dei Giudici, dove si constata che questa divisione della terra era molto utopistica, perché si scontrava con l'egoismo della gente. Infatti ognuno pensava a sé, ai suoi problemi. Il libro dei Giudici sottolinea questa situazione, ripetendo più volte, come un ritornello: "Queste cose accadevano perché non c'era il re". Il re era la figura capace di unificare le varie tribù. Su ciò c'era un forte dilemma nel popolo ebraico: da una parte qualcuno auspicava fortemente un re, ma dall'altra parte, c'era chi lo rifiutava, ritenendo di non averne bisogno, perché il vero re è il Signore Dio e nominare un re è un arbitrio nei confronti della sovranità di Dio. Sta di fatto, però, che il re, a un certo punto, viene nominato e sarà scelto dalla tribù più piccola, quella di Beniamino, per evitare che si dessero troppe arie, vantando privilegi. Così viene accettato come re Saul, che però verrà esautorato per motivi contingenti, perché muore in guerra, ma anche per motivi di indegnità da parte sua. Al suo posto verrà eletto Davide, della tribù di Giuda, la più grande e Giuda era quel figlio di Giacobbe che poi, di fatto, aveva assunto la primogenitura. Davide riuscirà a unificare, ma solo per poco; infatti passano poco più di 150 e avviene la divisione, per opera della tribù di Efràim, il figlio di Ioséf. Si riproduce il contrasto tra gli altri fratelli e la tribù di Efràim. Si formano così due tronconi: il regno di Efràim, che comprendeva Efràim come regno portante e tutte le altre tribù, mentre dall'altra parte c'era Giuda. Davide, uomo di grande acume politico, ma anche grande delinquente - ma non si poteva non esserlo in quelle situazioni - capisce che è necessaria una capitale per il regno, ma non si può adoperare una città preesistente, perché se no quelli si danno delle arie; così inventa Gerusalemme, collocata al confine tra il territorio della tribù di Beniamino e quello della tribù di Giuda, a metà strada. I suoi discendenti, però, non ebbero lo stesso acume e la stessa visione delle cose che aveva Davide e perciò il regno si spaccò.
Questa è un po' la storia delle tribù di Israele, però, secondo la nostra visione delle cose, questa situazione di prima dovrà ricomporsi, quasi a insegnarci che noi non stiamo a pubblicizzare una unità assoluta, ma aspiriamo a un regime confederale, con il denominatore comune della Legge di Dio, ma ognuno con le sue particolarità ed esigenze; senza dimenticare le esigenze degli altri, ovviamente.
Io vi invito molto pressantemente a rileggere queste storie non come storielle senza valore, ma come elementi che hanno qualcosa da insegnarci per il futuro.
Un'altra storia interessante, sempre nel libro dei Giudici, riguarda la tribù di Beniamino, la più piccola, ma la più problematica. Contro la tribù di Beniamino si è verificata la prima unificazione delle tribù di Israele, perché nel territorio di Beniamino è avvenuto un delitto orrendo. I beniaminiti non volevano punirlo, pensando che nessuno dovesse intervenire nelle loro faccende a giudicare. Così avviene una coalizione di tutte le tribù, che decidono di confederarsi sul piano militare per fare guerra contro Beniamino, perché non è possibile che una tribù sia in una situazione tale che non viene punito l'omicidio. Questa guerra è stata difficilissima, perché i beniaminiti erano gente cocciuta e abitavano in territorio impervio; i combattimenti si sono protratti molto a lungo, al punto tale che le altre tribù, convinte che avrebbero comunque sconfitto Beniamino, perché erano molto numerose, hanno deciso che quella tribù non avesse diritto di sopravvivenza in mezzo a loro e quindi decisero di fare in modo che venisse estirpata. Come? Tutte le tribù si impegnarono con un giuramento solenne a non permettere che le proprie figlie si sposassero con un beniaminita, in modo da farli esaurire. Il giuramento, poi, non fu mantenuto. La Bibbia racconta che, a un certo punto, gli uomini delle altre tribù, commettevano una specie di rapimento consenziente nei confronti delle donne beniaminite.


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