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Motivi di speranza nell’antica storia di Verona e Ravenna
Scoprire i tanti collegamenti storici fra Ravenna e Verona, nel segno dell’ebraismo, è stato l’aspetto più interessante del viaggio del nostro gruppo a Verona. È infatti ormai vecchia consuetudine che ogni anno, al termine del corso di ebraico biblico, Maria Angela Baroncelli Molducci, insegnante del corso e presidente dell’Amicizia Ebraico-Cristiana della Romagna, conduca i suoi allievi a visitare una sinagoga. E nel 2008 la meta è stata la sinagoga di Verona.
Siamo partiti da Ravenna a ora molto mattutina e dopo due ore e mezzo circa di viaggio in treno, siamo giunti a Verona. La città ci ha accolto con una pioggerellina primaverile, che però non ci ha impedito di passeggiare, di ammirare la piazza Bra e la piazza delle Erbe, i molti scorci di monumenti, palazzi, case, con torrette e logge, caratteristiche di Verona, prima di trovarci davanti alla sinagoga, in via Rita Rosani. Qui avevamo appuntamento con un gruppo dell’Amicizia ebraico-cristiana dell’Alto Garda, che, insieme alla presidente Massimiliana Viola, ci ha raggiunto verso le 11.
Alle 11 in punto il rabbino di Verona, dott. Efraim Crescenzo Piattelli, ci ha aperto la porta della sinagoga, ci ha fatto entrare e accomodare negli scanni destinati ai fedeli durante i riti della religione ebraica.
Rav Piattelli ha cominciato a parlarci della comunità ebraica di Verona. È piccola, ha detto, oggi comprende poco più di un centinaio di persone, ma ha una lunga storia. Insediamenti di ebrei sono documentati nella città fin dall’epoca romana, ma una comunità stabile si è formata solo all’epoca del re Teodorico, ricordato per la grande tolleranza religiosa con cui governò il suo regno romano-barbarico in Italia tra il 493 e il 526. Ravenna era la sua capitale, come noi ravennati ben sappiamo, mentre Verona era la città che Teodorico amava di più. In seguito a un grave conflitto scoppiato a Ravenna tra cattolici e ebrei, il re ricoverò la comunità ebraica a Verona. Da allora ci fu nella città una presenza costante di ebrei, una presenza sempre più organizzata. Nel Medio Evo vi fiorì la cultura ebraica, con molti illustri studiosi e filosofi, fra cui il grande Hillel che visse attorno all’anno 1200.
Questa comunità conobbe nel tempo periodi di benessere e pace, alternati a periodi di intolleranza, con discriminazioni ed espulsioni; l’espulsione più grave fu quella del 1499, eseguita per l’ingiustificato timore che si era diffuso in tutto il Veneto in seguito alla falsa accusa fatta agli ebrei di Trento di aver sacrificato un bambino, il famoso Simonino da Trento. Ma al tempo degli Scaligeri, cioè dal 1262 al 1387, in genere gli ebrei furono ben accetti a Verona.
Alla corte scaligera visse il poeta Manuel Giudeo, detto anche Immanuel Romano, perché nato a Roma. Nello stesso periodo, cioè all’inizio del secolo XIV, anche Dante trascorse a Verona alcuni anni del suo esilio, protetto da Can Grande, e fra i due illustri studiosi fiorì certamente una grande intrinsichezza; possiamo dedurlo dal fatto che Manuel Giudeo, pochi anni dopo la morte di Dante, pubblicò un’opera che, benché in prosa, ha molte analogie col poema dantesco. Nella sua opera Manuello, come è chiamato a Verona, immagina di compiere un viaggio nell’aldilà e sceglie come sua guida un personaggio di nome Daniele, in cui alcuni commentatori hanno voluto vedere la raffigurazione di Dante stesso. Aggrappato al suo mantello il Giudeo vola nel mondo dei morti, all’inferno assiste a truculenti supplizi di dannati, nel paradiso, che ricorda molto da vicino quello dantesco per le immagini di luce soffusa e per i diversi gradi di perfettibilità, incontra molti beati, fra cui sua madre, il suo maestro, il re Davide e Mosè, da cui riceve l’assicurazione che si salverà in virtù del suo commento alla Bibbia.
Dunque sia Teodorico che Dante, dei quali Ravenna conserva tanto gelosamente i ricordi e le sepolture, hanno un ruolo importante anche a Verona: per questa bellissima città il re Teodorico nutrì una grande predilezione e dimorò spesso nel castello in riva all’Adige, ma la morte lo colse a Ravenna, nell’inimicizia del papa e dell’imperatore, amareggiato per il fallimento della sua politica di pace e di tolleranza. Fu sepolto nel Mausoleo che si era fatto costruire fuori le mura di Ravenna, nel cimitero dei Goti. Questo fiero monumento esiste ancora quasi intatto, ma vuoto delle spoglie del re barbaro, che probabilmente furono disperse in seguito dalla popolazione latina, istigata all’odio per l’arianesimo.
Anche Dante, come si è visto, dimorò presso la corte degli Scaligeri, prima di abbandonarla, nei primi anni del Trecento, per quella di Guido Novello da Polenta, a Ravenna. Qui morì dopo aver terminato il suo divino poema e vi ebbe degna sepoltura. Le sue ossa, dopo aver subito molte vicissitudini, vi sono ancora conservate, in un sacello rinnovato nel Settecento, accanto alla chiesa di San Francesco..
Un altro collegamento fra Ravenna e Verona è la dominazione veneziana, che a Verona cominciò intorno al 1400, circa negli stessi anni in cui la città lagunare si impose anche su Ravenna. Questa dominazione però fu meno benevola nei confronti degli ebrei, e, dopo averli condannati all’espulsione nel 1499, li rinchiuse nel ghetto nel 1604 . Il primo ghetto di cui si ha notizia nella storia fu infatti proprio quello di Venezia, sorto nel 1516. Il ghetto di Verona si estendeva dalla zona dove oggi sorge la sinagoga fino a piazza delle Erbe. Ma le vecchie case del ghetto oggi sono scomparse, demolite negli anni ’20 del Novecento per far posto a nuove moderne costruzioni del centro cittadino. Certo si trattava di case molto vecchie e di scarso valore artistico, ma avevano un loro fascino ed erano una testimonianza importante della presenza ebraica in città. Il ghetto sopravvisse fino al 1801, quando Napoleone, per la prima volta nella storia, concesse l’emancipazione agli ebrei. Dopo il Congresso di Vienna e la restaurazione del dominio asburgico, gli ebrei non furono rinchiusi di nuovo nel ghetto, ma gli imperatori ebbero nei loro confronti un atteggiamento tollerante; per questo la comunità conobbe un grande impulso demografico, arrivando a contare più di 1000 membri. Per contenere i tanti ebrei residenti, poco prima dell’avvento del Regno d’Italia, fu costruita questa sinagoga. Fu inaugurata nel 1864, ma nel 1920 fu oggetto di un grande restauro, per cui oggi l’edificio si presenta in due stili diversi, la parte inferiore è ottocentesca, quella superiore, più elegante, è novecentesca. La facciata esterna, pure novecentesca, in stile orientaleggiante, fu costruita quando furono demolite le vecchie case del ghetto che occupavano lo spazio in cui oggi si snoda la via antistante la sinagoga, cioè via Rosani.
Certo ci sono in Italia sinagoghe più antiche, come quelle di Venezia e di Mantova, ma tutte sono di foggia piuttosto modesta, senza le opere d’arte che ornano le chiese cattoliche. Gli ebrei infatti non pregano davanti a immagini, statue, ecc. essendo in loro preponderante la preoccupazione di evitare l’idolatria. Con l’emancipazione degli ebrei, nell’Ottocento, ci fu in Italia un periodo di entusiasmo tale da indurre a costruire sinagoghe grandi come cattedrali, come la Mole Antonelliana di Torino, la cui costruzione poi fu interrotta per mancanza di fondi. In seguito si eressero costruzioni più semplici. Gli unici abbellimenti consentiti nelle sinagoghe sono in genere i simboli, come il Maghed David, cioè la stella di Davide, la Menorah, o candelabro a sette bracci, le tavole della Legge, ecc.
Alle pareti della sinagoga di Verona sono appese formelle di terracotta che rappresentano: la torre di Davide a Gerusalemme, la Menorah, la Sharazav, porta d’oro della Gerusalemme antica, la tomba di Assalonne, figlio di Davide, la tomba di Rachele, le tavole mosaiche, il pettorale dei sacerdoti, decorato con dodici pietre preziose che rappresentano le dodici tribù di Israele.
Nel corso del ‘900 la storia degli ebrei di Verona si uniforma a quella di tutti gli ebrei d’Italia, a parte il fatto che la presenza di ebrei si assottigliò, soprattutto perché la maggior parte di essi, non potendo possedere beni immobili, esercitava il commercio, e trovò conveniente spostarsi in centri più favorevoli a questa attività, come Milano. Con le leggi razziali poi, alcuni si fecero battezzare sperando così di sfuggire alla deportazione, anche se inutilmente. Con la guerra e la persecuzione la comunità si disperse; nel dopoguerra, come già detto, si è ricostituita, benché in numero molto limitato. (A Ravenna invece la presenza ebraica è praticamente scomparsa. In piazza Garibaldi una lapide ricorda gli ultimi cittadini ebrei di Ravenna che furono deportati nel 1943 e di essi nulla più si seppe. Sono in tutto circa venticinque nomi).
Rav Efraim Piattelli si rallegra per l’avvicinamento fra ebrei e cristiani a cui oggi stiamo assistendo: si cercano le radici comuni, si inizia un dialogo, che non significa però sincretismo. Il rabbino ha ricordato che a Verona esiste il SAE (Segretariato attività ecumeniche) dal 1990, a cui i vari vescovi hanno sempre dato appoggio. A questo proposito ha evocato la figura della signora Paola Peloso che col marito ha fondato il SAE, ha promosso molti incontri fra ebrei e cristiani, ha lavorato al dialogo con molta abnegazione e dedizione, vincendo lo scetticismo iniziale di molti, e coinvolgendo le autorità ecclesiali. Il rabbino ci ha poi informati che esiste a Verona anche un Comitato Santa Lucia, che organizza incontri di amicizia e feste fra le varie comunità religiose, anche quelle degli immigrati. In seguito a queste attività nasce in molti l’interesse per le altre culture e in particolare per la cultura ebraica; molte scuole chiedono di andare in visita alla sinagoga.
Infine Rav Piattelli ha soddisfatto alle nostre domande e ha anche ascoltato con molto interesse le nostre due presidenti che gli hanno spiegato le attività svolte dall’Amicizia ebraico-cristiana a Ravenna e a Riva del Garda, soprattutto lo studio dell’ebraico biblico, in ambedue le città condotto da Mariangela Baroncelli, per leggere la Bibbia nella lingua originale e comprendere meglio l’originalissima cultura del popolo ebraico e la sua storia; ha convenuto che lo studio e l’informazione sono importantissimi per abbattere l’ignoranza e i pregiudizi ancor oggi molto diffusi. Ha concluso affermando che bisogna cercare l’unità nella diversità, per ritrovare periodi di pace e di feconda cultura come quelli che hanno unito in passato Ravenna e Verona. Infatti questa odierna corsa alla globalizzazione, che cancella le diversità in nome di una omologazione sociale ed economica intesa solo all’interesse e al guadagno, fa pensare, ha detto, all’episodio della torre di Babele, quando, davanti all’arroganza umana, Dio diversificò le lingue e le culture per ricordarci che dobbiamo rispettare ogni essere umano nella sua specificità.
Giovanna Fuschini