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Elia Benamozegh nostro contemporaneo
La presidente dell’Amicizia Ebraico-Cristiana della Romagna, Maria Angela Baroncelli Molducci, abbonata all’Osservatore Romano, giornale quotidiano politico e religioso edito dalla Santa Sede, ha letto con molto piacere e interesse l’articolo pubblicato il 22 ottobre 2017, dal titolo “Precursore del dialogo fra ebrei e cristiani” di Anna Foa, dove si parla del notevole studio che Marco Morselli e Gabriella Maestri hanno fatto nel libro “Elia Benamozegh nostro contemporaneo” (Milano, ed. Marietti); perciò desidera diffondere questo articolo anche attraverso il nostro sito, in quanto dimostra l’attenzione del Vaticano per il mondo ebraico e per tutto quanto concerne il dialogo con gli ebrei.
Conosciamo molto bene gli autori del volume, Marco Morselli (autore tra l’altro de “I passi del Messia”) e Gabriella Maestri; sono due professori di Roma, studiosi di ebraismo, appartengono all’Amicizia Ebraico-Cristiana di Roma (di cui Morselli è stato presidente) e sono presenti ogni anno a Camaldoli durante i Colloqui ebraico-cristiani, dove portanoimmancabilmente il loro contributo di esperienze e di studi. Hanno collaborato fra loro alla stesura di diversi volumi sul cristianesimo primitivo.
Le intuizioni e gli insegnamenti di Elia Benamozegh
Precursore del dialogo tra ebrei e cristiani
di ANNA FOA
Elia Benamozegh (1823-1900) fu un rabbino livornese che si illustrò negli studi talmudici e cabbalistici. Nel mondo ebraico italiano del XIX secolo, la sua importanza può essere paragonata solo a quella di Samuel David Luzzatto (Shadal), di una generazione più giovane di lui, che con lui entrò spesso in polemica proprio sulla questione del misticismo. Ma, come ci mostrano Marco Cassuto Morselli e Gabriella Maestri nel notevole studio Elia Benamozegh nostro contemporaneo (Milano, Marietti 1820, 2017, pagine 130, euro 14), il suo ruolo non fu solo quello di studioso della mistica: egli infatti fu anche, attraverso i suoi studi sul noachismo e sui rapporti fra ebraismo e cristianesimo, un precursore del dialogo ebraico-cristiano in un momento in cui ancora non erano state abbattute le mura di tutti i ghetti e il dialogo fra le due religioni sembrava inimmaginabile.
Era nato a Livorno, discendente di un'illustre famiglia di rabbini marocchini. E a Livorno visse tutta la sua vita nella concentrazione degli studi talmudici e cabbalistici, allontanandosene solo due volte per recarsi a Pisa. Ciò nonostante il suo fu un approccio universalista, i suoi studi spaziarono in campi molto estesi, e stretti furono i suoi rapporti con la cultura francese, lingua in cui scrisse alcune delle sue opere più importanti.
Il suo maggior intento, nello studio del pensiero cabbalistico da lui tanto amato, era quello di dimostrare che non di una deviazione dalla via maestra dell'esegesi talmudica si trattava, ma di una delle sue radici più profonde, presente in maniera esoterica già in qualche passo del Talmud e nei commentatori medioevali, in particolare nel pensiero di Rashi.
Una tradizione quindi dotata di una sua continuità, parte integrante della tradizione, ma nascosta in attesa dell'avvento del Messia, quando avrebbe potuto venire liberamente alla luce. Un nesso indissolubile lega infatti, nella concezione di Benamozegh, misticismo e messianesimo.
Attento a tutti i fenomeni che si allontanavano, o parevano allontanarsi, dal solco maestro della tradizione, Benamozegh si occupa anche di Spinoza, in uno scritto in francese in cui lo interpreta alla luce dei concetti cabbalistici. Ma è su Gesù che concentra la sua attenzione, in un'epoca in cui ancora l'ebraicità di Gesù non era sottolineata da nessuno, né in campo cristiano né in campo ebraico.
I suoi studi su Gesù sono però preceduti da un'attenta riconsiderazione del movimento degli esseni, di cui egli sottolinea lo stretto rapporto con il pensiero cabbalistico successivo e che riconduce, contrariamente alle opinioni del suo tempo, non alla cultura alessandrina bensì a quella nata in terra d'Israele, dei qeniti, dei recabiti, dei nazirei, non senza sottolinearne gli aspetti comuni con il fariseato.
Uno studio, questo sugli esseni, pubblicato a Firenze nel 1865 e proprio per il suo carattere innovativo avvolto nell'oblio fino ad anni recenti. Gli studi del rabbino livornese si avvicinavano così, cercando di comprendere il contesto religioso culturale che gli faceva da sfondo, alla figura di Yeshua, Gesù, di cui sottolineava l'ebraicità, attribuendo invece soprattutto a san Paolo la rottura vera e propria con la tradizione ebraica. Assume importanza, in questi studi, anche il noachismo, le sette norme della legge di Noè, la religione universale rivolta a tutta l'umanità, da cui secondo lui tanto avrebbe tratto ispirazione l'universalismo cristiano.
E proprio nell'ambito di un'immagine dell'ebraismo in cui particolarismo e universalismo si fondono e si armonizzano, trova rilievo la sua considerazione positiva delle altre due religioni monoteiste, il cristianesimo e l'islam. Perché il principale assillo di Benamozegh è quello di sottolineare il valore dell'ebraismo per tutta l'umanità, non solo per gli ebrei, e al tempo stesso di coglierne il rapporto inestricabile con il cristianesimo che da lui deriva: «Perché l'ebraismo e il cristianesimo non dovrebbero collaborare all'avvenire religioso dell'umanità?» si domanda.
Sono, per i tempi in cui sono state scritte, parole profetiche quelle che Benamozegh scrive nei suoi libri, come precursori della svolta della Nostra Aetate sono i suoi insegnamenti, rivolti non ai soli ebrei ma a tutta l'umanità. Viene da chiedesi, leggendo i suoi scritti, se questa svolta, che tanto deve agli orrori della Shoah, non avrebbe potuto realizzarsi anche in un mondo che non avesse conosciuto l'antisemitismo nazista. Se non ci fossero cioè già le forze, un secolo prima di quanto è stato, per avviare un processo di rilettura delle radici ebraiche del cristianesimo e per ravvicinare le due religioni tanto in conflitto fra loro. «Gli ebrei - concludono Morselli e Maestri – attendono la venuta del Messia, i cristiani attendono il ritorno di Cristo, Elia Benamozegh affermava che il Messia non è venuto né verrà ma che sta venendo. Forse... al suo arrivo ebrei e cristiani potrebbero scoprire in lui gli stessi tratti del volto».
(trascrizione dell'articolo a cura di Giovanna Fuschini)