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Leggere il Vangelo di Matteo come testo giudaico del Secondo Tempio
(Prof. Gabriele Boccaccini)
(il testo non è stato rivisto dall'autore)
Terzo giorno Prima lezione
Innanzitutto buona domenica a tutti. E cominciamo l'ultima tappa della nostra maratona. Dunque, oggi ho preso un po' come spunto centrale il versetto di Matteo "non sono venuto ad abolire la Legge e i Profeti, ma a portarla a compimento" per presentarvi un quadro, oggi, delle relazioni tra Gesù e i primi cristiani con i diversi gruppi giudaici del tempo.
Quindi, diciamo, nelle mie tre relazioni, oggi, vorrei avere, se volete, come sottotitoli: Gesù e i primi cristiani e i sadducei, Gesù e i primi cristiani e i farisei, e poi oggi pomeriggio finiremo in gloria con gli esseni.
Perché, ripeto, non è possibile, non è giusto parlare di rapporto tra Gesù e gli ebrei, perché non esiste un gruppo omogeneo con il quale Gesù e i primi cristiani fanno i conti. Gesù e i primi cristiani e il Vangelo di Matteo hanno a che fare con una pluralità di gruppi, che poi sono in continua evoluzione.
La situazione nella quale si trova Gesù è molto diversa dalla situazione nella quale si trova Matteo. C'è la guerra giudaica nel mezzo che non è un evento di poco conto. La guerra giudaica cambia anche i rapporti di forza tra i diversi gruppi giudaici del tempo. Quindi cambia anche la relazione, la prospettiva.
Ieri vi accennavo al fatto che, lo vedremo ora nella seconda parte della giornata, i farisei sono molto poco presenti nel Vangelo di Marco, e del tutto assenti nei racconti della passione, non giocano alcun ruolo. Mentre invece nel Vangelo di Matteo i farisei acquistano una rilevanza che non hanno nelle fonti precedenti, e che non hanno in altri Vangeli. Quindi questo si spiega più che con Gesù stesso si spiega con la situazione nella quale il Vangelo di Matteo è scritto.
I rapporti di forza tra quei gruppi cambiano, e quindi io ho bisogno un po' di ricominciare col delineare quelli che sono i gruppi principali del mondo giudaico a quel tempo, e quindi cosa vuol dire per i cristiani porsi di fronte ad essi, in una linea di continuità e di discontinuità.
Io ho sottolineato molto in questi giorni come la tradizione cristiana si collochi senza alcun dubbio nell'ambito apocalittico.
Qui devo fare una piccola premessa. Come voi sapete c'è una grossa discussione sul Gesù storico. Non c'è nessun disaccordo fra gli studiosi che i Vangeli, specialmente i sinottici, ma anche Paolo si collocano tutti in un ambito apocalittico. Su questo non c'è nessun disaccordo fra gli studiosi. Siamo tutti d'accordo che i Vangeli presentano un Gesù apocalittico.
Nella ricerca del Gesù storico, però, ci sono molte discussioni. Ci sono dei colleghi che ritengono che la dimensione apocalittica di Gesù non sia la dimensione originaria del pensiero di Gesù, ma sia una reinterpretazione fatta dalla comunità cristiana. Io personalmente non sono molto su queste posizioni, perché a me sembra molto difficile che il Gesù storico non abbia nulla a che fare con quella che è l'interpretazione che poi di lui viene data dalla Chiesa, dai primi cristiani.
Però, diciamo, c'è una lunga tradizione. Questo ve lo dico anche perché quando leggete alcuni testi sul Gesù storico, così, un po' per semplificare, per lungo tempo si è separato il Gesù storico dal giudaismo, affermando che Gesù non era ebreo, che Gesù non aveva nulla a che fare con l'ebraismo.
Però nella ricerca del Gesù storico si è anche spesso separato Gesù dai suoi discepoli, dalle tradizioni evangeliche. E in qualche caso ci sono autori che lo separano da entrambi. ripeto, queste sono posizioni del tutto legittime.
Io sono qui a Bologna, quindi, per es., ho una discussione da decenni con il Prof. Mauro Pesce su questi argomenti, perché il Prof. Mauro Pesce ritiene - Mauro Pesce, fra i più grossi studiosi italiani sul Gesù storico - lui ritiene che il Gesù storico non abbia a che fare niente né col giudaismo né con i Vangeli, con l'interpretazione apocalittica. È una visione legittima, nel senso: Gesù si colloca alle frange del pensiero giudaico del tempo, quindi non si può spiegarlo nel dialogo tra i vari gruppi, anche perché Gesù non è apocalittico.
Gesù fu un riformatore sociale nella Galilea, poi il reinserimento di Gesù all'interno delle grandi linee del pensiero giudaico e il renderlo apocalittico fanno parte del lavoro di interpretazione teologica della Chiesa.
Gesù dovrebbe essere presentato, invece, in maniera molto più legata alla sociologia dei movimenti di riforma sociale nella Galilea. Questa è una posizione anche espressa, per es., a livello internazionale da autori come Crossan [John Dominic Crossan], che vedono in Gesù un esponente forse più vicino a dei movimenti di tipo filosofico cinico, o a dei movimenti più sociali legati ai contrasti sociali in Galilea.
È una discussione molto interessante, ripeto, del tutto legittima. E io sono nella posizione più di considerare che il Gesù storico si deve collocare in una posizione di raccordo tra la tradizione giudaica e la tradizione cristiana.
Ovviamente queste posizioni sono nate anche per reazione a una certa apologetica cristiana che identificava la tradizione cristiana con Gesù meccanicamente. Cioè tutto quello che abbiamo fatto dopo era tutto già tutto detto e fatto da Gesù. No, c'è una evoluzione, c'è uno sviluppo. Non possiamo avere questa idea un po' ingenua che tutto quello che c'è nella tradizione cristiana è già nel Gesù storico.
Però anche, secondo me, negare del tutto che esista alcuna forma di continuità tra l'uno e l'altra non mi pare che sia sostenuto da prove storiche forti. Ma, ripeto, questo è un dibattito che pervade tutta la storia della ricerca.
Voi sapete che normalmente la storia della ricerca su Gesù la si fa cominciare con Reimarus [Hermann Samuel Reimarus] alla fine del '700, e l'ipotesi che diede inizio alla ricerca storica su Gesù era che Gesù era un rivoluzionario, una persona che aveva cercato di cominciare una rivolta contro i romani, era stato sconfitto, diciamo così, aveva fallito nel suo tentativo di rivolta.
E i suoi discepoli, per superare il fallimento di cui avevano avuto esperienza, avevano trasformato il loro leader in una figura apocalittica religiosa che non aveva nulla a che fare con il Gesù storico. Come vedete, questa è una ipotesi che ha una lunga storia nella storia della ricerca.
Ripeto, io sono più dell'idea che non vedo perché si debba considerare questa specie di discontinuità in cui nel mondo giudaico c'è una serie di problemi, dibattiti, nei quali una figura come quella di Gesù ha perfetto significato all'interno di questo dibattito, e non considerarla come un po' un punto di partenza, poi, per ulteriori sviluppi.
Logicamente, c'è una discontinuità tra ciò che Gesù predica e gli sviluppi teologici, poi le reinterpretazioni teologiche che vengono date di lui. C'è una discontinuità tra Gesù e l'ambiente giudaico nel quale vive, ma questa originalità va spiegata in termini, secondo me, di sviluppo e non in termini di salti nel buio, di salti che non hanno radici.
Quindi voi avete visto che nella mia interpretazione del Gesù logicamente io non affermo che il Gesù storico è identico a quello che è raccontato nei Vangeli, perché i Vangeli non raccontano, non fanno una cronaca di Gesù. i Vangeli mischiano il ricordo di Gesù con la propria rielaborazione teologica riguardo alle mutate condizioni storiche nelle quali vivono.
Quindi quando il Vangelo di Matteo parla, non so, dei farisei o dei sadducei mischia quello che è il ricordo del rapporto di Gesù con questi gruppi con quello che è il loro rapporto con questi gruppi. Quando Matteo dice "i farisei siedono oggi sulla cattedra di Mosè", Gesù non può averlo detto, perché al tempo di Gesù i farisei non sedevano sulla cattedra di Mosè, perché non era il gruppo che aveva autorità, erano i sadducei. Ma per Matteo questa è la realtà. È una forma di teologia narrativa in cui l'esperienza contemporanea di Matteo viene mischiata, in una forma, ripeto, di teologia narrativa, con il ricordo di quella che è stata l'esperienza di Gesù.
Quindi è poi il nostro problema dal punto di vista storico riuscire a separare questi diversi livelli e riuscire a capire ciò che viene dal ricordo diretto dell'esperienza di Gesù e quello che invece viene dall'esperienza della comunità di Matteo. Quando leggiamo un Vangelo, l'ho detto fin dall'inizio, noi non leggiamo un resoconto di eventi, noi leggiamo l'esperienza di una comunità che vive decenni dopo l'esperienza di Gesù stesso.
Quindi, tenute presente queste precisazioni, logicamente, partire dai Vangeli vuol dire individuare almeno due strati fondamentali: il ricordo dell'esperienza di Gesù, che rapporto l'esperienza di Gesù ha con questi gruppi, poi che rapporto la comunità ha con questi gruppi, la comunità di Matteo.
Per es., nei Vangeli c'è pochissimo interesse rispetto ai sadducei. E le ragioni sono di nuovo duplici. Da un lato perché Gesù ha poco da dire ai sadducei, perché c'è una opposizione radicale, secondo, voi capite anche che i Vangeli hanno poco da aggiungere. Perché dopo il 70 non ci sono più i sadducei.
Cioè il Vangelo di Matteo, per es., non è interessato a continuare una riflessione sui sadducei, dal momento che i sadducei non esistono più come gruppo. E quindi non esiste più la domanda della comunità di come bisogna rapportarsi ai sadducei. L'interesse per quello che Gesù [ha detto dei sadducei] e come Gesù si era rapportato ai sadducei, che per me, storico, è molto forte, era quanto di meno interessante ci poteva essere per la comunità di Matteo, che non era interessata ad un'opera di ricostruzione storica. Se non all'interno di alcune memorie che venivano tramandate di alcune storie che riguardavano Gesù.
Dunque, fatta questa premessa, noi siamo abbastanza fortunati nella conoscenza del pensiero giudaico al tempo di Gesù, soprattutto la dobbiamo a una figura fondamentale, che è quella di Giuseppe Flavio.
Giuseppe Flavio è uno storico, ebreo, sacerdote, di formazione sadducea, anche se lui poi dirà che si è legato più ai farisei, in realtà lui è essenzialmente legato alla tradizione sacerdotale sadducea. È un personaggio di una famiglia sacerdotale molto importante. Ci ha lasciato anche una autobiografia nella quale parla, e si gloria anche di tutti i suoi legami famigliari con le famiglie più importanti di Gerusalemme, con Erode, con gli erodiani, ecc.
Giuseppe Flavio ci ha lasciato due opere fondamentali sulla storia del secondo Tempio, una è la Guerra Giudaica, che è in realtà una breve storia del secondo Tempio dall'epoca maccabaica, nel 200 a.C., fino alla guerra giudaica incluse. E un'altra opera che si chiama le Antichità Giudaiche, che invece riguardano la storia di Israele dalle origini bibliche fino al suo tempo. Quelle due opere si sovrappongono nell'ultima parte in maniera significativa con alcune, significative, anche, differenze e aggiunte che sono molto importanti anche per comprendere meglio alcuni sviluppi.
Giuseppe Flavio scrive anche una autobiografia, che menzionavo prima, dove racconta della sua esperienza. Scrive anche un'opera apologetica, Contro Apione, che, diciamo, presenta il modo con cui da parte della cultura greco-romana si guardava al giudaismo, e a suo modo, in moti casi, dava una immagine distorta della tradizione giudaica.
Giuseppe Flavio ha poi una vicenda personale estremamente interessante, partecipa a degli eventi politici e religiosi del suo tempo, diventa uno degli esponenti anche militari più importanti durante la guerra giudaica, gli viene affidato il comando della Galilea, che lui dice era l'incarico più importante che poteva essere dato. È anche un incarico più complesso, perché ovviamente i romani sarebbero venuti da nord. Viene immediatamente sconfitto, nonostante lui nella sua opera ci tenga a far vedere che ha fatto del suo meglio, è stato un generale abilissimo.
È una figura anche molto controversa, perché per un generale nella sua situazione l'aspettativa del tempo era che morisse combattendo, o si suicidasse nel caso che fosse sconfitto. Invece lui non lo fa.
Anzi, racconta una storia abbastanza incredibile, nella quale i romani entrano nella città assediata, lui si nasconde (è legittimo!) in una caverna sotterranea con alcuni compagni. Era una cosa che veniva fatta normalmente cercare di sfuggire alla cattura. Naturalmente nel momento immediatamente successivo, nei giorni successivi alla presa di una città i romani andavano in cerca delle persone nascoste. E naturalmente c'erano sistemi efficaci per uccidere o stanare le persone nascoste in nascondigli o caverne.
Lui è nascosto con un gruppo di compagni - questo è quello che racconta lui - in questa caverna. I romani li scoprono. A questo punto cominciano le trattative. Lui è il generale, i romani hanno interesse a prenderlo vivo, ma per motivi molto legati al modo con cui il trionfo è celebrato. Di solito i romani avevano piacere di catturare qualche generale nemico per poterlo esibire a Roma e ammazzarlo al termine della processione di trionfo. Loro si divertivano così.
Quindi, diciamo, la trattativa è perché i romani lo vogliono prendere vivo. A quel punto ci si sarebbe aspettati che il generale in queste condizioni si suicidasse. Anche dal punto di vista romano sarebbe stata una morte nobile. E anche i compagni di Giuseppe Flavio decidono che si devono suicidare.
Secondo il suo racconto lui prima comincia a dire: mah, forse non è legittimo secondo la legge… Ma in realtà anche la storia ebraica è piena, anche la storia dei Maccabei, di persone che si suicidano in questa maniera, è una forma di morte nobile, insomma.
Poi comincia a dire, secondo il suo racconto: non possiamo ammazzarci con le nostre mani. Questo sarebbe un desacrare, infamare ciò che il Creatore ci ha dato. Allora tiriamo a sorte e ammazziamoci a vicenda. Così almeno non siamo responsabili di avere colpito noi stessi. E nel suo racconto la sorte fa sì che alla fine rimanga solo lui e un altro. E questi due decidono di arrendersi.
Ripeto, è una storia un po' così. Non sappiamo cosa sia successo realmente in quella caverna. Fatto sta che i due, secondo lui, si arrendono. E Giuseppe Flavio aveva un grosso vantaggio. Giuseppe Flavio veniva da una famiglia aristocratica, conosceva molto bene i suoi "polli", come si poteva dire, cioè conosceva molto bene i romani. Sapeva perché i romani lo avevano preso. Però sapeva anche la psicologia dei romani.
Quindi la prima cosa che lui chiede è di poter vedere l'imperatore Vespasiano. Si presenta davanti all'imperatore Vespasiano e dice: Augusto imperatore io sono vivo di fronte a te, ma questo non è per volontà mia, ma per volontà del Dio, perché io sono un profeta, e sono rimasto vivo per dire di fronte a te che diventerai imperatore dei romani.
Perché Vespasiano non era imperatore, Vespasiano era il generale mandato da Nerone. Però aveva ambizioni imperiali. Questo, Giuseppe Flavio lo sapeva. Quindi decide di scommettere sulla vittoria di Vespasiano. È un calcolo molto buono.
I romani avevano questa idea che i popoli dell'est, popoli dell'oriente erano popoli profetici, sacerdoti. Poi se viene uno che ti annuncia che sarai imperatore, e lo diventi, cosa fai? Lo ammazzi?
Giuseppe Flavio fece molto bene i suoi conti, perché Vespasiano diventa imperatore. Fra l'altro Vespasiano diventa imperatore con il supporto di larga parte dell'ebraismo ellenistico, che sostiene Vespasiano e Tito anche contro la guerra giudaica.
Questa è una cosa che spesso non si dice, ma la guerra giudaica fu in realtà una guerra civile, in larga misura. Molte delle truppe che assediarono Gerusalemme erano ebree. Il comandante in capo, il reale comandante dell'assedio, sì, era Vespasiano.
Poi Vespasiano lasciò il comando delle operazioni, quando diventò imperatore e lo affidò al figlio Tito. Il figlio Tito era giovane, e fu affiancato da quello che poi era il comandante in seconda, ma forse il vero comandante delle operazioni militari che era Tiberio Alessandro, un ebreo, fra l'altro fratello di Filone alessandrino del quale si è parlato.
Che era governatore dell'Egitto. Se diventi nell'impero romano governatore dell'Egitto hai raggiunto il top di potere, di ricchezza, di prestigio. È la persona, Tiberio Alessandro, ebrea che conosciamo dell'antichità che ha fatto la carriera più alta nell'impero romano.
E accanto a Tiberio Alessandro ci sono Erode Agrippa II e la sorella Berenice che si comportano come una coppia di fratello e sorella, che si comportano come re e regina di alcuni territori a nord di Israele. E Berenice diventerà anche l'amante di Tito.
E sono Berenice e Agrippa II che in pratica garantiscono a Vespasiano il sostegno economico e militare per le sue ambizioni imperiali.
Giuseppe Flavio è parte di questo ambiente che ora è dall'altra parte. E a questo ambiente si unisce, praticamente, attraverso questa profezia, diventando, poi, anche lui un amico intimo di Tito, e concludendo la sua carriera a Roma onorato come uno storico e maestro a Roma.
Come vedete, ha una carriera. Cioè lui comincia come sadduceo, si sposta in ambito farisaico zelota, come sostenitore della rivolta, e finisce la sua carriera, invece, nell'ambito giudeo-ellenistico. È un uomo che ha molte stagioni, ma anche questo gli garantisce una conoscenza molto varia dei diversi ambienti.
Nella sua autobiografia lui ci racconta anche come da ragazzo, educato in una famiglia sacerdotale, è stato messo in contatto con i diversi gruppi giudaici. Lui dice che ha ricevuto l'educazione dai sadducei, però ha avuto una educazione anche secondo i principi farisaici, ed ha trascorso tre anni della sua vita, lui dice, dai 14 ai 17 anni, nel deserto con un maestro esseno - quindi è una figura estremamente complessa - Banno, cioè un maestro esseno, tipo Giovanni Battista molto simile nel suo messaggio, nella sua vita. Lui parlando di se stesso dice: da ragazzo lui ha vissuto questa esperienza di vita ascetica nel deserto con questo maestro esseno, e da lui ha avuto una conoscenza diretta dei principi dell'essenismo.
Vi ho fatto questa premessa su Giuseppe Flavio perché Giuseppe Flavio è la nostra fonte più importante, e anche per spiegarvi come Giuseppe Flavio nella sua opera dia ampie manifestazioni di conoscenza diretta dei gruppi giudaici ai quali fa riferimento.
Essenzialmente lui afferma che in Palestina l'ebraismo è diviso in tre gruppi principali. Lui li chiama sette. Ma la traduzione è sbagliata, non sono sette. Lui usa il termine airesis, sono movimenti, filosofie, si dovrebbe dire, tre filosofie, tre modi di pensare diversi, tre interpretazioni del giudaismo diverse, tre gruppi.
A me non piace il termine setta perché sembra ci fosse l'ebraismo ufficiale e poi tre gruppettini, gli esseni, i farisei e i sadducei fossero tre gruppettini marginali in cui le persone che hanno idee strane si aggregavano. No.
Il discorso di Giuseppe Flavio è diverso. Il discorso di Giuseppe Flavio è che il giudaismo palestinese è diviso in tre filosofie. Gli ebrei seguono tre filosofie. Naturalmente Giuseppe Flavio dice che non tutti erano dei membri diretti di questo o di quel gruppo, ma che queste erano le tre filosofie principali alle quali facevano riferimento anche i partiti politici.
I tre partiti politici essenziali sono i sadducei, i farisei e gli esseni. Giuseppe Flavio li quantifica, dice che i sadducei sono una élite, lui dice che sono poche centinaia di persone, ma rappresentano il gruppo dominante in termini di potere, perché i sadducei sono radicati nell'aristocrazia sacerdotale, hanno il controllo del tempio, il tempio è governato dai sadducei, poi, con l'arrivo dei romani sono coloro che sono appoggiati dai romani. E quindi di fatto rappresentano coloro che hanno autorità, potere e denaro all'interno del giudaismo palestinese.
Poi lui parla di due gruppi popolari di opposizione: i farisei e gli esseni. Questo è importante, perché tante volte quando noi parliamo dei farisei pensiamo che i farisei fossero il gruppo dominante o conservatore. Io lo sento tante volte soprattutto in ambito cristiano: i farisei erano i rappresentanti della tradizione. No.
I farisei non sono i rappresentanti della tradizione, i farisei sono un gruppo innovatore, sono un gruppo riformatore, a quel tempo. Sono un gruppo riformatore che vuole cambiare le cose e introducono elementi di novità. I sadducei sono visti come i rappresentanti della tradizione sacerdotale.
Quando Giuseppe Flavio vuole spiegare quali sono le differenze tra questi tre gruppi ha un passo molto significativo. Dice che se si volesse proprio dare una sintesi dei tre gruppi, lui si esprime con parole greche, lui dice: per i sadducei ogni cosa è nelle mani dell'uomo, per gli esseni, al contrario, tutto è nelle mani del fato, usa un linguaggio ellenistico, mentre i farisei sono nel mezzo.
Quando poi lo spiega, tradotto, riguarda più quello che vi dicevo già dal primo giorno riguardo al problema del male, dell'origine del male, ecc., secondo i sadducei l'uomo è completamente libero, ha una libertà assoluta di decisione e tutto è nelle mani dell'uomo, nella scelta dell'uomo.
Secondo gli esseni, invece, la libertà dell'uomo è condizionata. Ricordate, gli esseni sono coloro che, influenzati dal pensiero apocalittico, ritengono che l'uomo sia vittima del male, che quindi non sia completamente libero, ma la sua libertà sia limitata dalla ribellione angelica.
Mentre i farisei sono nel mezzo. Sono nel mezzo perché i farisei rigettavano da un lato la tradizione del peccato originale o della corruzione cosmica, ma dall'altro ritenevano che la somma dei peccati umani, o l'accumularsi dei peccati umani avesse creato una situazione di corruzione nel mondo di cui l'uomo, il singolo diventava anche vittima.
Per questo nella tradizione farisaica era emersa l'idea della resurrezione perché l'idea della resurrezione è ciò che permette a Dio di rimettere a posto le cose a livello individuale. I farisei ritenevano che la singola persona potesse subire del male come appartenente a una comunità peccatrice. Però se il singolo rimane fedele a Dio pur subendo il male in questo mondo ne riceverà ricompensa, ne riceverà premio, ne riceverà sollievo nel mondo a venire.
Mentre invece i sadducei rifiutano la resurrezione. Perché la resurrezione non ha senso. Se Dio punisce o ricompensa gli uomini, ogni singolo nella sua vita allora non c'è bisogno di una resurrezione futura, non c'è bisogno di un mondo a venire. I sadducei ritenevano che questa creazione fosse la creazione voluta da Dio, e che quindi loro, che erano al potere, fossero coloro che Dio aveva posto in quella posizione.
Se volete, la dottrina sadducea è un po' autoreferenziale, usiamo questa espressione. Io sono al potere, vuol dire che Dio mi sostiene. Se tu non sei al potere, arrangiati, perché vuol dire che Dio non ti sostiene. È abbastanza semplice la cosa, però nelle sue estreme conseguenze la dottrina sadducea porta a questa conseguenza. Perché io posso verificare nella vita dell'individuo ciò che ogni persona ha dentro.
Ovviamente i sadducei non erano così ingenui nel loro modo di presentare. I sadducei anche dicevano che una persona che ha potere in realtà se è malvagia riceverà qualche forma di punizione, perché Dio, per es., può con una morte tragica, anche all'ultimo momento, vanificare una vita che è stata, invece, presentata come una benedizione.
Quindi non si può giudicare quello che veramente una persona è fino al momento della sua morte. E anche al momento della sua morte noi non sappiamo quello che la singola persona ha passato dentro di sé. Per cui anche se una persona ricca è stata malvagia che ne sapete voi se Dio non lo ha tormentato interiormente in una maniera che la sua vita non è stata così splendida come poteva sembrare dall'esterno.
Quindi, diciamo, non è che la tradizione sadducea fosse così ingenua nel presentare un quadro… Però, diciamo, ovviamente, se non altro come gruppo, era una teologia autoreferenziale. Il gruppo che è al potere è il gruppo che è stato oggetto della benedizione divina.
Coi sadducei le fonti cristiane hanno poco, pochissimo da dire. Nei Vangeli esiste un solo passo che riguarda un rapporto, una discussione tra Gesù e i sadducei. Ed è il passo che troviamo in Mc 12,18-27, o Matteo 22,23-33, o Luca, dove i sadducei, che non credono nella resurrezione, questo viene detto, pongono a Gesù una domanda riguardo alla resurrezione per mettere in ridicolo l'idea della resurrezione. La famosa storia della donna che sposa diversi fratelli di chi sarà moglie.
E la risposta dice: Non sapete questo che Dio è il Dio dei viventi, quindi sostenendo la resurrezione. E quindi Dio è il Dio dei viventi, il Dio non dei morti, ma dei viventi. E poi dice: Non sapete nulla perché in cielo noi saremo come angeli, saremo trasformati. Quindi questo discorso dei rapporti maritali non ha senso. E finisce dicendo: Dio è il Dio non dei morti, ma dei vivi. Voi siete del tutto errati, sbagliate in tutto. E questa è l'unica cosa che i Vangeli hanno da dire sui sadducei.
Questa è una controversia che non è necessariamente cristiana, perché i cristiani si trovano su questa controversia esattamente sullo stesso piano anche dei farisei. Però c'è un discorso molto forte: Avete una completa interpretazione sbagliata della Scrittura.
Non ci sono altre situazioni in cui noi abbiamo ricordi di Gesù che è coinvolto in discussioni con i sadducei, se non indirettamente nei racconti della passione, dove non si parla dei sadducei, per lo meno le fonti più antiche, anche se poi se ne parlerà in Matteo o Luca, ma in Marco, per es., non se ne parla, però si parla dei sommi sacerdoti.
E si parla di una opposizione radicale che avviene nei confronti del tempio, soprattutto con l'episodio della purificazione del tempio. L'ingresso di Gesù a Gerusalemme è un ingresso che ha una valenza antisacerdotale molto forte.
Logicamente qui ripeto cose che credo sappiate molto bene. L'attacco ai mercanti del tempio non è un attacco a persone che, non so, vendono cose sconvenienti in un ambiente sacro. Insomma queste persone non erano lì a vendere le cartoline di ricordo o i souvenir del tempio.
Qui il mercato del tempio ha una sua funzione strettamente legata al sacrificio. La valuta si deve cambiare per necessità, perché nelle monete antiche c'è sempre l'immagine del sovrano, o l'immagine idolatra del dio.
Quindi si devono cambiare le monete per poter prendere in cambio il denaro del tempio che non ha immagini idolatre o simboli idolatri. Il mercato degli animali o delle offerte è necessario per comprare le offerte. Attaccare il mercato vuol dire attaccare il sistema sacrificale del tempio, attaccare il tempio.
Cioè non si può leggere "avete trasformato questa casa in un mercato" come se impropriamente dei commerci illeciti o inopportuni fossero entrati nel mercato del tempio. Qui Gesù attacca i cambiavalute e i venditori di animali del tempio senza i quali non c'è il tempio, perché senza i quali non c'è il sacrificio nel tempio. Vuol dire bloccare l'attività del tempio.
Quindi l'attacco contro il tempio è un attacco che deriva direttamente da una visione apocalittica di attacco o di distruzione del tempio. La fine del tempio è, nell'imminenza degli ultimi tempi, un segno escatologico della restaurazione del regno di Dio.
Quindi l'ostilità tra Gesù e i sadducei è completa, viene anche ribadita da tutta l'esperienza della passione. Gesù viene ucciso dai romani, crocifisso perché accusato di una azione di turbamento dell'ordine pubblico. I romani sono i difensori della pace e dell'ordine in Palestina. Non bisogna pensare che pensassero che Gesù voleva fare una rivolta armata. Per i romani era sufficiente il fatto che durante la festività del tempio i cristiani, il gruppo di Gesù abbia introdotto una turbativa di fronte…
A questo proposito volevo leggere un passo, sempre da Giuseppe Flavio, che, secondo me, è uno dei testi più interessanti che ci fanno capire la prospettiva della morte di Gesù.
Giuseppe Flavio nella Guerra giudaica parla di un altro profeta di nome Gesù. Non è il nostro Gesù, non è Gesù di Nazareth, è Gesù figlio di Anania, che è vissuto poco dopo Gesù. E ne parla in questi termini.
Voi sapete che Giuseppe Flavio ci descrive diversi episodi di messia, ci descrive diversi episodi di persone che guideranno dei movimenti messianici. Queste persone sono persone come Teuda, come Giuda il galileo, come il profeta samaritano, come il profeta egizio, ecc.
Cioè ci sono varie persone la cui storia è raccontata da Giuseppe Flavio come leader di movimenti messianici, persone che sono proclamate messia. Alcune sono proclamate messia in una visione zelota, hanno organizzato un gruppo di armati tentando di attaccare Gerusalemme e di attaccare i romani.
In alcuni casi, invece, abbiamo delle forme profetiche, dei profeti nonviolenti, che si sono presentati, guarda caso, sempre in occasione della Pasqua o di feste ebraiche, per es., davanti alle mura del tempio, o sul Monte degli Ulivi. Il Monte degli Ulivi è questa bella visione del tempio in fronte.
Hanno raccolto seguaci dichiarando che al momento della festa di Pasqua un fuoco sarebbe sceso dal cielo e avrebbe distrutto il tempio, oppure avrebbe aperto le porte del tempio all'ingresso del popolo, e sarebbe stata spazzata via l'aristocrazia sacerdotale.
In casi come questi c'è un assembramento di persone sul Monte degli Ulivi, i romani intervengono, ammazzano tutti e crocifiggono un po' di gente, poi è tutto finito lì. I romani avevano molta dimestichezza con le crocifissioni, non è che si preoccupassero troppo.
Tanto per darvi un esempio, qui in Italia, quando la rivolta di Spartaco fu sedata, e i romani fecero più di 5000 prigionieri, vicino a Napoli, risalirono, tornarono a Roma sulla via Appia, cominciarono a crocifiggere sui due lati delle strade da un lato e l'altro e finirono alle porte di Roma. Tanto per darvi una idea di come andavano le cose. Immaginate la via Appia da Napoli a Roma, del gruppo dei prigionieri non arrivò nessuno.
Quindi, diciamo, i romani erano abbastanza sbrigativi. Gesù non era un cittadino romano. Cosa succede in casi come questi? Diciamo cosa successe a questo poveretto che si chiamava Gesù ben Anania, il quale era un laico, un agricoltore.
Quattro anni prima della guerra, quindi quattro anni prima dell'inizio della guerra giudaica, nel 62, in un tempo in cui la città era ancora in una grande pace e prosperità, durante la festa dei tabernacoli, venne al tempio, si pose alla porta del tempio e cominciò a urlare a gran voce: Una voce dall'est, una voce dall'ovest, una voce dai quattro venti, una voce contro Gerusalemme, contro il tempio, una voce contro gli sposi e le spose e una voce conto l'intero popolo. Cioè, si pone alla porta del tempio, comincia a gridare, come ha fatto anche Gesù: Guai al tempio. Cioè un messaggio di distruzione profetica. Giorno e notte continuava a gridare, e lo faceva davanti al tempio, anche, e nelle strade adiacenti.
Alla fine, dice Giuseppe Flavio, alcuni dei nostri cittadini più importanti furono molto scocciati di queste parole che venivano ripetute in continuazione. Allora presero l'uomo e gli dettero un sacco di botte. Ma lui non aveva nulla da dire, rimase zitto, e non smetteva di urlare le stesse parole, e continuava a ripeterle senza sosta.
Allora i nostri governanti, qui i nostri governanti sono le autorità del tempio, ritenendo che questa fosse una sorta di frenesia divina nell'uomo lo condussero davanti al procuratore romano. Il procuratore romano lo fece flagellare finché le ossa furono scoperte dalla carne, ma egli né implorava perdono né versava una lacrima, ma abbassando la sua voce ogni volta di più, in modo sempre più drammatico ad ogni colpo che riceveva rispondeva sempre con le stesse parole: guai a Gerusalemme.
Alla fine Albino, che era il procuratore romano, domandò chi fosse, di dove venisse e perché ripetesse questo grido. E Gesù ben Anania rimase zitto, non replicò niente a questa questione, ma senza sosta ripeteva le sue parole contro il tempio. Alla fine Albino decise che quest'uomo era completamente pazzo e lo rilasciò.
Dunque, questo vi dà una idea molto semplice di quelli che erano i meccanismi del tempo.
Anzitutto bisogna domandarsi un pochino perché questa persona fa una fine diversa da Gesù. Uno può dire: perché è completamente alla discrezione del procuratore romano. Ponzio Pilato è una persona che ha una reputazione, nelle fonti antiche, di essere molto rigido, Albino di fronte a un caso come questo decide che questo non costituisce un problema.
Io non credo che questo possa essere spiegato soltanto sulla base di una differenza della personalità del procuratore. Certamente se Albino avesse fatto crocifiggere questa persona nessuno avrebbe avuto nulla da dire. Era in suo potere, era quello che in fondo poteva aver fatto senza rispondere a nessuno.
Come vedete, non c'è un processo perché una persona che non è un cittadino romano non ha diritto a un processo. Questo lo dico perché noi di solito quando pensiamo a Gesù diciamo: Gesù ha avuto un processo di fronte al sommo sacerdote, un processo di fronte al procuratore. Gesù non ha avuto nessun processo. Perché Gesù non è un cittadino romano, non ha diritto ad alcun processo.
Il processo a Gesù che ci viene raccontato dai Vangeli è più una forma retorica per esprimerci quello che è il significato di questi eventi dal punto di vista dello scrittore. La narrazione di Gesù di fronte al sommo sacerdote ci aiuta a capire i motivi per cui secondo l'Evangelista i sommi sacerdoti, i sadducei hanno fatto fuori Gesù. Gesù di fronte a Ponzio Pilato ci permette una rivelazione, un messaggio rispetto alla signoria di Gesù, al fatto che Gesù è il Messia.
Però guardiamolo dal punto di vista prettamente storico. Perché Gesù non viene rilasciato? Ripeto, Ponzio Pilato poteva fare quello che voleva. Dire che Ponzio Pilato fu costretto dalle autorità giudaiche è una balla colossale, perché è Ponzio Pilato che nomina il sommo sacerdote, non l'opposto. Se il sommo sacerdote si fosse permesso di forzare il procuratore romano a fare quello che lui non voleva il minuto dopo il procuratore romano gli diceva: togliti dai piedi.
Abbiamo esempi di sommi sacerdoti che sono rimossi dopo un tempo brevissimo, perché al procuratore romano erano girate le scatole. I romani hanno completo controllo del sommo sacerdozio. Lo scelgono tra un gruppo di famiglie, a rotazione, secondo le loro idee. Ma il sommo sacerdote non ha in assoluto alcun potere di pressione o di influenza.
Quindi Ponzio Pilato poteva fare quello che voleva. Lo stesso, Albino poteva fare quello che voleva. Logicamente Ponzio Pilato e Albino difendono la dignità di Roma. Roma non è così debole da pensare che Gesù ben Anania o Gesù possono costituire una minaccia all'impero romano.
Il problema è la dignità di Roma. Roma, che è chiamata a difendere la pace e l'ordine, quindi a essere a difesa del santuario, non tollera nemmeno il minimo affronto, il minimo disturbo alla quiete.
Del resto io tante volte dico: se ciascuno di noi in questa sala un giorno in occasione di una festa in Vaticano prova a fare quello che Gesù ha fatto o quello che Gesù ben Anania ha fatto gli montano addosso subito le guardie svizzere e i carabinieri.
Se io vado in mezzo a Piazza S. Pietro e comincio a urlare come un ossesso: guai al Vaticano, non rimarrà pietra su pietra, nel momento in cui il Papa deve venire a recitare l'Angelus… Non verrò malmenato come succedeva allora, ma poco ci manca. Se mi metto a rovesciare un banchino di souvenir non pensate che non venga la polizia ad arrestarmi. Cioè dal punto di vista dell'ordine pubblico i romani fanno quello che devono fare.
Cioè io non voglio dire: Gesù se l'è meritata. Ma dal punto di vista dei comportamenti era la cosa logica. Cioè nel momento in cui Gesù e i suoi discepoli entrano nel tempio con la cosiddetta purificazione del tempio e compiono un atto contro il tempio, non è che i romani pensano: questi sovvertono l'ordine di Roma. Ma hanno compiuto una trasgressione a quell'ordine di cui i romani sono responsabili. E i romani non possono tollerare alcuna trasgressione.
Il diverso comportamento qui è che Gesù figlio di Anania è da solo. Io credo che questa sia la spiegazione principale. Il procuratore romano si rende conto che Gesù ben Anania è una persona che non ha seguaci, non ha un gruppo, quindi è un pazzo.
Ma Gesù non è un pazzo, perché ha seguaci. Gesù non è restato solo, non è entrato in Gerusalemme da solo, Gesù ha evidentemente dei seguaci. E quindi a questo punto la crocifissione avviene per tenere a bada i seguaci. Perché è questo il discorso, per scoraggiare altre persone a seguire questa via. Lo scopo della crocifissione è essenzialmente questo.
Questa è la conclusione della prima parte di stamani. Cosa dice a noi riguardo al problema del rapporto tra Gesù e i sadducei? Ci dice che il movimento gesuano è un movimento antisadduceo, un movimento apocalittico contrario al tempio. Che a un certo punto sfida il tempio, non in termini di forza, ma molto probabilmente in termini teologici. Io penso che i discepoli di Gesù si aspettassero qualcosa.
Cioè non credo che Gesù e i suoi discepoli - ripeto, non so cosa pensasse Gesù, ma mi posso immaginare che le persone che sono andate con Gesù a Gerusalemme non si aspettassero di andare ad accompagnarlo alla morte, anche se, magari, potevano avere paura di quello che poteva succedere. Che lo accompagnassero al trionfo, cioè alla prospettiva della manifestazione del regno di Dio in occasione della Pasqua.
Le cose poi sono andate diversamente, il movimento, anzi, fu largamente turbato da ciò che avvenne. Quindi voleva dire che non se lo aspettava.
Gesù arriva a Gerusalemme, celebra la Pasqua, poi vedremo oggi pomeriggio in che forma, perché questo ha a che fare col rapporto con gli esseni. Nel momento stesso Gesù fa tre cose che sono dal punto di vista del tempio problematiche.
Una è l'ingresso a Gerusalemme, che viene inscenata come una manifestazione pubblica. Evidentemente non è che Gesù si nasconde e c'è una manifestazione spontanea. Evidentemente è preparata, e, diciamo, viene presentata come un modo di introdurre la figura di Gesù alle persone pellegrine a Gerusalemme in occasione della Pasqua.
Voi sapete che in occasione della Pasqua Gerusalemme è piena di persone da tutto il mondo conosciuto, ebrei e gentili, che vengono in occasione della Pasqua. Quindi si tratta di decine o centinaia di migliaia di persone che sono presenti a Gerusalemme, accampate nei dintorni, nei villaggi dei dintorni o sul Monte degli Ulivi. Questo è il primo momento.
Il secondo momento è senz'altro quello più critico. È la purificazione del tempio, attraverso la quale Gesù trasgredisce l'ordine. Proclamarsi Messia non è un reato di per sé. È l'avere persone intorno, assemblare persone intorno, sì, perché è una minaccia all'ordine pubblico. Una manifestazione pubblica è contraria all'ordine pubblico, una azione come quella contro il tempio è doppiamente contraria all'ordine pubblico.
In più c'è la cosiddetta unzione di Betania, che tutti i Vangeli cercano un pochino di sminuire nella sua importanza. Ma qui abbiamo non un atto individuale di una persona, qui abbiamo un atto pubblico, in cui Gesù viene consacrato come Messia. Quindi, diciamo, c'è una assunzione di una funzione messianica da parte di Gesù.
Poi Gesù fa quello che in questi casi si aspetta. Non torna a casa, non torna a Betania, si nasconde tra la folla in mezzo alle persone accampate sul Monte degli Ulivi, la cosa più logica da fare per non essere trovato. Gesù sa di essere ricercato, senz'altro.
I romani, le autorità del tempio fanno esattamente quello che ci si aspetta da loro. Non arresti una persona durante il giorno, quando c'è un sacco di gente in giro, e rischi che ci scappi il morto. Non gliene importava nulla dei morti della folla, ma, può rischiare di scapparci il morto, tanti morti tra le forse di polizia. Quindi eviti. Cosa fai? Metti una taglia sulla persona, speri di trovare qualcuno che lo possa tradire, possa rivelare dov'è. Questa persona viene trovata. A questo punto si agisce di notte. Gesù viene arrestato.
Come vedete, nell'ordine delle cose di Anania prima la persona viene flagellata e poi viene interrogata. Questo fino a Beccaria era il modo che si faceva anche qui dalle nostre parti. Prima il prigioniero veniva picchiato poi lo si interrogava.
I Vangeli cambiano un po' l'ordine, perché vogliono far vedere che la flagellazione è una pena alternativa che Ponzio Pilato vorrebbe imporre a Gesù, mentre c'è chi insiste sulla sua crocifissione. Ma questo è un po' un risistemare le cose a proprio consumo.
Gesù viene interrogato, picchiato. Non è un cittadino romano, non ha diritto a nessun processo. Non ha un processo giudaico, anche perché giustamente, come i Vangeli dicono, non ci sono basi per un processo giudaico, non è un reato proclamarsi Messia, Gesù avrebbe avuto il sostegno dei farisei.
Quindi Gesù non ha un processo giudaico. È interrogato dal punto di vista dei romani, viene riconosciuto colpevole di una trasgressione all'ordine pubblico, viene ammazzato senza pensarci due volte.
I Vangeli costruiscono tutti questi dialoghi tra Gesù e il procuratore romano, che sono assolutamente impensabili, cioè nessun procuratore romano avrebbe mai rivolto la parola a uno schiavo, dal suo punto di vista è uno schiavo. Una persona che non era cittadino romano non aveva alcun diritto.
E poi, che lingua si parla? Ve l'immaginate un procuratore romano come Ponzio Pilato parlare con un servo? Non si parla con i servi, si parla per mediazione. Il procuratore romano avrà detto: Che dice quel… Cioè non c'è nessun tipo di rapporto personale. E questa è la conclusione.
I sadducei, ci viene detto negli Atti degli Apostoli, continuano nel tentativo di repressione politica del movimento di Gesù. E su questo concludo, perché poi si innesta il discorso che voglio continuare sui farisei. Gli Atti degli Apostoli ci dicono che i sadducei arrestano i discepoli di Gesù, e che a questo, vedremo, si oppongono i farisei.
I sadducei non riusciranno a imporre la propria volontà di repressione del movimento gesuano se non in due occasioni, quando Erode Agrippa I diventa re di Gerusalemme, e quindi Agrippa I ha il potere, per es., di uccidere Giacomo il minore, dal punto di vista dello stato. Così come Erode Antipa ha ucciso Giovanni Battista.
E poi vedremo l'uccisione di Giacomo, fratello di Gesù, che però scatena tutta una serie di reazioni da parte dei farisei, che porteranno addirittura alla deposizione del sommo sacerdote che si è reso responsabile dell'uccisione del fratello di Gesù.
Su queste cose riprenderemo fra pochi minuti. Quello che volevo dirvi è che la tradizione cristiana e le tradizioni di Giuseppe Flavio sono univoche nel presentare una opposizione radicale tra il movimento gesuano e i sadducei. Se volete, una opposizione reciproca.
Il movimento sadduceo è un movimento che nell'affermare il proprio potere tende a reprimere le voci di opposizione, non soltanto il movimento gesuano, ma tutti i movimenti apocalittici. I romani hanno un interesse… Voi sapete: divide et impera. I romani hanno interesse a sostenere il gruppo più forte, ma meno popolare di tutti, così che questo gruppo non diventi mai forte abbastanza da potere dargli fastidio.
Per cui l'appoggio della aristocrazia locale è perfettamente in linea a quelle che sono le politiche dell'impero romano nelle provincie. L'opposizione è reciproca, e infatti non c'è nessuna forma di dialogo o di scambio tra i due gruppi.
La crisi arriva con l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, lo scontro avviene a Gerusalemme. E questo scontro produce la morte di Gesù, della quale il potere romano e sacerdotale sono responsabili per le implicazioni politiche e religiose che la sfida del movimento gesuano lancia al tempio.
Ma, diciamo, noi abbiamo da Giuseppe Flavio l'esempio che questo è il modo normale di comportarsi dell'aristocrazia sacerdotale e dei romani nei confronti di analoghi movimenti messianici, o analoghi movimenti di opposizione all'autorità del tempio, che erano molto forti in Palestina a quel tempo.
Guardate che dopo la morte di Gesù e prima della guerra giudaica ci saranno movimenti di opposizione al tempio che arriveranno anche all'assassinio politico di sacerdoti o membri delle famiglie sacerdotali. I famosi sicari, che sono un gruppo di zeloti, si specializzeranno proprio nell'assassinio di esponenti delle famiglie sacerdotali, accusate di collaborazionismo con i romani.
Durante la guerra giudaica la tensione continuerà a tal punto che il sommo sacerdote e i rappresentanti principali delle famiglie sacerdotali, durante l'assedio di Gerusalemme, Giuseppe Flavio ci dice che saranno uccisi dai leaders zeloti, dalla componente zelota che prende, poi, il sopravvento all'interno di Gerusalemme.
Gli zeloti alla fine deporranno e uccideranno l'ultimo sacerdote legittimo, sostituendolo con una persona scelta a sorte. Per Giuseppe Flavio questo è l'estremo abominio di dissacrazione del tempio. Chi ha la legittimità di essere sommo sacerdote viene sostituito, secondo Giuseppe Flavio, da una persona completamente ignorante, della tribù di Beniamino, che non ha nessuna dignità, nessuna legittimità a diventare il sommo sacerdote.
Ma come vedete gli zeloti alla fine lanciano anch'essi un attacco diretto contro il tempio. Perché, ripeto, i gruppi che predicano una fine dei tempi e l'instaurazione del regno di Dio hanno come obiettivo, nella visione di Gesù, come obiettivo nonviolento che è realizzato da Dio… Perché la purificazione del tempio non è l'inizio di un tentativo di distruzione fisica del tempio, ma è una distruzione, tuttavia, simbolica del tempio.
La distruzione del tempio fa parte dell'orizzonte escatologico dei vari gruppi messianici al tempo di Gesù, sia gruppi di matrice farisaica estremistica, come i farisei, sia gruppi di matrice apocalittica come i cristiani.
Mi fermo qui per un nuovo capitolo, poi, che riguarda i farisei.