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Venerdì 27 maggio a Firenze, in un convegno a Palazzo Strozzi, dal titolo
LA PACE DEI POPOLI, IL MEDIO ORIENTE, LE RELIGIONI ABRAMITICHE
abbiamo assistito alla presentazione del libro “Ritornare a Israele. Giorgio La Pira, gli ebrei, la “Terra Santa” (a cura di M.C.Rioli, ed. della Normale, 2016).
Giulio Conticelli (responsabile dell'AEC di Firenze e vice presidente della Fondazione Giorgio La Pira) ha coordinato l'incontro: ha introdotto spiegando che la ricerca che ha dato origine al volume è nata dal ritrovamento, da parte di un gruppo di giovani ricercatori, di documenti, soprattutto in Italia e in Israele. È nata così l'esigenza di procedere nella ricerca per approfondire il rapporto fra mondo cattolico e ebraismo e ripensare al ruolo importante avuto da La Pira su tale questione. Le ricerche hanno confermato che la capacità di La Pira di mettere in luce i legami cattolico-ebraici ha aperto molte possibilità di pace. Qui troviamo due significative chiavi di lettura della personalità di La Pira: la consapevolezza delle radici ebraiche del cristianesimo, che poi verrà a maturazione col Concilio Vaticano II, e la coscienza dell'unità giuridica e politica di tutta la famiglia umana, di tutti i popoli, che espresse nell'Assemblea Costituente della Repubblica Italiana 70 anni fa. Dopo Conticelli, Mario Primicerio, presidente della Fondazione Giorgio La Pira,, il vice sindaco di Firenze Cristina Giachi, la presidente della Comunità ebraica Sara Cividali hanno portato il loro saluto, hanno ringraziato e riconosciuto che la Pira ha anticipato quanto poi si è venuto affermando nel tempo: cioè che la soluzione dei conflitti non è schierarsi per l'uno o per l'altro dei contendenti, ma schierarsi solo per il dialogo. Con La Pira la storia è entrata nell'era negoziale. La Terra Santa deve essere la madre di tutti i negoziati, perché bagnata dal sangue di Gesù, del sangue dell'Olocausto, del sangue dei Palestinesi. Questa è una concezione trasversale a tutte le ricerche che sono state fatte. Sara Cividali ha voluto leggerci il messaggio di La Pira all'incontro euro-arabo del 1977:
«Costruire il destino della pace è anche il destino del Mediterraneo. Questi popoli, anche se pieni di lacerazioni e di contrasti, hanno, in un certo senso, un fondo storico comune, un destino spirituale, culturale e in qualche modo anche politico, comune. La loro “unità” è essenziale ed è quasi una premessa per l'unità dell'intera famiglia dei popoli. In questi ultimi decenni, ricerche di alto valore hanno cercato di fare e cercano di fare ogni giorno più una analisi attenta di questo “fondamento comune” e di questa “storia comune” della triplice famiglia di Abramo che bagna le sponde del Mediterraneo, nuovo lago di Tiberiade […].C'è soprattutto questo comune sforzo di rendere certezza la speranza radicata in Abramo (spes contra spem!) di riconciliare Israele e Ismaele. Lasciatemi dunque finire con questo sogno! Lasciate che io veda in questa luce lo scopo ultimo di questo convegno euro-arabo che fa rifiorire la tesi di Isaia: “La speranza di Abramo!”. Non c'è che da riprendere, per così dire, la strada di Firenze: la strada della convergenza, dell'incontro, che Isaia indicò con tanta precisione.»
In seguito Bruna Bacchini, docente dell'Università di Firenze, ha svolto il primo intervento, parlando dell'importanza del carteggio di La Pira, che ci fa ripercorrere 40 anni della storia del Medio Oriente; si tratta di un carteggio molto ricco, che comprende lettere indirizzate a pontefici e a varie personalità del mondo arabo ed ebraico. Infatti La Pira fu promotore dei Colloqui del Mediterraneo che fecero registrare mutamenti profondi nei rapporti con l'ebraismo e l'islam. I temi delle lettere sono il riconoscimento del destino di Israele, il superamento del deicidio, l'abolizione della teoria della sostituzione, l'ebraicità di Gesù, il rinnovamento conciliare, le prospettive di promozione della pace fra i popoli, tutto elaborato su base storica e teologica insieme.
Altro intervento interessante è stato quello di Guri Schwarz dell'Università di Pisa: ha riconosciuto che il libro ha uno sguardo cronologico ampio, con diverse prospettive e suggestioni interessanti. Ma ha osservato che nel volume risalta soprattutto la visione di La Pira, meno quella degli interlocutori. Poi sul piano teorico, dottrinale, il libro offre un'idea dell'ebraismo tratta da libri. In realtà fu Renzo Fabris il primo, nel 1980, ad affermare che per arrivare al dialogo bisogna capire il mondo ebraico, che è necessario conoscere l'altro e accoglierlo per quello che è. Così cominciò il vero dialogo ebraico cristiano. Dunque è un libro importante, ma suscita nuovi problemi e richiede ulteriori studi.
Poi è intervenuta Marcella Simoni (docente all'Università Ca' Foscari di Venezia).
Da questo volume, ha detto, emerge che l'identità si forma in contrapposizione agli altri. La Pira che ebbe relazione con antifascisti già dagli anni '30, e dopo la guerra fondò la prima Amicizia E.C., si pose il problema del rapporto fra sé e l'altro, fra il qui e l'altrove. Si dedicò a risolvere questi problemi, soprattutto sul piano della realtà socio-economica. Il suo è un percorso di grande coerenza, che comprendiamo meglio dopo le ricerche della Rioli. E' un processo di pace ante litteram, a volte magari avulso dal reale, ma il La Pira politico e il La Pira spirituale erano inscindibili. Negli anni '50 anticipava i tempi: la questione dei rifugiati arabi, la minoranza palestinese in Israele, la questione di due popoli e due stati, erano problemi che apparivano prematuri. Ma La Pira li affrontò in contatto con altri pacifisti, come Martin Buber; ebbe rapporti con gruppi dissidenti; arrivò a osare l'inosabile.
Infine la relazione di Piero Stefani (Pontificia Università Gregoriana) è stata molto originale e suggestiva, perché incentrata sul rapporto di La Pira con la poesia. Due sono i poeti fiorentini che ci possono aiutare a comprendere il discorso di La Pira. Il primo è Dante, il secondo è il contemporaneo Mario Luzi. Partendo dal significato straordinario che La Pira dà a Damietta, come luogo dell'anticrociata e tappa teleologica per Gerusalemme e dalla correlazione con La Verna di San Francesco, come luogo da cui osservare la storia, La Pira recupera l'intero asse della Bibbia e anche dell'Islam. Infatti, per cogliere lo spirito di La Pira, ha sostenuto Piero Stefani, non bisogna limitarsi al rapporto cristiano ebraico, ma vedere anche l'interazione con l'Islam. In Inferno 14:94 e sgg. Virgilio spiega a Dante l'origine dei fiumi infernali: descrive il veglio della montagna di Creta come una statua fatta di metalli di durezza decrescente che ricorda la profezia di Daniele.
“Dentro al monte sta dritto un gran veglio,
che tien volte le spalle inver Damiata
e Roma guarda come suo speglio.
La sua testa è di fino oro formata,
e puro argento son le braccia e il petto,
poi è di rame fino alla forcata;
da indi in giuso è tutto ferro eletto,
salvo che 'l destro piede è terra cotta;
e sta 'n su quel, più che 'n su l'altro eretto.
Ciascuna parte, fuor che l'oro, è rotta
d'una fessura che lacrime goccia,
le quali, accolte, foran quella grotta.
Lor corso in questa valle si diroccia:
fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
poi sen van giù per questa stretta doccia
infin là ove più non si dismonta:
fanno Cocito; e qual sia quello stagno,
tu lo vedrai; però qui non si conta.”
Le gocce che sgorgano dalle fessure della statua sono all'origine dei quattro fiumi infernali, Acheronte, Stige, Flegetonte, Cocito. La storia produce lacrime e le lacrime producono l'inferno. L'asse che unisce Damietta con Roma attraverso Creta è l'asse con la Chiesa corrotta e con l'impero non realizzato. Manca in La Pira una riflessione sulla teologia della diaspora, presupposto della teologia del ritorno. Ma c'è una ragione: La Pira non prende in considerazione la componente punitiva dell'esilio di Israele, ma si batte per eliminare l'accusa di deicidio. Dunque considera la teologia del ritorno senza la teologia dell'esilio. Crede nella profezia di Isaia, che parla del momento della riconciliazione di Ismaele con Israele e così di tutta la famiglia umana:
1 Ciò che Isaia, figlio di Amoz, vide riguardo a Giuda e Gerusalemme.
2 Alla fine dei giorni,
il monte del Tempio del Signore
sarà eretto sulla cima dei monti
e sarà più alto dei colli.
Ad esso affluiranno tutte le genti.
3 Verranno molti popoli e diranno:
“Venite, saliamo al monte del Signore,
al Tempio del Dio di Giacobbe,
perché ci indichi le sue vie
e possiamo camminare per i suoi sentieri”.
Poiché da Sion uscirà la Legge
e da Gerusalemme la Parola del Signore.
4 Egli sarà giudice fra le genti
e sarà arbitro fra molti popoli.
Forgeranno le loro spade in vomeri,
le loro lance in falci:
un popolo non alzerà più la spada
contro un altro popolo,
non si eserciteranno più nell'arte della guerra.
5 Casa di Giacobbe, vieni,
camminiamo nella luce del Signore. (Isaia II:1-5)
La Pira vede che la storia è entrata in quella età, atomica, spaziale, ecologica, demografica, nella sua fase in un certo senso finale, in cui il genere umano è posto ogni giorno di più davanti alla scelta apocalittica finale: o la pace millenaria con disarmo generale e completo e la liberazione dei popoli da oppressione e alienazione, o la distruzione del genere umano e dell'intero pianeta. L'asse non è Gerusalemme Roma (come negli Atti), ma Gerusalemme Firenze, anzi Gerusalemme Damietta Firenze La Verna. Cosa assolutamente inedita. Per La Pira il centro che può irradiare la pace è Firenze.
Mario Luzi, il secondo poeta fiorentino, cita La Pira in una poesia (“Siamo qui per questo” del 1977) dove si chiede che cosa resti oggi dei tempi di La Pira. Resta, dice Stefani, l'utopia del Mediterraneo che può diventare sponda del lago di Tiberiade oppure guado del Mar Morto.
Siamo qui per questo.
Ricordate? Levò alti i pensieri
stellò forte la notte,
inastò le sue bandiere
di pace e di amicizia
la città degli ardenti desideri
che fu Firenze allora...
Essere stata nei sogni di Lapira
“la città posta sul monte”
forse ancora
la illumina, l'accende
del fuoco dei suoi antichi santi
e l'affligge, la rode,
nella sua rude carità il presente
di infamia, di sangue, di indifferenza.
Non può essersi spento
o languire troppo a lungo
sotto le ceneri l'incendio.
Siamo qui per ravvivarne
col nostro alito le braci
chè duri e si propaghi,
controfuoco alla vampa
devastatrice del mondo.
Siamo qui per questo. Stringiamoci la mano
sugli spalti di pace, nel segno di san Miniato.
Giovanna Fuschini